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Bonnie ‘Prince’ Billy
ByBonnie ‘Prince’ Billy sullo stesso palco di John Butcher, Evan Parker e Roy Campbell (e Elliott Sharp, e Mouse On Mars...). E perché no? Per Risonanze, che da sempre si impone unicamente la discriminante della qualità nelle sue proposte musicali, la scelta è più che appropriata: è didascalica.
Eppure, al di là della gratitudine per la scelta e la soddisfazione per la riuscita dell’evento, rimane fino a inizio concerto una nota sorda di perplessità per l’accostamento del cantautore americano ad una ‘rassegna di nuove musiche contemporanee’, laddove Bonnie ‘Prince’ Billy appare programmaticamente discosto dal nuovo e ciò che più ha di contemporaneo la sua musica è l’appeal esercitato da ciò che non è più e di cui non ammettiamo avvertire nostalgia.
Poi bastano una manciata di brani, il calore del pubblico e l’energia della musica per comprendere. Perché come spesso accade i suoni reali hanno il poter di schiarire le note autoindotte che risuonano nella mente e nell’animo.
Bonnie ‘Prince’ Billy rappresenta l’equivalente di quello che nel mercato degli investimenti è ‘il mattone’, ovvero un bene di rifugio. Non per Risonanze, che non ne ha certo bisogno: per il pubblico.
Bonnie ‘Prince’ Billy rappresenta - anche all’interno del cartellone di Risonanze - quella accidentale ma necessaria via di fuga, quell’attimo di pausa da gustarsi in pieno, quello stacco rigenerante proprio dalle continue tensioni e ricerche, dalle asprezze e dall’energia prosciugante delle nuove musiche contemporanee.
La sua fama conclamata, l’autoevidenza della sua proposta, la sua indiscutibile validità contribuiscono a tracciargli attorno un alone di certezza e intingere le sue parole in un balsamo rasserenante.
Perfettamente calibrato a tal proposito il manifesto del concerto: solo il nome dell’artista a colmare di sé un fondo neutro, e nell’angolo in basso - orpello tipografico di ripiego - tre punti esclamativi dritti compatti e isolati, forse per i più distratti, forse invece per sottintendere “e scusate se è poco!”.
Nella pacata attesa delle prime note, tra il pubblico quanto mai vario - giovani trasandate barbe epigone di Bonnie, giacche dozzinali a coprire camicie di seta, turisti spensierati invariabilmente abbrustoliti dal primo sole, una giovane coppia distrattamente provocante scollatasi per l’occasione da una pellicola di Godard - si spande un’unica chiara aspettativa: ‘sarà un concerto intimo’.
Già, perché in molti sono accorsi con l’idea di calarsi nel soffice abbraccio di The Letting Go, uno tra i dischi imprescindibili dello scorso anno, forse il più memorabile se a fine 2006 non fosse giunta in volata l’incantevole Joanna Newsom con Ys a dischiudere scrigni in cui riporre tutta la nostra ammirazione.
Bonnie invece appaga ma non mantiene: lascia a casa le delicatezze acustiche, i fragili sussurri e la quiete amica di cui dispensa i dischi per trasfigurare le proprie canzoni in stentoree declamazioni, affidandole unicamente ad un robusto suono elettrico della chitarra e alla trama ritmica di Alex Neilson, una batteria mai così presente e comunque sempre della giusta pesantezza. E ad una voce ancora più presente, che acquista dal vivo un tono sermonico, potente e fragile; una voce approssimativa, incerta nel tono, che Bonnie non si preoccupa di far naufragare ché le sue parole vanno comunque urlate.
Parole dettate da visioni limpide ma oscurate da una certa pesantezza del vivere. Cantate con l’ardore di chi intende condividere una verità teneramente scomoda vissuta sulla propria pelle. Ispirate a temi universali, di universale fallimento e universale riscatto.
Proprio per questo il concerto intimo lo è stato.
Non per la morbidezza dei toni ma per la vicinanza del sentire, per il desiderio di condividere. Intimo proprio al di là dei toni che gli conosciamo: Bonnie nutre poco rispetto per la sua stessa opera, rendendo le sue canzoni con sguaiata leggerezza, senza curarsi di quali immagini il pubblico abbia potuto costruire attorno ad esse, ma giocandosela tutta per trasmettere con folle onestà la propria sconsolata confessione di impotenza di fronte/al di sotto di forze a lui/a noi superiori.
Forze cui non è detto ci si debba opporre. Forze cui ci si può anche abbandonare, con semplicità e candore. Forse l’idea dietro Bonnie ‘Prince’ Billy sta tutta qui.
Foto di Barbara Zanon
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