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Alex Hitchcock Dream Band al Torrione di Ferrara

Alex Hitchcock Dream Band al Torrione di Ferrara

Courtesy Sergio Cimmino

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Alex Hitchcock Dream Band
Torrione Jazzclub
Ferrara
8.03.2024

Già nella stagione 2022-23 il Torrione di Ferrara non aveva perso l'occasione di proporre il tenorista inglese Alex Hitchcock, in trio, in qualità di vincitore della precedente edizione del 7 Virtual Jazz Club's Contest. Va dato merito all'attivo jazzclub ferrarese per averlo nuovamente presentato con il suo nuovo quintetto.

Probabilmente Hitchcock non è il più famoso esponente dell'attuale prolifica scena britannica, tuttavia rappresenta un esempio probante della vitalità di quell'ambiente. La molteplicità delle sue collaborazioni, sia europee che americane, si coniuga con la trasversalità del suo linguaggio ben rifinito e narrativo, che non recide certo i ponti con le sponde più attuali del mainstream jazzistico. Nello stesso tempo egli guarda con curiosa disponibilità a quelle espressioni più contaminate, talvolta nostalgicamente, con cadenze minimal-etno-pop che oggi prevalgono in Inghilterra come negli Stati Uniti.

Prova di questa sua visione compositiva e improvvisativa è la sua produzione discografica racchiusa in una manciata di CD, a cominciare da Alex Hitchcock Quintet Live at London and Cambridge Jazz Festivals edito nella primavera 2018. Ma il suo improvviso irrompere sulla scena internazionale è avvenuto soprattutto fra la fine del 2021 con la pubblicazione di Dream Band e la fine del 2023 con l'uscita, per Whirlwind Recordings, del triplo Dream Band: Live in London, che raccoglie tre esibizioni al Vortex Club nell'agosto 2022 alla testa di tre formazioni sempre diverse.

L'apparizione ferrarese è giunta dunque opportuna, permettendo di verificare l'impostazione e la qualità del jazz dell'emergente sassofonista e leader inglese, nato a Londra nel 1991, che sostiene di non aver mai messo piede al Berklee College of Music di Boston, mecca obbligata di molti suoi colleghi, ma di aver frequentato solo un paio di anni il Conservatorio londinese. Quella di Ferrara è stata la seconda tappa (dopo Siena) del suo tour con questa edizione del tutto nuova della Dream Band, anche se i partner avevano già suonato con lui singolarmente in altri contesti. Sembra quindi che Hitchcock ricorra sempre alla definizione di Dream Band per intendere un ampio contenitore, una compagine appunto da sogno comprendente tutti gli stimati musicisti con cui desidera di volta in volta suonare. In questo caso la band era completata dal trombettista Hermon Mehari, dal pianista Lex Korten, oltre a Orlando le Fleming e Jk kim , rispettivamente contrabbasso e batteria.

Le composizioni proposte nel concerto erano tutte originali del leader, esposte quasi sempre all'unisono da sax e tromba. Dopo un tema iniziale dall'incedere soft, una sorta di canone cadenzato che via via si è inspessito nel volume e complicato nelle armonie, si sono succeduti brani attentamente articolati, sghembi, con apici e variazioni. Sono da evidenziare nel complesso una certa varietà dinamica nel modo di gestire i collettivi e i contributi dei singoli, ma allo stesso tempo una sostanziale uniformità della conduzione ritmica e dei mood dei vari brani, evitando di soffermarsi nella cullante atmosfera di una classica ballad o di lanciarsi nel groove sfrenato di un ritmo velocissimo.

Quanto alla pronuncia strumentale del tenore del leader, un fraseggio sempre sorvegliato secondo una logica conseguente, una sonorità prevalentemente fredda, statica, senza vibrato e dalla potenza tutt'altro che imponente hanno generato sviluppi improvvisativi insoliti e audaci, anche se privi di slanci lirici, pur inserendo talvolta note strozzate, sovracuti ed esasperazioni armoniche. Vaghi, lontanissimi spunti di lirismo sono venuti semmai dalla tromba di Mehari, che, senza essere un virtuoso dello strumento, è capace di gestire un linguaggio forse più canonico, addentrandosi in scale ascendenti e discendenti, in impennate oblique, con un sound relativamente più acidulo e sdrucciolo.

Il prezioso pianismo di Korten si è dimostrato il pilastro della formazione nel racchiudere e sviluppare tutte le possibilità armoniche, senza cadere mai nel banale, nei risaputi fraseggi della conformità jazzistica. Il pizzicato del bassista Orlando Le Fleming, di poco più attempato dei colleghi e presentato quasi come l'ospite d'onore, ha sostenuto un bordone continuo, ricco di sfumature e un po' burbero. JK Kim infine ha amministrato un drumming pertinente, sapientemente variato e incalzante, evitando sempre espedienti stentorei e di grana grossa.

In definitiva l'assetto rigorosamente acustico di questo quintetto ha confezionato un jazz elegante ed estremamente consapevole, saggiamente organizzato nell'interplay, ma moderatamente sperimentale, animando un set dall'impostazione melodica policentrica, un po' divagante, armonicamente complessa e poco sorprendente sotto il profilo timbrico. Raramente quindi, anche per l'evidente distanza da un retroterra bluesy e da una certa avanguardia impegnata, è stata raggiunta una comunicazione diretta e coinvolgente, capace di esiti vibranti e lirici. Una musica quindi più di testa che di cuore, ma è molto probabile che a rodaggio compiuto questa nuova formazione pensata da Hitchcock possa realizzare risultati più fluidi e consistenti, magari inserendo anche qualche sorpresa con soluzioni eccentriche.

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