Mark Feldman: What Exit

I quattro musicisti si esibiscono sontuosamente: Rainey è sempre vistosamente (ma non inopportunamente) sulla scena ritmicamente; Jormin pervade con la solida sonorità del contrabbasso il fluire sonoro, anche quando non si avventura in assolo; Taylor apre frequenti scenari di chiarore con la sua nitida tastiera; Feldman, ovviamente, domina la scena solista, senza quasi mai spingersi su forme strumentali estreme, ma sfruttando ogni recondita modalità tradizionale del suo violino per esporre con intensità i dettagli delle narrazioni.

Particolarmente coinvolgenti i frequenti duetti tra violino e contrabbasso, mentre va sottolineato il ruolo di Taylor nell’ancorare le atmosfere al versante jazzistico, terremotato viceversa da un Feldman sempre pronto a manifestarsi invece su quello dell’avanguardia contemporanea.

Il lavoro presenta nella sua interezza un costante alternarsi del dinamismo ad una gravità sospesa che ricorda certe pagine del primo novecento (Bartok); ciò produce una sorta di suspense che conduce l’ascoltatore dalla prima all’ultima traccia senza lasciare respiro, grazie anche alla nitidezza dei suoni, che riempiono ogni interstizio.

Vale la pena sottolineare che si tratta di uno dei lavori più importanti del 2006.

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