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Un’energia vitale: intervista a Carla Marciano

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Esprimo sentimenti in un fluire continuo di contenuti mentali senza un'organizzazione troppo pensata a priori.
Carla Marciano è una vera. Folgorata in giovane età dalla figura musicale e spirituale di John Coltrane, porta avanti da dieci anni un discorso jazzistico che non conosce compromessi formali né espressivi. Stream of Consciousness è l'album che ne ribadisce la filosofia, che nasce dal fulcro dell'emozione per poi farsi idea concreta. La sua è una musica che si mischia con le influenze della pittura e della letteratura, e che si libera in tutta la pienezza in soli torrenziali, ricchi di sfumature e dettagli. L'abbiamo contattata per cercare di inseguire il suo flusso di coscienza.

All About Jazz Italia: Come è nata la tua passione per il jazz?

Carla Marciano: È nata presto, da ragazzina. Quando avevo dieci anni ho iniziato con il pianoforte, poi mi sono appassionata al sax. Avevo il desiderio di suonare uno strumento a fiato. Mio padre suonava la chitarra a livello amatoriale, era un ascoltore di musica e di jazz in particolare. Mi ha trasmesso lui, insieme ai suoi amici, questa passione. È stato lui ha regalarmi un sax per il mio compleanno. Avevo una forma d'asma, quindi non mi era stato regalato fino a una certa età. Da lì in poi è iniziata questa avventura, con uno strumento poco suonato dalle donne. Ho avuto solo modelli maschili del resto.

AAJ: Il pianoforte lo utilizzi ancora per comporre?

C.M.: Quasi sempre compongo i pezzi al piano. La conoscenza di questo strumento mi è stata di grandissimo aiuto. Conoscere uno strumento armonico per chi suona un fiato apre maggiormente la visione musicale e la mente. Oggi credo che tutti gli stumentisti a fiato abbiano una conoscenza del piano. Per me è fondamentale. Il lavoro compositivo mi ha sempre interessato molto, come la ricerca armonica, il fraseggio, il linguaggio e l'improvvisazione. Ricerco cose all'interno dell'armonia per poi potermi aprire liberamente nella parte improvvisativa, come amo fare. I miei brani nascono da idee melodiche al piano che poi si sviluppano e prendono forma, armonicamente e dal punto di vista dell'arrangiamento.

AAJ: John Coltrane, oltre che un'ispirazione stilistica, è anche una guida spirituale?

C.M.: Sì, per me ha rappresentato un perno del mio percorso musicale. Sul sax e sul jazz sono un'autoditta, ho suonato e studiato ascoltando i dischi. Sono diplomata al conservatorio però in clarinetto, che è tutt'altra storia. Sono stata folgarata da Coltrane fin da quando l'ho iniziato ad ascoltare. Ha rappresentato per me il modo per farmi appassionare in una maniera incredibile. A parte la ricerca puramente tecnica, Coltrane ha sempre avuto qualcosa che mi prendeva al di là del solo fatto musicale. Mi ha colpito a livello emozioanale. Poi ho cercato, soprattutto all'inizio, una sintonia spirituale. È venuta da sé, in maniera spontanea. Oggi suono quello che mi viene dal cuore, dalle emozioni e dal mio suono interiore. Nel mood c'è sempre un qualcosa che mi riporta alla sintonia con lui. Questo senza tralasciare tanti altri che mi hanno influenzato. Parlo dei grandi della storia come Charlie Parker e Joe Henderson, che mi è sempre piaciuto moltissimo e che ho studiato e decifrato a fondo. Anche il Rollins degli anni '60 e tutti quelli che hanno avuto una forte evoluzione. Coltrane ha cominicato con i dischi con Davis, passando per A Love Supreme fino ai dischi estremi, quasi free, dei dischi di ricerca, di grandissimo vigore spitituale.

AAJ: Stream of Consciousness, oltre a essere il titolo del tuo lavoro più recente, si riferisce a un preciso procedimento espressivo.

C.M.: In effetti sì. Sono venuta a conoscenza, tramite le mie letture e ricerche di altro genere, del flusso di coscienza, che era una tecnica narrativa usata in particolare da Joyce, nella quale mi sono ritrovata. Ho dato un nome a quello che già facevo da tanto. Intendere la musica come espressione di una condizione spirituale, emotiva ed esistenziale. I miei pensieri riversati nella musica con un linguaggio completamente aperto e libero. Aperto anche ai rischi. A volte mi capita di suonare una ballad che poi si può trasformare in qualcosa di violento. Mi piace tenere questa apertura al servizio delle emozioni, utilizzare la musica per sprimere me stessa. Esprimo sentimenti in un fluire continuo di contenuti mentali senza un'organizzazione troppo pensata a priori. In musica si può tradurre in un linguaggio improvvisativo, istintivo, che poi alla fine sottintende delle grandi conoscenze, al servizio dell'immediatezza del sentire interiore.

AAJ: In tutto ciò l'interesse per altre forme d'arte, come la pittura, influenza la tua musica?

C.M.: Direi di sì. Ho dipinto per un periodo della mia vita e ho trovato un forte accostamento tra la tecnica espressionista e la mia musica. La pittura mi appassiona. L'espressionismo è un orientamento artistico che si basa sulla libertà espressiva, che va al di là dell'oggettività delle cose. Il pittore mette su tela la sua condizioni esistenziale senza mediazione, con colori forti e linee dure fino alla deformazione della realtà. È un prodotto per certi versi spinto, molto interessante.

AAJ: Un'intensità che si rispecchia nei tuoi soli.

C.M.: È lì il senso della mia musica, il flusso di coscienza, che fa perno sull'improvvisazione. Non c'è forma d'arte migliore per questo tipo di espressioni artistiche che la musica. Il mio linguaggio improvvisativo è molto presente all'interno di questo lavoro. I soli sono molto lunghi, perché quando ciascuno del quartetto ha smesso di dire quello che ha dentro si ferma, ma se ha voglia può andare avanti quanto vuole. È importante essere autentici e sinceri. Così viene fuori il musicista vero, non un prodotto confezionato per fare una deteminata cosa. Siamo autentici, poi può piacere o meno, ma è un rischio che va corso. Potremmo fare qualcosa di più ordinato, ma non mi sentirei me stessa. Nella vita non dico molte parole, quindi cerco di dire tutto attraverso la musica. Mi piace portere un messaggio di energia positiva. Un'energia vitale.

AAJ: Hai pensato la title track come un trittico.

C.M.: Le mie composizioni, dal punto della struttura, sono costruite a priori, poi la faccenda del flusso di coscienza, tradotta nell'improvvisazione viene in maniera spontanea. La suite è divisa in tre parti. È un percorso che ho immaginato di vedere. È il percorso di un'emozione, dal momento che compare nella nostra mente fino all'espressione finale. È il processo che va dalla percezione alla musica. "Proceding/Inner Blast" è il momento in cui questa emozione si avverte dentro di noi; poi c'è "Consequence" dove c'è l'elaborazione dell'emozione; mentre in "Turning Point," che è la parte conclusiva, prende forma.

AAJ: La tua band è insieme da molto tempo.

C.M.: Lavoro quasi sempre in quartetto, (nomi)che poi è lo stesso dal primo disco del 2002. Ora siamo al quarto con questa formazione, che porto avanti con la mia "capatosta" (ride, N.d.R.) per poter dire qualcosa di concreto ed identificabile. Noi siamo una formazione che va avanti insieme e si evolve. È questo il motivo perché con loro c'è una grande sintonia e ci sentiamo liberi di esprimere determinati contenuti, senza compromessi. Ci conosciamo benissimo e tutto è molto più semplice. Il discorso è il mio, ma lavoriamo insieme e gli altri si sentono parte integrale del progetto, anche umanamente.

AAJ: Quanto è difficile per una donna vivere di jazz?

C.M.: È difficile in generale fare musica, per una donna come per un uomo. Non credo ci sia discriminazione, più che altro desto sorpresa in chi mi ascolta, che tutto sommato mi fa piacere. È una sorpresa in senso positivo. È difficile vivere di sola musica, soprattutto di un certo tipo di musica. In Italia più che all'estero. La discriminazione la vedo nell'apertura verso un jazz più di ricerca. Questo lo avverto. Non sono tanti i musicisti che fanno questo percorso e la gente non è abituata a sentire questo genere di usica. Sicuramante negli Stati Uniti questo non avviene. Lì c'è un'apertura mentale diversa.

Foto di Richard Conde (la prima), Piero Mellone (la seconda), Paolo Acquati (la terza), Donato Guarnieri (la quarta).

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