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The Klezmatics
ByRitorno a Firenze dopo 14 anni (ma la scorsa estate erano passati dalla provincia, per il festival dei Busker di Pelago) per i Klezmatic, assoluti protagonisti del revival che la musica yiddish ha avuto a partire dai primi anni ’90.
Era novembre del 1994 quando la band, allora ancor giovane (è stata fondata nel 1986) ma sempre trascinata dal trombettista e multistrumentista Frank London e caratterizzata dalla voce di Lorin Sklamberg, si esibiva all’interno della rassegna “Musica dei Popoli”, curata da quella stessa FLOG che l’ha riportata sui palcoscenici fiorentini in questa occasione. Erano i tempi dei primi dischi per la Piranha - gli splendidi Rhythm + Jews e Shvaygn = Toyt - e del klezmer come vera e propria moda. Nel frattempo, la musica tradizionale ebraica è stata esplorata in lungo e in largo, ne sono state rivelate le radici esteuropee, il gruppo ha mutato componenti (la violinista Lisa Gutkin ha sostituito Alicia Svigals al violino e Matt Diarrau ha preso il posto di David Krakauer alle ance), alcuni dei suoi membri si sono affermati anche indipendentemente (London ha pubblicato eccellenti lavori, tra i quali Scientist at Work per la Tzadik, Krakauer lo ha imitato facendo uscite Klezmer Madness per la stessa etichetta di Zorn e, poi, altri lavori per Label Blue), perfino il repertorio ha subito dei cambiamenti, includendo accanto al klezmer la rilettura dei lavori del folk singer statunitense Woody Guthrie.
Tutto questo non poteva non avvertirsi sul palco, così che il concerto (in parte penalizzato dall’assenza di sedie e da un’acustica non impeccabile) ha alternato momenti trascinanti ad altri meno intensi, pur rimanendo complessivamente di alta qualità.
I momenti “deboli” sono puntualmente coincisi con i brani folk americani (fortunatamente, non più di quattro sulla complessiva quindicina di pezzi eseguiti), i quali - con tutto il rispetto per Guthrie - scontavano la loro semplicità e ripetitività strutturale rispetto a quelli yiddish, che penalizzava anche le possibilità espressive dei solisti, mentre anche la lingua inglese faticava a competere in suggestione con l’ebraico.
Ben diversa la resa dei brani klezmer, tutti coloratissimi, ricchi di varietà ritmica e dinamica, con abbondanti spazi per gli straordinari assoli di London alla tromba, della Gutkin al violino, ma soprattutto di Diarrau, davvero strepitoso sia al clarinetto che al sax alto. Come al solito unica la capacità interpretativa di Sklamberg, realmente uno dei migliori cantanti klezmer dell’intero panorama internazionale. Unica pecca, una limitata interazione dialogica con il pubblico (Alicia Svigals, che oltretutto parlava italiano, era solita raccontare tra brano e brano, testi e tradizioni che li ispiravano, creando una sorta di cabaret), surrogata fortunatamente dal coinvolgimento ritmico che a più riprese a visto il pubblico ballare in sala.
Picchi di intensità e commozione sono stati raggiunti nell’esecuzione di alcuni “classici” del gruppo e della musica ebraica in generale, come “Ny Psycho Freylehkhs”, “Bulgar à la Klezmatics” e soprattutto nella splendida e prolungata “Shnirele Perele”, inno sacro della tradizione hassidica che ha dato modo a tutti i solisti di esprimersi drammaticamente con i loro strumenti.
Gli anni passano, ma nonostante tutto uno spettacolo dei Klezmatics rimane sempre qualcosa di unico, da non perdere.
Visita i siti dei Klezmatics e della FLOG
Foto di Michael Macioce
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