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Ben Allison: creative riletture e nuove ispirazioni

Ben Allison: creative riletture e nuove ispirazioni

Courtesy Kasia Idzkowska

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In quest'intervista Ben Allison ci parla del recente progetto "The Ben Allison Remastered Series 2004-2011," iniziativa che ha portato il bassista a curare personalmente riedizione e remixaggio di alcuni suoi album Palmetto. Il lavoro va oltre gli scintillanti risultati acustici e presenta nuove e sorprendenti scoperte musicali tratte dai master originali.

All About Jazz: Nei mesi della pandemia hai rimasterizzato cinque tuoi album Palmetto, pubblicandoli sulla tua etichetta Sonic Camera Records. Con l'uscita a fine gennaio di Action-Refraction il progetto è ora completo. Ci racconti com'è nata l'idea?

Ben Allison: Sin dall'inizio della mia carriera discografica ho tenuto presente l'idea di lavorare su futuri progetti di riedizione, un'idea fortemente influenzata da una conversazione avuta con Andrew Hill. Nel 1996 avevo finito d'incidere il mio primo album, che realizzai a mie spese, e chiesi ad Andrew cosa ne pensasse della vendita a un'etichetta discografica. Andrew ricordò le sfide e le frustrazioni che aveva incontrato quando tentò di riprendere il controllo sugli album che aveva registrato per la Blue Note negli anni sessanta. Mi consigliò quindi di non vendere mai i diritti di pubblicazione della mia musica originale e di perseguire un accordo di licenza, limitato a un determinato periodo di tempo.

Presi a cuore quel consiglio e fui in grado di negoziare in quei termini il mio primo contratto discografico con la Palmetto Records. Vent'anni dopo, nel 2018, ho ripreso il controllo completo sui dieci album che avevo registrato.

Per alcuni anni, gli album sono rimasti fuori catalogo mentre cercavo di trovare il tempo per lavorarci. Sapevo di volerli remixare e rimasterizzare e avevo idee su come volevo che suonassero. Nel frattempo avevo anche sviluppato capacità di mastering engineer per realizzare quelle idee. Avevo ricevuto i master, i vari nastri, gli hard disc e le note delle sessioni di registrazione originali ma la mia vita frenetica era un ostacolo.

Nel 2020 è giunta la pandemia. È stato un periodo di forte ansia e smarrimento. Per me e per molti musicisti la completa interruzione dei tour, delle esibizioni e delle registrazioni è stata molto dura da affrontare. Il nostro stile di vita era in sospeso e non sapevamo quanto tempo sarebbe passato prima che la la musica dal vivo sarebbe ripresa. Improvvisamente mi sono ritrovato con molto tempo in più, un'opportunità per riflettere sulla musica che avevo fatto e per iniziare il processo di lavoro sui vecchi album. È stato affascinante riascoltarli, mi suonavano familiari ma anche strani. Mi sembrava di guardare vecchie fotografie di me stesso, ho visto un Ben Allison diverso.

AAJ: Che tipo di riflessioni e ricordi sono emersi durante questo processo?

BA: Le prime cose che hanno attirato la mia attenzione sono state le battute occasionali e scherzose nelle pause tra un brano e l'altro. Non ricordavo i dettagli dei dialoghi coi musicisti in studio, quindi è stato come ascoltarli per la prima volta. Parlavamo dei brani ovviamente (forme, assoli, transizioni). Ma soprattutto scherzavamo, facendoci un sacco di risate. Ascoltare questi frammenti di conversazioni è stato un po' come origliare. Ho sentito le voci dei miei amici, persone con cui ho condiviso una ricca vita musicale. Ho sentito la voce del mio caro amico Frank Kimbrough, che abbiamo perso nel 2020. Ma soprattutto ho sentito un gruppo di musicisti che s'impegnavano seriamente. Ora capisco cosa facevamo: scherzare è una tecnica che i musicisti usano per entrare nel giusto stato mentale. Registrare musica è una sorta di gioco mentale. Sei consapevole che suonerai qualcosa destinata a restare immutabile su nastro e le tue scelte musicali saranno ascoltate negli anni a venire. Devi quindi mettere da parte quelle preoccupazioni e non lasciare che intralcino la creatività.

AAJ: Prima dei dischi riediti in questa serie, avevi registrato quattro album per la Palmetto Records tra il 1998 e il 2002, oltre all'album di debutto del 1996 Seven Arrows per la Koch Records. Perché hai iniziato questo progetto a partire dall'incisione del 2004?

BA: Per una ragione pratica. All'inizio degli anni 2000 abbiamo iniziato a registrare direttamente su hard disc, smettendo di usare formati come DAT, ADAT o nastro analogico. Oggi posso facilmente aprire le sedute d'incisione contenute sui dischi rigidi e riprendere da dove avevamo interrotto. Per questo progetto di remixaggio e rimasterizzazione, ho iniziato con gli album con cui era più facile lavorare. Per il prossimo lotto di album, dovrò eseguire un trasferimento di dati. Alcune delle prime sessioni sono state registrate su nastro analogico o su formati obsoleti ed esigenti come ADAT. I nastri multitraccia originali di uno dei miei primi album Medicine Wheel in realtà non esistono più. A metà degli anni novanta stavo producendo i miei album e il nastro analogico era molto costoso, oltre cento dollari per ogni 15 minuti di registrazione. Quando ci stavamo preparando a registrare Riding the Nuclear Tiger, ho dovuto prendere la difficile decisione di registrare su Medicine Wheel per risparmiare denaro. Quindi, Medicine Wheel non può essere remixato. Per fortuna David Baker, l'ingegnere del suono di quella sessione, ha fatto un lavoro fantastico nel mixare l'album originale. Tuttavia, ho intenzione di rimasterizzarlo, il che lo porterà agli standard moderni.

AAJ: Hai personalmente curato il mixaggio di ogni disco, impiegando centinaia di ore. Puoi illustrarci il lavoro tecnico?

BA: Il mixaggio è una forma d'arte. Ed è anche una scienza naturalmente, così come c'è una scienza del suonare uno strumento. La console di mixaggio è uno strumento e si può imparare a suonarlo. Posso spiegare meglio il processo di mixaggio usando un'analogia. Immagina uno stagno in cui la superficie dell'acqua è completamente immobile, come un vetro nero. Se getti un sasso nello stagno onde concentriche si spandono verso l'esterno dal punto di contatto. Se getti un altro sasso altre onde si muovono da quel punto. Alla fine queste onde si incontrano, anzi si scontrano. Quando il picco di un'onda incontra il picco di un'altra, le due onde si fondono e si amplificano perché le energie di entrambe si sommano. Quando invece un picco incontra un avvallamento, l'onda combinata che ne risulta si attenua.

Quando le nostre due onde s'incontrano, possono creare un disegno caotico. Il compito del mixing engineer è quello di rendere questa collisione sonora e gradevole, plasmare le onde risultanti in qualcosa di bello. Cerco di creare un senso di coerenza nelle forme d'onda, in modo che le sorgenti originali siano ancora distinguibili e non si annullino a vicenda. In questa analogia le sorgenti sono gli strumenti (il sassofono, il contrabbasso, il pianoforte, ecc...). Come tecnico del mixaggio, voglio che l'ascoltatore sia in grado di individuare facilmente gli strumenti nello spazio immaginario tra i diffusori (la superficie dello stagno) e voglio che la mescolanza delle onde sia bella.

Alla fine ciò che conta è come la musica ti fa sentire. Ho ancora molta strada da fare per ciò che voglio raggiungere come tecnico di mixaggio. Solo di recente sento di aver acquisito una certa capacità di controllare le cose nel modo in cui voglio. Ma il processo di apprendimento attraverso la sperimentazione è piacevole e sento una profonda soddisfazione quando faccio le cose per bene.

AAJ: Ci sono diverse sorprese nel tuo lavoro di rimasterizzazione: brani inediti ed una diversa sequenza dei brani. Vuoi parlarcene?

BA: Durante le registrazioni in studio cerco di lasciare uno spazio finale per suonare liberamente. Lasciamo scorrere il nastro e improvvisiamo senza strutture o forme predeterminate. Nelle sessioni di registrazione per gli album Cowboy Justice, Think Free e Action Refraction abbiamo avuto abbastanza tempo per farlo. Riascoltando le sessioni originali ho trovato alcuni grandi momenti d'improvvisazione collettiva e ho deciso di includerne alcuni negli album rimasterizzati. Ci sono molte cose che non ho incluso ma ho cercato di scegliere i momenti che sembravano riflettere al meglio il suono di ogni organico. Ad esempio, il brano che ho intitolato "Free Someday" è un'improvvisazione collettiva messa in moto dal pianista Jason Lindner. I brani "Mournful Mood Pts 1 e 2" provengono dalla stessa sessione. Sono stati registrati come parte della stessa take, a pochi minuti di distanza l'uno dall'altro, e sono il risultato dell'abilità del trombettista Ron Horton di evocare il lamento luttuoso di una voce umana.

AAJ: Hai sempre puntato a incidere tue composizioni originali, ma dall'album Peace Pipe hai iniziato a eseguire cover di autori pop e rock, con un'attenzione particolare ad artisti che apprezzi molto, come Neil Young e John Lennon. Poi in Action Refraction troviamo solo due tue composizioni, in un percorso che spazia da Monk a "Someday We'll All Be Free" di Donny Hathaway, "Missed" di PJ Harvey, "Philadelphia" di Neil Young e la hit dei Carpenters "We've Only Just Begun." Perché queste scelte e perché ha smesso di includere autori rock nei suoi dischi successivi?

BA: Action Refraction è il mio album di cover. Dopo averne registrati nove con materiale prevalentemente originale, ho deciso di cimentarmi nell'interpretazione di musica altrui. La mia prima idea è stata quella di vedere se potevo mettere insieme una lista di canzoni molto diverse e stilisticamente variegate e reimmaginarle in modo che si adattassero a un album coeso. Quando scrivo penso in termini di album. I brani devono funzionare insieme, quasi come una suite, per dipingere un quadro completo. Una volta selezionati i brani per Action Refraction, il passo successivo è stato quello di smontarli e poi, cercando i fili comuni, rimetterli insieme. Ho pensato che se fossi riuscito a collegare i Carpenters con Samuel Barber e con PJ Harvey, avrei probabilmente ottenuto qualcosa di unico. In definitiva spetta agli ascoltatori decidere se ho avuto successo ma è stato sicuramente divertente provarci.

AAJ: Nella tua discografia sei spesso tornato a canzoni che erano state registrate in album precedenti, come Blabbermouth o Four Folk Songs. Ogni volta hai fatto luce su dettagli di quelle canzoni che non erano evidenti nella versione precedente. In che modo questo processo di "scoperta di dettagli attraverso una rimasterizzazione" si confronta o differisce dal processo di "scoperta di dettagli attraverso la reinterpretazione di una tua vecchia canzone per un nuovo album"?

BA: Tutti i miei brani sono come dei "lavori in corso." Non sono mai realmente definitivi. Mi piace smontare e rimontare le cose. È quello che sto facendo con questi vecchi album quando li remixo da zero. Ho un approccio simile con le mie composizioni, quando le riarrangio e le reimmagino per gruppi e album diversi. Per me questi processi sono collegati. Entrambi prevedono di prendere suoni e idee esistenti e di ascoltarli con orecchie nuove. Ovviamente lo dico in senso metaforico. Le mie orecchie sono le stesse di 20 anni fa. È il mio cervello che è diverso.

AAJ: I due brani inediti e completamente improvvisati, ma molto affascinanti, contenuti nella ristampa Think Free ("The City at Night" e "Steve Austin"), gettano nuova luce su quel quintetto. Perché non sono stati inclusi nell'album originale?

BA: Questi due brani sono esempi di pezzi liberamente improvvisati che ho scoperto durante il processo di remix. Il motivo per cui non sono stati inclusi nell'album originale è una bella domanda. Credo che dipenda dal fatto che abbiamo inciso questi dischi molto velocemente. La maggior parte è stata realizzata in un giorno e mezzo di registrazione e in un giorno e mezzo di mixaggio. I primi album venivano mixati manualmente, il che significa che non avevamo l'automazione. Il "mixdown," come veniva chiamato allora, consisteva nel muovere i fader in tempo reale, mentre le tracce venivano rimbalzate in stereo. Senza entrare troppo nel tecnico, questo significa che ogni mixaggio era di per sé una sorta di performance. Un'operazione unica. A volte facevamo diversi mixdown e sceglievamo il migliore. Ma di solito ne facevamo uno solo e andavamo avanti. Quando ho riaperto le sessioni per questo progetto ho scoperto alcuni pezzi mancanti. Alcune volte ci siamo dimenticati di togliere il microfono a una traccia. Sono state prese anche alcune decisioni strane. Per esempio, quando abbiamo sfumato il brano "Sleeping Giant" (Think Free, 2009) prima della fine. Non ricordo perché l'abbiamo fatto. Non ha senso. Tutte queste parti, sezioni e finali sono state ripristinate.

AAJ: Come hai detto Medicine Wheel non può essere rimasterizzato. Cos'hai intenzione di fare con Third Eye, Riding the Nuclear Tiger e Peace Pipe?

BA: Non sono sicuro che i nastri originali delle sessioni di Third Eye siano ancora riproducibili, ma questo è il prossimo punto della mia lista da esplorare. Attualmente sono in procinto di remixare e rimasterizzare Peace Pipe. Non vedo l'ora che la gente lo senta, perché mi sembra incredibile finora. Quando l'abbiamo registrato nel 2001, la tecnologia era avanzata al punto che potevamo registrare a una profondità di 24 bit per campione. In parole povere significa che abbiamo catturato un'ampia gamma dinamica. È fantastico lavorare con registrazioni che suonano così bene.

AAJ: È prevista la pubblicazione di questa serie su compact disc e/o vinile?

BA: Non ho in programma, nell'immediato futuro, di pubblicare questi vecchi album in formato fisico. Le versioni FLAC a 24 bit sono tutte disponibili sul mio sito web, ed è quanto di più vicino ai nastri master si possa ottenere. Mi piace il vinile e mi piacerebbe realizzare versioni in vinile di alta qualità di questi album. Il problema è che il costo di produzione è molto alto. Il che significa che dovrei venderne molti solo per andare in pari e i tempi di produzione sono molto lunghi. Una volta inviati gli stampers, bisogna aspettare circa un anno prima che la fabbrica di stampa si occupi del progetto. Con la rinascita dell'interesse per il vinile, si potrebbe pensare che i tempi di produzione siano più rapidi. Sembra che la creazione di nuovi impianti non abbia tenuto il passo con la domanda.

AAJ: Passiamo a Healing Power, l'ultimo album del trio cooperativo con Ted Nash e Steve Cardenas, dedicato alla musica di Carla Bley. Come è nata l'idea?

BA: Steve, Ted e io ci esibiamo e registriamo come trio da circa dieci anni. È una vera e propria collaborazione, nel senso che non c'è un leader del gruppo. Il nostro primo album è del 2018 e si chiama Quiet Revolution. Contiene musiche di Jim Hall, Jimmy Giuffre e tre brani originali; è stato inizialmente pubblicato a mio nome, dato che ho preso l'iniziativa di organizzarlo. Il secondo album è del 2019 e si intitola Somewhere Else: West Side Story Songs. L'idea di affrontare questa musica è venuta a Ted e il disco è stato pubblicato dalla sua etichetta Plastic Sax. Poi è stato il turno di Steve. Ha avuto l'idea di registrare la musica scritta da Carla Bley. Steve ha fatto parte di due gruppi in cui Carla ha avuto un ruolo importante: la Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, dove lei suonava il pianoforte e contribuì componendo e orchestrando, e il quintetto di Steve Swallow, in cui suonava l'organo. Quindi Steve ha avuto con lei una ricca storia musicale. Sia io che Ted abbiamo pensato che la sua musica sarebbe stata perfetta per il trio. Steve ha scelto i brani e si è assicurato il contratto con la Sunnyside Records.

AAJ: Che criteri avete adottato per la reinterpretazione di composizioni così particolari?

BA: Una delle cose che tutti amiamo della musica di Carla è che raggiunge un bellissimo equilibrio tra essere unica, ricca di sfumature e dettagli sorprendenti, pur essendo molto aperta all'interpretazione. Una musica estremamente evocativa che ti sfida a essere creativo. Non si può semplicemente passeggiare tra i suoi brani. Richiedono un'attenzione speciale e offrono molto in cambio.

AAJ: Carla Bley è stata una figura chiave della Jazz Composers Guild e ha co-diretto la Jazz Composers Orchestra. È stata una fonte di ispirazione per te, non solo dal punto di vista musicale, ma anche come attivista quando ha deciso di co-fondare il Jazz Composers Collective?

BA: In realtà, l'idea del Jazz Composers Collective è nata da un'altra fonte. All'inizio degli anni Novanta ho letto alcune missive che Arnold Schoenberg e Alban Berg si erano scambiati, in cui si lamentavano della scena musicale viennese del 1918. A quei tempi, i proprietari dei locali controllavano la musica che veniva eseguita. Anche i critici musicali avevano un'influenza eccessiva su ciò che veniva presentato. La soluzione di Schoenberg fu che i compositori organizzassero i propri concerti con la nuova musica che stava nascendo. Tra questi compositori c'erano molti di quelli che oggi consideriamo luminari: Bartok, Webern, Debussy, Satie, Stravinsky, ecc. All'epoca, questi compositori erano spesso derisi. Unendosi, riuscirono a creare opportunità per eseguire la loro musica alle loro condizioni. Trovarono mecenati facoltosi per ospitare "ricevimenti musicali" e crearono un pubblico curioso di conoscere la nuova musica.

Tutto questo mi ha ricordato la scena jazz dei loft a New York negli anni Settanta. L'idea che i musicisti prendessero le cose in mano mi sembrava molto stimolante. Ho pensato che avremmo potuto provare a fare la stessa cosa con la nostra musica. Schoenberg non voleva che i compositori presentati fossero limitati a quelli della sua cerchia, ma insisteva che fossero attinti da una sempre più ampia. In effetti, per i primi due anni della Società, rifiutò di far eseguire la propria musica.

AAJ: Oltre all'intensa attività di musicista, sei ora molto attivo come docente e organizzatore. Come si sviluppano queste attività dalla tua carriera musicale e come le integri nella tua vita?

BA: Dopo lo scioglimento del Jazz Composers Collective, ero troppo impegnato in tournée e registrazioni per fare molto altro. Ma dopo un po' di tempo ho cominciato a rendermi conto del vuoto che l'assenza dell'organizzazione aveva lasciato nella mia vita. Sono un organizzatore per natura. Mi piace lavorare con le persone per fare cose. Così, nel 2011, quando un eccellente collega mi ha incoraggiato a candidarmi per un posto nel consiglio di amministrazione della sezione di New York della Recording Academy, ho colto al volo l'occasione. La Recording Academy è conosciuta soprattutto come l'organizzazione che si occupa dei premi Grammy, ma è anche molto attiva nel sostenere i creatori di musica in altri modi. Si batte per i diritti di esecuzione, per la riforma delle norme sui diritti d'autore e per altre iniziative volte a rafforzare l'industria musicale e a migliorare la vita e l'ambiente di lavoro dei professionisti della musica. Inoltre, attraverso la loro organizzazione MusiCares, forniscono aiuto ai musicisti in difficoltà. Alla fine del mio primo anno nel consiglio di amministrazione, sono diventato presidente del Comitato di Difesa, per poi scalare i ranghi e diventare vicepresidente e infine presidente. Questa esperienza è stata come un corso accelerato nel music business.

Ho trascorso molto tempo con professionisti molto affermati di tutto il settore, dai dirigenti delle case discografiche, ai manager, agli avvocati del settore musicale, agli ingegneri, ai produttori, ai cantautori e agli artisti vincitori di premi Grammy. Ho incontrato direttamente i membri del Congresso in merito a questioni importanti per i musicisti e ho avuto la possibilità di testimoniare davanti alla Commissione per l'Energia e Finanza della Camera dei Deputati a favore dei diritti degli artisti. Nel 2011 sono entrato a far parte della facoltà del "College of Performing Arts" della New School, dove tengo corsi di imprenditorialità, tecnologia e teoria musicale, oltre a lezioni private di contrabbasso e composizione. Attualmente sto svolgendo il mio secondo mandato come co-presidente del Senato della Facoltà Universitaria.

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