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Zeno De Rossi: verso il futuro, volgendo lo sguardo al passato

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L'uscita del CD Zenophilia ci offre l'occasione di una densa chiacchierata con il batterista Zeno De Rossi, toccando un ampio ventaglio della sua versatile e sensibile attività artistica, che ha interagito con i maggiori esponenti del jazz contemporaneo sulla scena italiana, e non solo.

All About Jazz Italia: Iniziamo dunque con il trio attuale, Zenophilia, di cui fanno parte Filippo Vignato al trombone e Piero Bittolo Bon al sax alto: come sei arrivato a questo organico strumentale e quali sono le ragioni di questa scelta, così ben focalizzata sotto il punto di vista timbrico ed espressivo?

Zeno De Rossi: Questa idea mi girava nella testa da un po' di tempo. Volevo provare una formazione che fosse essenziale nell'organico, qualcosa che ricordasse il suono di una marching band o una sezione fiati di rhythm'n blues. Per quel che mi riguarda ho voluto concentrarmi più sull'aspetto legato all'essenza del mio strumento, ovvero quella di portare il tempo, cosa che mi piace fare molto.
Ho capito sin dalla prima prova che la cosa avrebbe funzionato molto bene, soprattutto grazie alla forza espressiva di Piero e Filippo, due musicisti molto caratterizzati (non a caso i loro progetti come leader sono tra i più interessanti nell'odierna scena musicale italiana), ma capaci di funzionare benissimo anche in sezione grazie al loro affiatamento, sviluppatosi collaborando in diverse situazioni, tra cui il gruppo Bread and Fox di Piero.

AAJ: Il CD comprende dieci brani tuoi, molti dei quali nati per altre occasioni. Solo il tema di "Taxi Driver," di Herrmann, e "Feet Music" di Ornette Coleman fanno eccezione. Hai pensato di riunire questi brani come un corpus unico? Con quale pensiero, quale idea di fondo?

ZDR: Mi sono divertito a ripescare dal mio repertorio brani che appartengono a epoche diverse della mia storia musicale: alcuni legati alle mie prime esperienze importanti ("I've Never Been on It Before," "Cats," "Marionette" facevano parte del repertorio del Kaiser Lupowitz Trio, oppure "Red Bird" e "The Daniel Quinn Theme," che facevano parte invece di quello di Sultry); altri scaturiscono da esperienze più recenti ("Henry Zeno," "The Mystery of the Leaping Fish" vengono dal repertorio del Leaping Fish Trio). Altri invece non erano mai stati registrati ("Catfight," "EBDance") e uno è stato composto proprio per questo trio, dedicato alla nascita di mio figlio Elia ("Baboo"). Non suonavo molti di questi brani da tantissimo tempo e quindi è stato bello ritrovarli e ripensarli per questa formazione. Ho scelto poi di inserire le due "cover" semplicemente perché sono due brani che mi piacciono molto e che ho sentito particolarmente adatti a questo gruppo.

AAJ: Vuoi fare un confronto (di intenzioni, di ispirazione e impostazione) tra il trio attuale e il trio del disco Kepos, con Francesco Bigoni e Giorgio Pacorig?

ZDR: Per me sono due facce della stessa medaglia, rappresentano in pieno la mia personalità musicale. Kepos esplora di più il lato aereo ed onirico, lunare in un certo senso, mentre Zenophilia quello più legato alla terra e alle sue radici, quindi l'aspetto che avverte maggiormente il peso della gravità. Ovviamente le due cose si intrecciano e trovano spesso dei punti di incontro, del resto il mio segno zodiacale è di terra, mentre il mio ascendente di aria. Sicuramente mi riconosco in questi due elementi.

AAJ: C'è un altro precedente interessante di trio: The Leaping Fish, con Paolo Botti ed Enrico Terragnoli, del quale come ricordavi riprendi due tuoi brani nell'ultimo CD e che per un certo verso segue traiettorie analoghe. Vuoi fare un parallelo tra le due cose?

ZDR: The Leaping Fish Trio è nato da una mia intuizione, ovvero quella di far incontrare Paolo ed Enrico, con i quali collaboravo da anni in diversi progetti, ma che non si erano mai conosciuti prima. Ero sicuro che avrebbe funzionato sia dal punto di vista musicale che da quello umano e così è stato. È vero, ci sono parecchie analogie con Zenophilia, così come con Rope, il piano trio che condivido con Fabrizio Puglisi e Stefano Senni, ma del resto tutta la mia musica segue un filo rosso che cerco di dipanare esplorando varie strade. Il mio modus operandi è sempre quello di andare inevitabilmente verso il futuro, volgendo lo sguardo al passato come l'Angelus Novus di Paul Klee, descritto perfettamente dalle parole di Walter Benjamin.

AAJ: Un altro trio con il quale ti sei cimentato di recente è quello con Franco DAndrea e Aldo Mella: organico più tradizionale, ma non nei risultati. Ce ne parli brevemente dal tuo punto di vista?

ZDR: È stato molto stimolante prendere parte a questa nuova avventura di Franco. Pur suonando insieme da tantissimi anni, mi era capitato una sola volta di suonare in trio con lui, parecchio tempo fa in sostituzione di Massimo Manzi, con Ares Tavolazzi al basso. Quello che Franco ci chiede è di mescolare le carte il più possibile, spostando i piani sonori. Intendo dire che non si aspetta da noi solo il ruolo della sezione ritmica, ma ci spinge a trovare soluzioni diverse, sfruttando al massimo le possibilità timbriche e dinamiche dei nostri strumenti, in modo che il suono dell'insieme sia diverso da quello del classico piano trio.

AAJ: Parliamo di batteristi: in Zenophilia c'è un omaggio a Ed Blackwell e uno a Joey Baron. In Kepos ce n'è uno rivolto a Paul Motian, al quale dedicasti pure un bel saggio, in occasione della sua scomparsa. Il doppio CD The Manne I Love è interamente focalizzato sulla musica di Shelly Manne. Vuoi spiegare in sintesi quali aspetti ti sembra che leghino, nella tua percezione, le figure di questi quattro grandi artisti? Oppure ognuno entra in modo separato nella tua esperienza e tu fai una sintesi? A questo punto, un cenno su come vedi il tuo modo di suonare...

ZDR: Sicuramente tutti e quattro hanno radici ben solide nella tradizione, pur avendo saputo guardare avanti, diventando tra i batteristi più innovativi della storia del Jazz e non solo. Probabilmente nel mio modo di suonare si possono riconoscere loro influenze, essendo musicisti che ho ascoltato a lungo. Però tutto quello che ho "rubato" dal loro modo unico di suonare ho cercato di filtrarlo, riconducendolo ad un mio ambito personale, attraverso la mia sensibilità e le mie esperienze di vita.

AAJ: Nel solo che dedichi a Blackwell è chiara l'adesione stilistica, già espressa nel titolo "EBDance." Vuoi sintetizzare a parole l'essenza di Blackwell?

ZDR: Quando ascolto Ed Blackwell avverto il suo fortissimo legame con l'Africa e con New Orleans, la sua città natale. La sua forza propulsiva è incredibile e contagiosa, quando lo ascolto mi viene voglia di ballare!

AAJ: Puoi fare la stessa sintesi per Shelly Manne?

ZDR: Shelly Manne rappresenta per me un punto di riferimento, soprattutto per quel che riguarda il suo approccio melodico allo strumento. Un altro aspetto che mi affascina molto è la sua versatilità: è stato uno dei batteristi più registrati della storia ed ha attraversato quasi tutta la musica americana in maniera trasversale.

AAJ: Per Paul Motian?

ZDR: Il suo modo di suonare unico, profondamente radicato nella tradizione ma totalmente moderno e personale, assieme alle sue composizioni semplici e profonde, sono sempre stati un faro che mi ha condotto in luoghi fantastici e di grande bellezza. Era riuscito ad arrivare a una sintesi che gli consentiva di mantenere la musica in perfetto equilibrio con semplici gesti chiari e decisi, e soprattutto con l'uso dei silenzi. È stato un vero maestro nell'arte della sottrazione.

AAJ: Per Joey Baron?

ZDR: Joey è sempre stato per me un altro punto di riferimento. Ho avuto la fortuna di conoscerlo nel 1992, in occasione di uno dei concerti che hanno cambiato la mia vita, quello dei Miniature all'Università di Verona. Da allora con lui è nato un bellissimo rapporto e nel corso del tempo mi ha dato parecchi consigli, incoraggiandomi sempre a cercare la mia strada. Per certi versi lo reputo l'erede naturale di Shelly Manne per le caratteristiche cui ho accennato prima, anche se si è sicuramente spinto molto oltre.

AAJ: Ampliamo il discorso ad altri strumenti: tra i tuoi rapporti privilegiati c'è quello con il sassofonista Chris Speed, con il quale hai pure registrato in duo. Quali sono le coordinate della vostra collaborazione?

ZDR: Io e Chris ci siamo conosciuti nei primissimi anni novanta, in occasione di un concerto di Tim Berne e dei suoi Bloodcount a Verona, gruppo di cui Chris faceva parte. La nostra amicizia si è poi consolidata dopo che nel 2001 lo chiamai a registrare nel mio primo disco ufficiale come leader, Sultry. Da allora ho cercato di coinvolgerlo, quando possibile, come ospite in vari progetti, dai Full Metal Klezmer ai Guano Padano. Poi nel 2011 abbiamo realizzato a New York un progetto collettivo insieme a Danilo Gallo, ospitando il grande Marc Ribot: Midnight Lilacs, uscito solo in vinile, dove oltre a qualche brano originale di tutti e quattro i membri del gruppo, abbiamo riletto alcuni pezzi che facevano parte dei repertori di Chavela Vargas, Django Reinhardt, Paul Motian e Coleman Hawkins.
Purtroppo questo disco è passato un po' inosservato e avrebbe meritato sicuramente più visibilità. Abbiamo poi deciso di provare a chiuderci dentro lo studio del nostro grande amico Alessandro "Asso" Stefana per registrare in duo. Il risultato lo si può ascoltare in Ruins, uscito per l'etichetta di Chris Skirl, un altro disco a cui sono molto legato.

AAJ: La tua partecipazione ad altri progetti di musicisti italiani: vogliamo stringere l'obiettivo su Tinissima di Francesco Bearzatti da un lato e sui gruppi con Mauro Ottolini dall'altro?

ZDR: Quest'anno festeggeremo il decennale di Tinissima. Non è per niente facile riuscire a portare avanti un gruppo per così tanto tempo e devo dire che Francesco è stato molto bravo a tenerlo vivo, scrivendo della musica molto ispirata. Il gruppo è affiatatissimo e l'energia che scaturisce quando suoniamo insieme è molto intensa: nonostante siano passati molti anni e ci siano stati tanti concerti in giro per il mondo, continuiamo a divertirci.
Con Mauro attualmente collaboro nei suoi Sousaphonix e nel progetto dedicato alla musica di W.C. Handy che lui dirige insieme a Roy Paci. Oltre a questo, facciamo parte entrambi e da parecchio tempo del gruppo di Franco D'Andrea. La nostra è una lunga storia di amicizia, abbiamo suonato insieme in tantissimi contesti di qualsiasi tipo, dalla sagra di paese fino ai palchi più prestigiosi d'Europa con Vinicio Capossela. Quello che Mauro cerca di fare con i Sousaphonix ha qualcosa di eroico, soprattutto in questi tempi: portare in giro un gruppo di più di dieci persone è un'impresa ardua, che richiede un grosso dispendio di energie. Per fortuna lui ne ha molta e lo dimostra soprattutto sul palco, perché non è certo un musicista che si risparmia.

AAJ: Conclusione classica: cosa verrà dopo Zenophilia?

ZDR: Proprio in questi giorni ho registrato il materiale che farà parte del nuovo disco del mio trio Kepos, con Francesco Bigoni e Giorgio Pacorig. Poi sto lavorando a un progetto molto importante, che si concretizzerà ad ottobre: un gruppo collettivo che condividerò con Pasquale Mirra al vibrafono, Pacorig al piano e Fender Rhodes, Filippo Vignato al trombone e il grande Hank Roberts al violoncello e alla voce: uno dei miei musicisti preferiti.

Foto: Roberto Cavalli

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