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Adrian Younge e Ali Shaheed Muhammad : Jazz Is Dead

Adrian Younge e Ali Shaheed Muhammad : Jazz Is Dead

Courtesy Linear Lab Music

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Hanno scelto un marchio provocatorio, Adrian Younge e Ali Shaheed Muhammad per l'etichetta discografica e la piattaforma di musica dal vivo che gestiscono a Los Angeles da alcuni anni.

I due musicisti e produttori vengono dalla scena hip-hop: il primo ha lavorato con artisti di fama mondiale come Wu-Tang Clan, Souls of Mischief e Jay-Z; il secondo è stato membro del notissimo A Tribe Called Quest e ha poi varato (con Dawn Robinson e Raphael Saadiq) il trio Lucy Pearl.

Nell'arco di soli due anni—dal 2020 al 2022—sono passati dal debutto discografico con Jazz Is Dead 1 alla copertina su Down Beat che gli ha dedicato il servizio d'apertura nel numero di settembre 2022. Un ingresso nel mondo del jazz dalla porta principale che ha radici in quel fermento musicale alimentato dai DJ che coniuga le musiche popolari afro-americane (hip-hop, funk, soul e quant'altro) con le forme dell'hard bop. In parallelo al fenomeno musicale londinese successivo all'acid-jazz, negli Stati Uniti agivano analoghi fermenti. In particolare nella Los Angeles post anni Novanta, la scena "West Coast Get Down" vedeva l'attività dei bassisti Miles Mosley e Thundercat, dei polistrumentisti Terrace Martin e Cameron Graves, del sassofonista Kamasi Washington e altri. Un universo californiano che ha propiziato la nascita di un capolavoro come To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar.

È stato l'avvento del DJ/produttore—che ricerca sample jazzistici da riformulare in ambito dance—a ricollocare il jazz nella cultura giovanile, riportandolo ai suoni analogici e al groove degli anni sessanta e settanta, diffuso da molti dischi Blue Note ma soprattutto dalle etichette Strata East, Black Fire e Tribe Records. Il primo vinile Jazz Is Dead vede otto brani con la presenza di Roy Ayers, Gary Bartz, Brian Jackson, João Donato, Doug Carn, Marcos Valle, Azymuth e The Midnight Hour. Una compilation/vetrina, che inaugura la prima serie di dieci album (la seconda è ancora in atto).

Tutta la musica dell'etichetta è rigorosamente analogica ed è prodotta nel Linear Labs Studio di Highland Park (LA) costruito con apparecchi analogici da Adrian Younge. La sua ossessione è riportare in vita il suono della black popular music incisa tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta, ricontestualizzando il jazz storico per un pubblico diverso, con quei protagonisti che hanno influenzato la storia del sampling hip-hop.

«Stiamo realizzando delle lettere d'amore per quelli che ci hanno preceduto—ha detto Ali Shaheed Muhammad a Down Beat—Questi luminari ci hanno offerto moltissimo e gli tributiamo omaggio avendoli in studio, prendendo le influenze che ci hanno dato per creare qualcosa di attuale».


La partnership tra i due musicisti/produttori inizia nel 2013, quando Younge invita Muhammad a lavorare all'album There Is Only Now dei Souls of Mischief. La collaborazione si consolida con il lavoro dell'album The Midnight Hour iniziato in quei mesi e terminato dopo cinque anni per l'interruzione dovuta a un'offerta che non possono rifiutare: la realizzazione della colonna sonora della serie di Luke Cage, prodotta da Netflix.

Quest'esperienza è stata determinante per entrambi e si riverbera nella collana Jazz Is Dead. «Luke Cage è stato uno sforzo folle per noi—ha detto Younge—Dovevamo concentrarci e avevamo delle scadenze ma abbiamo potuto espandere il nostro palato compositivo. Ci ha spinto e ci ha reso musicisti migliori. Quando siamo tornati a The Midnight Hour potevamo vedere dal punto di vista compositivo ciò che accedeva».

Nel 2017 prendono collaborare con il promoter Andrew Lojero e il discografico Adam Block per una serie di concerti sotto lo slogan Jazz Is Dead, che è tuttora operante. Il primo concerto vede di scena —il 14 dicembre alla Lodge Room dell'Highland Park di Los Angeles-il trombettista Keyon Harrold, una performance del Josef Leimberg Astral Progression Ensemble e dj sets di Adrian Younge, Sacred e Wyldeflower.

Il titolo provocatorio è ideato da Lojero: «Più parlavo alla gente del nome della serie Jazz Is Dead, più ottenevo reazioni pesanti. Alcuni lo amavano, altri lo odiavano. Mi sono reso conto che, a prescindere dal tipo di reazione, era esattamente quello che serviva per intercettare un pubblico giovane, che vedeva questa musica come roba per i loro nonni. Era necessario dare una spinta al marchio».

Il nome viene trasferito all'etichetta. «Se l'avessimo chiamata in un altro modo—confessa Younge a John Murph di Down Beat probabilmente non saremmo così avanti e non avremmo avuto la stessa attenzione al nostro lavoro». È opportuno ricordare che il marchio Jazz Is Dead era già stato usato da un quartetto di jazz elettrico formato dal chitarrista Jimmy Herring, l'organista Dixie Dregs T. Lavitz, il batterista Billy Cobham e il bassista Alphonso Johnson. Debuttarono nel 1999 con l'album Blue Light Rain e vissero per qualche anno reinterpretando la musica dei Grateful Dead (da qui la ragione del nome: il termine Jazz al posto di Grateful).

Torniamo al lavoro di Younge e Muhammad. Alla prima compilation che abbiamo citato, sono seguiti—nel 2020 e 2021—gli album monografici di quegli otto artisti, presentati in cover dall'identica grafica ma con un colore ogni volta diverso. Non possiamo esaminarli in dettaglio e ci limitiamo a brevi considerazioni.

Il volume 2 della serie è dedicato al vibrafonista Roy Ayers che nel febbraio 2018 aveva fatto il tutto esaurito per quattro concerti a Los Angeles come parte della serie "Jazz Is Dead Black History Month." L'album è in realtà una reinterpretazione del jazz-funk groove inventato da Ayers negli anni settanta e inaugurato per la colonna sonora del film blaxploitation Coffy, interpretato da Pam Grier. L'estetica è nuova ma Ayers, che non incideva continuativamente dalla metà degli anni novanta, è spesso sepolto nel mix di chitarre sfocate, suoni synth e coretti femminili. I brani più incisivi sono "Sunflowers" e i successivi "Solace" (con Wendell Harrison al sax tenore, Phil Ranelin al trombone e Greg Paul alla batteria) e "African Sounds," con lo stesso Ayers che declama l'orgoglio afro-americano.

Jazz Is Dead 3 di Marcos Valle è delizioso. Riporta alla freschezza della fusion brasiliana dei primi anni settanta, quando il cantautore incideva dischi come Previsão do tempo . Il disco successivo resta in Brasile col trio fusion Azymuth ed è un'altra perla della serie. Un variopinto mélange di timbri e ritmi sospesi tra presente e passato, il tutto avvolto in un evocativo groove che non dimentica la dolcezza della bossa nova: tra i brani più intriganti ricordiamo "Apocolyptíco," tra i più seducenti "Friendship Samba."

Jazz Is Dead 5 ha il merito di riscoprire l'organista jazz-funk Doug Carn, diventato un nome di culto tra i DJ per i dischi Infant Eyes e Adam's Apple, editi dall'etichetta Black Jazz nei primi anni settanta. La sintesi tra i vari stili in gioco è jazzisticamente pregnante (unisoni tromba/sax d'impronta soul e assoli in un tessuto ritmico variopinto) con Carn protagonista. Younge e Muhammad suonano il Fender Rhodes e il basso elettrico in tutti i brani assieme al formidabile batterista Malachi Morehead; si alternato il trombettista Zach Ramacier e i sassofonisti Shai Golan e Gary Bartz.

A quest'ultimo, il partner veterano di Max Roach, McCoy Tyner e Miles Davis, è dedicato il volume 6 della serie. Bartz è unico solista in lunghe improvvisazioni su basi ritmiche cangianti, armonie modali e fantasiosi fondali (il drummer Greg Paul più i due produttori). Accanto a qualche episodio leggero ("Day by Day") ne troviamo altri caratterizzati da forte groove come "Black and Brown" e "Distant Mode."

Il disco successivo torna in Brasile con João Donato, accompagnato dalla stessa ritmica precedente. Sviluppando quanto fatto nell'album Donato Elétrico del 2016, l'ottantenne pianista e compositore di Rio Branco tinge la sua bossa nova di timbri elettrici, spaziando da brani melodicamente flessuosi (con la voce di Loren Oden) ad altri ritmicamente incisivi come "Forever More" e "Conexão."

La prima serie di Jazz Is Dead si conclude con Brian Jackson, il mitico partner di Gil Scott-Heron in Pieces of a Man e altri classici del Soul anni settanta. Il disco ha il merito di rilanciare un grande dimenticato, che intreccia con Younge, Muhammad e il batterista Malachi Morehead avvolgenti giochi timbrico-ritmici alle tastiere e al flauto. Un percorso ricco di atmosfere ma purtroppo poco incisivo.

Dopo un volume di esplorazioni in studio e un remix sul catalogo pubblicato, i due produttori inaugurano con Jazz Is Dead 11 la seconda serie, coinvolgendo in una compilation veterani e nuovi protagonisti dell'area musicale di riferimento: Lonnie Liston Smith, Jean Carne, Tony Allen, Katalyst e altri. Ne risulta una vetrina di brani ritmicamente esuberanti che anticipano le tappe monografiche successive con gli stessi artisti.

Tra gli album monografici pubblicati nella seconda serie -ricordiamo le ultime uscite di Garrett Saracho (vol.15) e Phil Ranelin & Wendell Harrison (vol. 16)-risultano particolarmente riusciti il volume 13 con l'emergente ensemble Katalyst e il successivo col bassista Henry Franklin.

Formatosi nel settembre 2014 a Los Angeles, Katalyst è un medio organico operante nel vivace quartiere di Leimert Park e si pone al vertice della new wave dei musicisti della Bay Area. Alcuni di loro si sono formati nella Pan Afrikan People's Orchestra di Horace Tapscott, altri nell'area della black popular music californiana di Anderson .Paak e Kendrick Lamar (ma anche di veterani come Gary Bartz e Roy Ayers). I Katalyst hanno debuttato il 25 settembre 2020 con l'album World Galaxy Nine Lives e sono un ensemble di alte potenzialità con eccellenti improvvisatori (oltre che compositori, produttori, scrittori). Accanto al batterista Greg Paul—già presente in altri album della serie-troviamo il trombettista Emile Martinez, il sassofonista David Michael Otis, il trombonista Jonah Levine, i pianisti/tastieristi Brandon Cordoba e Brian Hargrove (fratello del defunto Roy), i bassisti Marlon Spears e Corbin Jones, il percussionista Ahmad Dubois-Dawson.

Jazz Is Dead 13 diventa jazzisticamente pregnante man mano che procede e raggiunge il culmine dalla seconda parte di "Summer Solstice" in poi, attraverso il danzante clima ritmico di "Juneteenth," il serrato "Dogon Cypher" (in splendido equilibrio tra aromi soul e l'acceso intervento free di Martinez) e l'estroso "Reflections" caratterizzato dall'urgenza ritmica di Greg Paul e ottimi assoli in sequenza.

Ancor più aderente ai modelli del jazz, è Jazz Is Dead 14 di Henry Franklin. Contrabbassista dalla lunga carriera (oggi ha 82 anni) è stato sideman negli anni sessanta/settanta di grandi nomi (Hampton Hawes, Sonny Rollins, Woody Shaw, Phil Woods ecc...) e ha inciso vari dischi da leader ma per etichette di scarsa visibilità. Pochi lo ricordano ma i due dischi per la Black Jazz dei primi anni settanta (The Skipper e The Skipper at Home con Charles Owens e Oscar Brashear) sono tra i grandi esempi nell'incontro tra R&B e hard bop. Riscoperti dai DJ per i loro campionamenti sono diventati oggetto di culto.

Alla guida di un classico combo jazz, Franklin guida col suo basso metallico l'esecuzione di otto brani composti assieme a Younge e Muhammad. Temi brevi e ritmicamente caratterizzati, con brevi e incisivi assoli per una durata di trenta minuti. Gli assoli e gli unisono tromba/sax di Clinton Patterson e David Urquidi riportano alla stagione classica dell'hard-bop e il flauto di Scott Mayo alla brezza del West Coast Jazz ma la visionaria chitarra di Jeff Parker crea un legame con il rock e con l'attualità. "Feedback" è il brano più avvincente del disco, con la chitarra distorta di Parker che improvvisa, in un impetuoso confronto psichedelico, con la frase-tema iterata dai fiati.

Concludiamo con l'affermazione di Younge a Down Beat: «Guardando a ciò che abbiamo realizzato negli ultimi cinque anni, pensate davvero che crediamo alla morte del jazz?»

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