Con questo album dal titolo praticamente impronunciabile (e intrascrivibile), inciso fra il giugno 2012 e l'aprile seguente, la californiana Odeya Nini firma il suo primo lavoro in totale solitudine. Il suo approccio all'elemento-voce rimanda alle sperimentazioni più ardite in materia (ciò che, per fare un esempio, intrappolò l'indimenticato Demetrio Stratos negli ultimi anni della sua vita). Il disco include così ogni variante immaginabile nell'impiego della fonte di espressione primaria di ogni essere umano, anche in sovraincisione e con l'episodica presenza di rumorismi vari.
Innumerevoli sono le fonti di "induzione" del materiale affrontato: ancestralità e futuribilità, sacralità e quotidianità, suoni provenienti dalla natura più disarmata come dalla ricerca più spinta, teatro e visualità in senso lato, e, ancora, Mongolia, Yemen (ebraico), ovviamente Stati Uniti, Messico, Italia, Israele...
Ne vien fuori un campionario di suoni e situazioni varie che potremmo anche dilungarci ulteriormente a raccontare (enumerare, in verità), ma di cui è molto meglio prendere atto direttamente de auditu. Ovviamente non temendoanzi cercando, caparbiamentela sorpresa, l'inusitato, l'inaudito. Se non tutto è memorabile, infatti, in questo lavoro, certo tutto costituisce un ascolto che raramente vi capiterà di rifare.
Track Listing
Mi See Ti; Dalai; Everyday Cantor; Idiomia; Tunnel; Tapestry of Synonyms; There Are So Many Things That I Have to Tell You; Cyclicality.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o