Home » Articoli » Live Review » Antony and the Johnsons

1

Antony and the Johnsons

By

Sign in to view read count
Teatro Romano - Verona - 30.08.2006

Senz’ombra di dubbio Antony è quello che si dice un personaggio. Il che, nell’ambito della musica-che-aspira-ad-un-sia-pur-minimo-riscontro-commerciale, non guasta.

Un’esistenza inesorabilmente borderline, condotta lungo i margini sfilacciati di un’identità difficile da (far) accettare; una biografia che improvvisamente si tinge di luce, toccata dall’incontro con nomi e numi in grado di imprimere a questa esistenza una direzione felice; e, sopra ogni cosa, un dono raro, quello di una voce in grado di entrare immediatamente in comunione con l’animo di chi l’ascolti, tanto si riconoscono nelle sue soffici volute i contorni della labile condizione umana.

Non uno di quei personaggi che destano ammirazione e spronano all’emulazione, carichi di forza e impetuosità. Tutt’altro. Il personaggio di Antony riluce all’alone flebile della fiammella, chiama ad una tenera e timida intimità e suggerisce al suo pubblico la più devota e letterale com-passione.

Ecco perché anche le più fragorose dimostrazioni d’affetto elargite dai gradini del Teatro Romano avevano per Antony l’impatto il calore e il colore della bambagia.

Il personaggio Antony si trascina appresso un corpaccione goffo e inadeguato: è evidente come gli vada paradossalmente troppo stretto. Ma non appena lo/si abbandona sullo sgabello del pianoforte, il personaggio Antony si spoglia di ogni peso, ed emerge il vero Antony che libra nella quiete della sera la sua voce porosa e opalescente.

La polvere che sparge sulle parole dolenti, sulle poche note del pianoforte, sui drappi aggraziati di cui l’ammantano i Johnsons è la grana sottile ma chiaramente palpabile che si scuote di dosso da un’esistenza segnata dalla poesia e dal dolore, e che il pubblico riconosce e accoglie non appena si posa placidamente sugli occhi, le orecchie e i cuori.

Potrebbe non esserci altro, oltre a quella voce, e la magia rimarrebbe comunque intatta. Non le parole, che sono i mattoni ma non la via che Antony percorre; non il pianoforte, strumento di scena accarezzato con maggior parsimonia; non i Johnsons, tenui figure di corredo non sempre di concerto in quest’unica data italiana di fine estate.

Con sinuose movenze e improvvisi incespicanti acciacchi quella voce eternamente sdoppiata - tra sospiro e intonazione, grazia e tedio, gioia e mestizia - scivola lungo i saliscendi dello sconforto, dell’ardore, del lamento e dell’irrequietezza carezzando con garbo, tranquillizzando l’animo e sottintendendo che sì, tutto infine andrà per il meglio.

E questo concerto veronese lascia in effetti intravedere un alleviamento della pena, già semplicemente suggerito da questa voce di velluto blu che non s’invola più tanto verso il registro acuto, ma si contenta di danzare sorniona sulle note più o meno gravi. Un segno che si può quasi smettere di tentare la fuga, che Antony è divenuto un poco meno vulnerabile?

Questo sembra suggerire il tono disteso e aperto con cui scherza col pubblico - il viaggio in Giamaica, le scarpe nuove che si è comprato, l’eccessivo schermirsi per una nota ciccata. Lo stesso tono che impregna una manciata di nuovi brani - poco più che abbozzi, lo si intuisce - che Antony (si) regala nel corso della serata e cui presta tutta la sua attenzione, di contro alla fretta che mostra di avere nel liberarsi del suo repertorio più assodato.

Le due poetiche fondamentali e indissolubilmente intrecciate del mutamente e della ricerca della felicità, paiono oggi convergere in un punto preciso, anziché rimandare ad un’imprecisata e mistica trasfigurazione futura. Sarà per questo che, raggiante ed espansivo, canta quasi subito un nuovo emozionante mantra, ‘Everything Is New... Everything Is New...’?

Qualcosa è cambiato, a quanto pare. Forse i fantasmi si sono appiattiti un poco sul suo orizzonte, ma è presto per dire come questo influirà sulla musica di Antony. A noi basta che la forza della sua voce sia rimasta intatta, che noi ci si possa continuare a bagnare nel suo accogliente torpore.

È estremamente bello, poi, congedarsi da esso con una monumentale versione di ‘Knocking on Heaven’s Door’ - anticipazione dell’imminente collaborazione discografica con Jamie Saft - e con il desiderio ardente, da noi condiviso, di tornare ad ammirare la sua lostest beauty.


Comments

Tags


For the Love of Jazz
Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who create it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

You Can Help
To expand our coverage even further and develop new means to foster jazz discovery and connectivity we need your help. You can become a sustaining member for a modest $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination will vastly improve your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

More

Jazz article: Lettuce with John Scofield at SFJAZZ
Jazz article: Julian Siegel Quartet At Magy's Farm

Popular

Read Pat Metheny at the Kaufmann Concert Hall
Read Take Five with Tap Dancer Petra Haller
Read Ahmad Jamal: An American Classic
Read Take Five with Pianist Shereen Cheong

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.