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The House That Trane Built - La storia della Impulse Records

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The House That Trane Built - La storia della Impulse Records

di Ashley Kahn

Il Saggiatore - 340 pp. - 35 euro

Per chi - indicativamente si tratta di persone sotto i 35 anni - è cresciuto o "nato" nell'era del CD, i dischi della Impulse! sono inevitabilmente legati a un'immagine poco omogenea: nella seconda metà degli anni Ottanta e nei primi Novanta, una parte del catalogo dell'etichetta venne ristampato in digitale [abbastanza scadente, come era ai tempi] dalla MCA-GRP, nella consueta shell-box.

È solo a partire dalla metà degli anni Novanta che le ristampe trovano una certa sistematicità e un packaging, cartonato, che in qualche modo più si avvicina al glorioso vinile originale. Il libretto con le note sta in una bella taschina - dalla quale ogni tanto, specie se smilzo, tenta di scappare, ma poco male - e il buon ascoltatore/collezionista [che è essenzialmente un feticista illuminato] può così appagare il proprio occhio con una bella riga arancione e nera sullo scaffale.

I movimenti di fusione tra major degli ultimi anni hanno ulteriormente cambiato le carte in tavola: tutto sotto l'ala protettrice della Universal/Verve Music Group e la povera Impulse! nuovamente "frammentata" tra ristampe cartonate ultraslim [Crystals di Sam Rivers, Universal Consciousness di Alice Coltrane o Attica Blues di Archie Shepp tanto per fare tre esempi] o un ritorno alle classiche shell-boxes, questa volta con la costola tutta arancione [New Grass di Albert Ayler]. Gioie della globalizzazione!

A ricordarci che la storia della Impulse! è stata anche e soprattutto una storia di LP dalla spessa costola arancione e nera giunge il nuovo volume di Ashley Kahn [scrittore e giornalista che con i suoi libri su Kind of Blue e A Love Supreme ha trovato un felice punto di congiunzione tra il saggio jazz e la divulgazione più accattivante], The House That Trane Built - La storia della Impulse Records, tradotto in Italia dal Saggiatore.

Ce lo ricorda all'inizio di ogni capitolo del libro, con le foto ravvicinate di quei dorsi uno accanto all'altro, quasi a non volere perdere mai il contatto con questa "fisicità" di cui l'etichetta è stata simbolo - lo confermano molte testimonianze raccolte all'interno del testo.

Nata nel 1960 dalla ABC-Paramount [etichetta che, grazie al successo ottenuto da Ray Charles, era in forte crescita] sotto la guida del produttore Creed Taylor, la Impulse! riuscì rapidamente a trovare un suo ruolo centrale nel panorama delle etichette jazz, in particolare grazie all'identificazione del proprio marchio con la figura di John Coltrane e - più in genere - con la nascente scena new thing.

Giunto nel 1961 alla Impulse!, il primo disco inciso dal sassofonista per la nuova etichetta fu Africa/Brass, Coltrane divenne così il simbolo di un jazz che rompeva definitivamente gli argini per invadere - a seconda delle occasioni - la sfera politico-sociale, quella dell'autonomia creativa e produttiva, quella geografica.

In realtà la storia della Impulse! non è la storia del solo Coltrane ed è estremamente interessante seguire cronologicamente le uscite: dal primo titolo pubblicato nel 1961 [The Great Kai And J.J, a nome dei trombonisti Winding e J.J Johnson] ritroviamo nel catalogo "uomini d'avanguardia" come Archie Shepp, Pharoah Sanders, Albert Ayler o Yusef Lateef, fuoriclasse come Max Roach, Sonny Rollins e Charles Mingus, boppers più o meno hard come Sonny Stitt o Art Blakey, ma anche vecchie glorie come Benny Carter, Count Basie, Duke Ellington, Coleman Hawkins, Earl Hines.

Il libro, che alterna la narrazione a una serie di schede monografiche su alcuni titoli, mette bene in evidenza il ruolo che i produttori hanno giocato in questa avventura, in modo specifico soffermandosi sulla controversa figura di Bob Thiele, alternando aneddoti, testimonianze, analisi [non particolarmente sistematiche] a delineare attraverso la storia dell'etichetta la storia di un'epoca, molto interessante anche nei cosiddetti anni "bui" del decennio successivo [ma anche con Ed Michel alla produzione il numero di capolavori è sempre alto]

Come anche nei precedenti lavori - che però avendo ad oggetto un singolo disco restringevano il campo d'azione - il "metodo" Kahn rivela pregi e difetti: il libro è piacevole e interessante, ma va un po' dove l'autore vuole [o sa, o ha testimonianze], a scapito di un'analisi più globale.

Stupiscono poi alcune scelte, come quella di non riportare, né nelle schede dedicate ai singoli dischi, né nella discografia finale, le formazioni. Ai curatori italiani una tirata d'orecchie per la scarsa attenzione in bibliografia alle opere presenti in traduzione italiana [c'è il Coltrane di Porter per la Minimum Fax, ma risultano come mai tradotti in italiano testi quali ad esempio Blues People di LeRoi Jones o il Free Jazz di Ekkehard Jost].

Comunque un bell'omaggio all'etichetta in arancione e nero, alla sua storia costellata di capolavori, all'attenzione all'oggetto disco [un LP Impulse! costava all'epoca ben di più di uno normale], tutte cose che a un giovane ascoltatore di oggi sono davvero tutt'altro che scontate. E che voglia di tornare ad ascoltare tante meraviglia, qualcuna delle quali ancora mai ristampata in CD!


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May 2007

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