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The Shape of Italian Jazz to Come? Federico Scettri

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Di sicuro la batteria si occupa spesso del groove, ma è soprattutto il suono che mi interessa: la qualità del proprio suono sullo strumento, indipendentemente dalla qualità della batteria o dei piatti!
Per la prima puntata di The Shape of Jazz to Come? - la nuova rubrica dedicata ai giovani da tenere d'occhio sulla scena jazz italiana - siamo andati a curiosare dietro i tamburi della Cosmic Band di Gianluca Petrella, perché è lì che solitamente opera Federico Scettri: batterista romano, classe '85, entusiasmo da vendere.

Nel suo presente però non c'è solo l'esperienza con l'ensemble del trombonista, ma una serie di iniziative e progetti che fanno pensare a un futuro tutt'altro che monotono

All About Jazz: Raccontaci come è andato il primo incontro con la batteria e con il jazz.

Federico Scettri: Ho iniziato a suonare presto, a circa quattro anni. Per gioco costruivo dei piccoli set con scatole e pentole, e li percuotevo con posate e mestoli da cucina. La mia passione per la musica la devo a mio padre, che insegnava organo al conservatorio, e alla sua immensa collezione di dischi di musica classica: quindi non ricordo di aver "iniziato" a interessarmi alla musica, c'è sempre stata!

Per quanto riguarda la batteria, ricordo che a circa sette anni andai a seguire una lezione e fui subito entusiasta. In seguito ebbi l'occasione di partecipare ai laboratori del pianista Ramberto Ciammarughi, che mi diede la possibilità di avvicinarmi all'improvvisazione e alla musica jazz. Ho continuato la mia esplorazione con un periodo di lezioni da Fabrizio Sferra e poi con Ettore Fioravanti, "Siena Jazz" e i laboratori di Stefano Battaglia, esperienza che ha cambiato radicalmente il mio modo di vedere la musica.

AAJ: Qual è stato il tuo percorso di formazione sul campo?

F.S.: Le mie prime esperienze le ricordo intorno ai dodici anni in alcune scuole di musica a Roma, e quindi i primi concerti con gruppi cover, soprattutto rock e pop. Molto importante è stato l'incontro con Derek Wilson, batterista attivo nella musica pop italiana, che negli anni mi ha trasmesso una forte disciplina sullo strumento e la capacità di avere "grandi orecchie" quando si suona. Durante il liceo ho poi approfondito la tecnica con un altro ottimo insegnante, Ettore Mancini, ma il momento più interessante è stato quando un paio d'anni dopo il liceo mi sono trasferito a Bologna, è lì che ho conosciuto e poi collaborato con tanti musicisti (ad esempio Domenico Caliri, Edoardo Marraffa, Antonio Borghini) che hanno "formato" il mio percorso e che mi hanno fatto ascoltare e conoscere la musica in maniera profonda.

AAJ: Quando hai capito di essere diventato musicista a tutti gli effetti?

F.S.: Durante il liceo la musica occupava praticamente tutto il mio tempo al di fuori degli studi scolastici, anche durante un anno intero in cui non potei suonare a causa di una forte tendinite a un polso. E così anche dopo la scuola: non ho fatto altro che suonare e affrontare le prime esperienze professionali, che mi hanno appassionato sempre di più alla musica e alla composizione, alla quale mi sono avvicinato da un po' di tempo.

AAJ: Quali sono i progetti musicali nei quali sei attualmente impegnato?

F.S.: I gruppi con cui collaboro sono molto diversi tra loro e in ognuno riesco a esprimere le mie idee, trovando il mio "posto" all'interno della musica: Orange Room, un sestetto condotto da Beppe Scardino; Pospaghemme, in duo sempre con Beppe Scardino; Headless Cat, in trio con Francesco Bigoni e Antonio Borghini; East Rodeo, un gruppo con i musicisti croati Alen Sinkauz e Nenad Sinkauz, insieme ad Alfonso Santimone; Jump the Shark, un quintetto diretto da Piero Bittolo Bon. Inoltre collaboro anche con il gruppo della cantante Patrizia Laquidara e con Funky Football, un progetto su Bretches Brew di Miles Davis condotto da Enrico Merlin.

AAJ: Mentre Coming Tomorrow: Part One con la Cosmic Band di Gianluca Petrella è l'ultimo lavoro a cui hai preso parte. Come è organizzato il vostro lavoro di squadra? Qual è il tuo ruolo specifico nei meccanismi del gruppo?

F.S.: Una band di dieci elementi è una formazione molto ampia e quindi l'elemento fondamentale è Gianluca Petrella, non tanto come direttore, quanto come organizzatore della musica. Il materiale scritto è molto aperto, perciò l'obiettivo sta nel dare una direzione alla musica nel senso della densità sonora, delle dinamiche, e degli eventi musicali durante il concerto.

Io, in particolare, non mi sento legato a un ruolo preciso. Di sicuro la batteria si occupa spesso del groove, ma è soprattutto il suono che mi interessa: la qualità del proprio suono sullo strumento, indipendentemente dalla qualità della batteria o dei piatti! Nel tempo e nei vari concerti che abbiamo tenuto ho cercato di coltivare la capacità di ascoltare quello che succede, recepire immediatamente ed essere molto reattivo. Questo non vuol dire che la musica deve essere sempre mutevole, ma che bisogna saper scegliere il momento giusto per far accadere qualcosa. In tal senso, un gruppo così numeroso offre molti stimoli.

AAJ: In che modo il batterista può liberarsi degli stereotipi che lo inquadrano "semplicemente" come portatore del ritmo per gli altri musicisti?

F.S.: Direi che la batteria è solo uno strumento, come lo è un sassofono o la voce o una chitarra. Di sicuro in molte tradizioni musicali la batteria e le percussioni sono strumenti dedicati più all'aspetto ritmico della musica. Penso sia solo una questione di scelta da parte delle persone. Esistono moltissimi esempi dove la batteria ha un ruolo melodico nel discorso musicale, lavorando più sulla tessitura sonora e timbrica, piuttosto che sulla scansione ritmica di ciò che suona. Ascoltare la musica classica dal primo Novecento in poi, ma anche lo studio dell'improvvisazione e della musica ad essa legata, mi hanno insegnato come tutti gli strumenti (e soprattutto quelli a percussione) possano essere esplorati e utilizzati in maniera del tutto creativa.

AAJ: L'esperienza con Gianluca Petrella ti potrà tornare utile per un eventuale progetto da leader?

F.S.: Mi ritengo molto fortunato a suonare con Gianluca sia sotto il profilo artistico che professionale, e di sicuro la sua personalità nella musica e sul palco mi ha insegnato molto: quando suoni "deve" succedere qualcosa, in quel momento. Un'esperienza del genere poi ha giovato anche sul piano della visibilità mediatica, e sono contento quando vedo che tanti musicisti mi conoscono e mi apprezzano proprio grazie al fatto che suono con Gianluca Petrella. Speriamo che questa carta in più porti dei frutti e non rimanga fine a se stessa! Visto soprattutto il periodo di "refrattarietà culturale" che stiamo vivendo. Vedo un certo rifiuto, da parte dei festival e degli addetti ai lavori, verso nuovi gruppi sconosciuti che se non fanno capo a un musicista già famoso non vengono quasi mai presi in considerazione.

AAJ: Quali sono gli aspetti sui quali vuoi concentrarti per progredire ulteriormente e i punti di forza del tuo modo di fare musica?

F.S.: Direi che la disciplina mi ha sempre aiutato a essere metodico nello studio. Quindi cerco di essere innanzitutto costante sia nella pratica dello strumento che nell'ascolto dei dischi e nella scrittura. Ho imparato nel tempo a non avere troppa fretta, a non bruciare le tappe. Non penso ci siano grandi segreti in questo senso: l'unico modo è impegnarsi e imparare a concentrarsi, magari anche su degli elementi molto semplici, ma cercando sempre di migliorarsi e di lavorare sui propri limiti.

AAJ: Se accendo il tuo iPod, cosa trovo in play?

F.S.: Di sicuro i Meters: ho comprato da poco il loro primo disco e Zigaboo Modeliste è stato una grande scoperta! Poi anche Quaristice un disco degli Autechre, un gruppo inglese di musica elettronica, veramente unici in quel genere. Poi Pretzel Logic degli Steely Dan, una mia grande passione. E ovviamente Such Sweet Thunder dell'orchestra di Ellington, una musica che ogni volta mi sorprende, e l'orchestra di Jimmie Lunceford: amo soprattutto la creatività dei batteristi di cento anni fa! Un grande maestro è per me Sergiu Celibidache che dirige la "Sinfonia n.9" di Bruckner, e grande ispirazione trovo nell'Ensemble Intercontemporain che suona Xenakis. Di recente mi hanno prestato un disco del Transatlantic Art Ensemble diretto da Evan Parker e Roscoe Mitchell: spaziale è dire poco.

AAJ: Nella tua vita, oltre che per la musica, quali altri interessi o passioni coltivi?

F.S.: Da qualche anno ho ripreso a leggere, cosa che ahimè ho praticato poco durante la scuola: letture piuttosto random, da Agota Kristof, a Brodskij, a Konrad Lorenz, a Jodorowsky. Mi fido molto dei consigli dei miei amici!

Foto di Claudio Casanova (la quarta e la quinta)


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