Home » Articoli » Live Review » Umbria Jazz 2019 - Seconda parte

Umbria Jazz 2019 - Seconda parte

By

Sign in to view read count
Umbria Jazz 2019
Perugia, varie sedi
12-21.7.2019

Dopo aver affrontato nella prima parte della recensione un sintetico resoconto dei concerti svoltisi all'Arena Santa Giuliana e alla Sala Podiani della Galleria Nazionale dell'Umbria, prendiamo ora in considerazione alcuni degli appuntamenti tenutisi al Teatro Morlacchi, tutti di sicura valenza jazzistica; a cominciare dalla prova di Charles Lloyd, che a ottantuno anni non finisce ancora di sorprendere.

Il sassofonista infatti ha rinunciato in buona parte a quella cifra evocativa, mistica e meditativa di derivazione coltraniana che negli ultimi decenni lo ha reso famoso, acquistando un tono decisamente bluesy, più diretto. Questo grazie anche all'apporto dei partner di cui si è contornato: Eric Harland alla batteria, trattata sempre in modo pertinente e molto misurato e Reuben Rogers al basso elettrico, altrettanto morbido e tenuto sempre in sottofondo. Ma soprattutto Lloyd ha ingaggiato due chitarristi emergenti e di grande spessore, ai quali è stato concesso molto spazio: Julian Lage e Marvin Sewell. Questi si sono fronteggiati in una generosa competizione, usufruendo in ogni brano di almeno un intervento solistico a testa: più fantasiose le invenzioni del primo, più immediate le soluzioni del secondo. Quanto alla pronuncia del leader, è parsa più frammentata e scabra di un tempo, più allusiva e antileziosa, inserendo velate citazioni di temi di Ayler e Ornette. Anche se nel complesso la performance ha presentato uno schema un po' ripetitivo, in diversi momenti tuttavia ha raggiunto vette di eccellenza, inerpicandosi in progressioni irresistibili o sostando talvolta in scontrose meditazioni.

Al Morlacchi è stata elevata e di qualità anche la presenza italiana. Rosario Giuliani, al quale la Cassa di Risparmio di Perugia ha assegnato il Premio 2019 come Ambasciatore dell'Umbria nel mondo, ha suonato alla testa del quartetto The Hidden Side, completato da Alessandro Lanzoni, Luca Fattorini e Fabrizio Sferra.

La densa compattezza della formazione costituisce senz'altro un pregio, ma comporta anche qualche limite alla sua musica. È un pregio perché tende a costruire una condizione sonora perennemente sostenuta e satura, che è quello che il leader esige a sostegno del suo mondo espressivo intenso e concitato; da un altro punto di vista può rappresentare un limite in quanto, perfino nel ritagliare i vari spazi solistici, questo contesto rischia di diventare troppo continuo e vincolante, stemperandosi raramente in fasi di ripensamento, in mood più riflessivi e poetici. Positivo quindi che nella parte finale del concerto sia stata recuperata ”Suite et pour suite”, scritta da Giuliani nel 2004, la cui parabola narrativa alterna modalità espressive diversificate, e che come bis sia stato riproposto il distensivo ”Dream House”. Nel risultato complessivo della performance rimangono da rilevare inoltre il drumming pervadente, spumeggiante dell'esperto Sferra e il pianismo del giovane Lanzoni, la cui ricerca assidua possiede un'autentica austerità di fondo, di derivazione tristaniana.

Da non perdere l'Enrico Rava Special Edition all'interno del tour in occasione degli ottant'anni del trombettista. Come sempre nella conduzione di questa formazione allargata si è verificato, ed ha convinto, quel modo aperto, quasi attendista, di sviluppare i temi e cucire gli interventi. Sulla solida base fornita dall'ormai affiatatissimo binomio Gabriele EvangelistaEnrico Morello e sul largo spazio concesso ai variegati, sapienti interventi connettivi di Giovanni Guidi, già da tempo pilastro della formazione, si sono inserite le dinamiche essenziali e forbite degli intrecci fra flicorno, sax tenore e chitarra. A tale proposito è doveroso sottolineare ancora una volta la rotonda e sorprendente pienezza della pronuncia del flicorno del leader e mettere in evidenza l'apporto fornito dal nuovo entrato Francesco Bearzatti: eccentrico, scanzonato, sulfureo al clarinetto, di una sensualità stentorea, dalle inflessioni popolaresche al tenore. Allucinati gli interventi di Francesco Diodati, che in alcuni passaggi ha affiancato Guidi in un insolito e leggiadro intreccio timbrico.

L'attività di Paolo Fresu è talmente frenetica, la sua esposizione con varie collaborazioni e progetti è talmente ampia che il pubblico e la critica sono sempre in attesa di sue nuove idee, di sodalizi inediti. A Perugia ho ascoltato per la prima volta il duo con il contrabbassista svedese Lars Danielsson, che recentemente ha già lasciato traccia su un disco della Act. In questa partnership s'incontrano le rispettive culture d'origine, sarda e scandinava, ma soprattutto s'intersecano idee musicali di varia natura, compreso Bach, derivanti dalle esperienze passate dei due comprimari. Alcuni brani hanno evocato paesaggi sonori e visivi antichi, silenziosi, austeri, altri sono stati portatori di una dinamica determinazione; il lontano ma non rinunciatario fatalismo di alcune situazioni ha lasciato il posto a cadenze più propositive e vivaci. La versione di ”Les Feuilles mortes” ha preso momentaneamente un'andatura arabeggiante grazie al violoncello amplificato di Danielsson. Il tutto convalidato dal sound sinergico, equilibrato e soft dei due strepitosi strumentisti. Una sottolineatura merita la tromba sordinata di Fresu rispetto al prevalente uso del flicorno.

Dopo un anno circa di pausa si è ricompattata l'esperienza del B.A.M., progetto con un CD alle spalle che integra il quartetto d'archi Alborada con la pronuncia jazzistica di Marco Bardoscia al contrabbasso e Rita Marcotulli al piano. In un repertorio composito, prevalentemente di original a firma dei vari componenti del gruppo, in un brano ha fatto capolino una suadente impronta minimalista, mentre in più occasioni la cadenza del tango è comparsa più o meno diretta. La dimensione esplicitamente cameristica ha propagato atmosfere sognanti, evocative, un andamento forse un po' uniforme e statico, che in un paio di occasioni è stato ravvivato dagli interventi di Rita Marcotulli. In un brano alla formazione si è poi occasionalmente aggiunto Mirko Rubegni alla tromba, che ha apportato un colore nuovo, opportunamente cadenzato.

Per concludere questo selettivo resoconto del festival umbro, è il caso di puntare l'attenzione su due nomi nuovi che hanno rappresentato le gradite rivelazioni di questa edizione: il gruppo Blacktet di Marquis Hill e la cantante Veronica Swift.

C'è un esplicito orgoglio nero nel sestetto chicagoano Blacktet del trombettista trentaduenne Marquis Hill, che conta al suo attivo la vittoria in alcune prestigiose competizioni internazionali. La musica proposta al Teatro Morlacchi, basata su original ben concepiti, si potrebbe definire un mainsteam avanzato, che al suo interno contiene una notevole visione della struttura generale, ma anche infiltrazioni di improvvisazioni free e una considerevole esposizione del protagonismo individuale. A brani brevi in duo o in trio, per lo più ballad essenziali, si sono alternati brani lunghi, prevalentemente su tempi sostenuti, in cui il sestetto ha emanato una forte coesione collettiva sull'infuocata propulsione ritmica tramata da Jeremiah Hunt al contrabbasso e Jonathan Pinson alla batteria. Rimarchevole, per la ricercata, caparbia elaborazione, anche il pianismo di Jan Michael Looking Wolf, mentre in primo piano s'intrecciavano le tre voci della front line: oltre alla tromba dell'autorevole leader, piena e concentrata, mai ovvia, il vibrafonista Joel Ross, non un virtuoso ma dal procedere efficace e finalizzato, e soprattutto il contralto di Patrick Bartley Jr, le cui concatenate e brucianti progressioni erano spaziate dai giusti intervalli.

Veronica Swift si è esibita per una settimana all'hotel Brufani, sempre applauditissima e perfettamente sostenuta dal trio di Benny Green. La giovane cantante, newyorchese e figlia d'arte, ha rivelato doti vocali incredibili: una modulazione limpida e mobile nel registro medio-alto; un'intonazione perfetta sia nei tempi spericolati che nelle ballad intimiste; un delicato uso del vibrato; l'ammiccante arguzia interpretativa dei testi di un ampio repertorio; la capacità di sostenere dei sublimi pianissimo, un sofisticato timing e la personale elaborazione degli scat... Oggi la Swift si impone per il suo straordinario, coinvolgente virtuosismo; per affermarsi a livello internazionale come una star dalla personalità unica, è probabile che in futuro debba indirizzare in modo più selettivo e originale il suo enorme bagaglio tecnico e stilistico.

Foto: Roberto Cifarelli.

< Previous
Subsuelo

Comments

Tags


For the Love of Jazz
Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who create it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

You Can Help
To expand our coverage even further and develop new means to foster jazz discovery and connectivity we need your help. You can become a sustaining member for a modest $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination will vastly improve your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

Near

More

Popular

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.