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William Parker, Hamid Drake e Pasquale Mirra, alla stazione Leopolda di Firenze
William Parker e Hamid Drake Duo, ospite Pasquale Mirra
Fabbrica Europa
Stazione Leopolda
Firenze
14.05.2017
All'interno di un'edizione di Fabbrica Europa nella quale John Coltrane, nel cinquantenario della scomparsa, era centrale non solo per la musica (il programma si era aperto con un balletto costruito su A Love Supreme), anche il concerto dell'affiatato duo del contrabbassista William Parker e del batterista Hamid Drake -intitolato "A Love, Naked" -era incentrato su un omaggio al grande sassofonista africano americano. In realtà, quel che è andato in scena aveva un riferimento a Coltrane del tutto ideale, giacché la musica -suddivisa in tre scene tra loro molto diverse -è sembrata muoversi in altre direzioni.
La prima mezzora abbondante, un po' a sorpresa, ha visto Parker lasciare il contrabbasso disteso alle sue spalle e suonare, con rapidi cambi, una serie di strumenti diversi: prima la tromba, poi piccole percussioni, quindi flauti, flautini e zurna, con qualche breve passaggio vocale. Il tutto duettando con Drake che, impegnato su un tamburo a cornice, intonava con la voce degli evocativi canti rituali, in alcuni passi i medesimi usati da Jim Pepper come introduzioni dei suoi brani di derivazione nativo americana. Questa prima parte è stata in alcuni momenti suggestiva e toccante, ma è parsa un po' troppo lunga, anche perché Parker non è certo sembrato padroneggiare pienamente le possibilità espressive degli strumenti impiegati.
Lo scenario è cambiato del tutto quando Drake si è spostato alla batteria, subito seguito da Parker, che ha preso possesso del suo contrabbasso. Qui, per un'altra mezz'ora circa, i due hanno dialogato fittamente quasi senza soluzione di continuità, scambiandosi ripetutamente le celle ritmiche, anche se il ruolo di Parker è sembrato soprattutto monotematicamente propulsivo, mentre quello di Drake maggiormente libero di prodursi in scoppiettanti assoli. Pur nell'impressionante energia del contrabbassista (apparentemente indisturbato da un problema all'amplificazione del suo strumento, risolto dai tecnici dopo qualche minuto) e alla comunicativa del batterista, anche questa parte alla lunga è sembrata un po' ripetitiva.
La terza, ultima e forse più convincente parte dello spettacolo ha visto salire sul palcoscenico Pasquale Mirra, che con il suo vibrafono si è inserito nel dialogo tra i due, mutandone equilibri e colori. Dopo qualche comprensibile esitazione (i tre suonavano assieme per la prima volta), il concerto è decollato, con il contrabbasso di Parker a svolgere un ruolo di cardine attorno al quale ruotavano le evoluzioni percussive degli altri due protagonisti: potenti, profonde ed esplosive quelle di Drake, più fantasiose, scintillanti e dinamicamente mutevoli quelle di Mirra, che così si completavano a vicenda, con grande guadagno sull'economia complessiva dei suoni. Vantaggio del quale si è avvalso lo stesso Parker, apparso qui non meno potente, ma meno monocorde e più creativo nel suo dettare spunti all'uno o all'altro dei suoi compagni.
Complessivamente, uno spettacolo che ha un po' sorpreso, vuoi per la sua variata struttura tripartita, vuoi per la difficile lettura della medesima quale omaggio a Coltrane -se non forse, anche se un po' astrattamente, per la spiritualità latente nella prima sezione. Ma che non è stato carente di intensità e di momenti interessanti.
Foto: Caterina Di Biase
Fabbrica Europa
Stazione Leopolda
Firenze
14.05.2017
All'interno di un'edizione di Fabbrica Europa nella quale John Coltrane, nel cinquantenario della scomparsa, era centrale non solo per la musica (il programma si era aperto con un balletto costruito su A Love Supreme), anche il concerto dell'affiatato duo del contrabbassista William Parker e del batterista Hamid Drake -intitolato "A Love, Naked" -era incentrato su un omaggio al grande sassofonista africano americano. In realtà, quel che è andato in scena aveva un riferimento a Coltrane del tutto ideale, giacché la musica -suddivisa in tre scene tra loro molto diverse -è sembrata muoversi in altre direzioni.
La prima mezzora abbondante, un po' a sorpresa, ha visto Parker lasciare il contrabbasso disteso alle sue spalle e suonare, con rapidi cambi, una serie di strumenti diversi: prima la tromba, poi piccole percussioni, quindi flauti, flautini e zurna, con qualche breve passaggio vocale. Il tutto duettando con Drake che, impegnato su un tamburo a cornice, intonava con la voce degli evocativi canti rituali, in alcuni passi i medesimi usati da Jim Pepper come introduzioni dei suoi brani di derivazione nativo americana. Questa prima parte è stata in alcuni momenti suggestiva e toccante, ma è parsa un po' troppo lunga, anche perché Parker non è certo sembrato padroneggiare pienamente le possibilità espressive degli strumenti impiegati.
Lo scenario è cambiato del tutto quando Drake si è spostato alla batteria, subito seguito da Parker, che ha preso possesso del suo contrabbasso. Qui, per un'altra mezz'ora circa, i due hanno dialogato fittamente quasi senza soluzione di continuità, scambiandosi ripetutamente le celle ritmiche, anche se il ruolo di Parker è sembrato soprattutto monotematicamente propulsivo, mentre quello di Drake maggiormente libero di prodursi in scoppiettanti assoli. Pur nell'impressionante energia del contrabbassista (apparentemente indisturbato da un problema all'amplificazione del suo strumento, risolto dai tecnici dopo qualche minuto) e alla comunicativa del batterista, anche questa parte alla lunga è sembrata un po' ripetitiva.
La terza, ultima e forse più convincente parte dello spettacolo ha visto salire sul palcoscenico Pasquale Mirra, che con il suo vibrafono si è inserito nel dialogo tra i due, mutandone equilibri e colori. Dopo qualche comprensibile esitazione (i tre suonavano assieme per la prima volta), il concerto è decollato, con il contrabbasso di Parker a svolgere un ruolo di cardine attorno al quale ruotavano le evoluzioni percussive degli altri due protagonisti: potenti, profonde ed esplosive quelle di Drake, più fantasiose, scintillanti e dinamicamente mutevoli quelle di Mirra, che così si completavano a vicenda, con grande guadagno sull'economia complessiva dei suoni. Vantaggio del quale si è avvalso lo stesso Parker, apparso qui non meno potente, ma meno monocorde e più creativo nel suo dettare spunti all'uno o all'altro dei suoi compagni.
Complessivamente, uno spettacolo che ha un po' sorpreso, vuoi per la sua variata struttura tripartita, vuoi per la difficile lettura della medesima quale omaggio a Coltrane -se non forse, anche se un po' astrattamente, per la spiritualità latente nella prima sezione. Ma che non è stato carente di intensità e di momenti interessanti.
Foto: Caterina Di Biase
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