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Don Pullen: The Complete Remastered Recordings on Black Saint & Soul Note
ByNel caso di Don Pullen, la memoria torna facilmente all'ascolto di Changes Two di Mingus: il pianista proiettava i brani, già ottimi, in una dimensione di ulteriore profondità, il suo solismo era qualcosa di mai udito, una sorta di sintesi feroce tra Cecil Taylor e Jaki Byard. Da quell'ascolto non ci siamo più allontanati da Pullen, risalendo ai suoi esordi con Milford Graves e Giuseppi Logan, seguendo le avventure con George Adams; e poi, ancora incantandoci con i suoi solo-piano, fino all'ammirazione per il lavoro straordinario negli ensemble di Kip Hanrahan o nelle ultime band "etno-jazz".
Pullen è stato un artista a tutto tondo, concentrato soltanto sulla musica, disinteressato nei confronti del business superficiale e impermeabile alle mode.
Infatti il suo magistero è stato assai sottovalutato nel mondo del jazz, incapace di etichettare una libertà fiera, quasi selvaggia, un pianismo che non accettava la compostezza degli "stili," ma cercava di sottometterli a una voracità talora incontrollata.
Pullen partiva dal blues e dalla "church music" e li trasfigurava, quasi ci fosse una forza oscura che ne minasse l'equilibrio interno, una forza che spingeva verso l'ignoto e che rappresenta la sostanza delle sue musiche. Mingus, che criticava il free, aveva trovato però in Pullen l'ultima grande "voce" che infiammava le sue architetture sonore. E questa voce, oltre a servire il maestro con devozione, conservava una parallela poetica individuale, finalmente svelata dalla seconda metà degli anni '70 in poi, in virtù del supporto che le nostre Black Saint e Soul Notetramite l'acume produttivo di Giacomo Pellicciotti prima, e di Giovanni Bonandrini in seguitoseppe fornirgli.
I sette titoli di Pullen per la Black Saint, ora raccolti in questo cofanetto un po' spartano, coprono circa un ventennio e riescono a documentare le diverse sfaccettature del pensiero musicale del pianista, mai legato ad una concezione radicale ed esclusiva del jazz, disponibile invece a cambiar registro, ad alternare climi e scrittura, con l'eccezione dello stile strumentale, insofferente di qualsivoglia briglia d'ordine. Spesso accostato al percussionismo pianistico di Cecil Taylor, in verità Pullen non ne condivideva l'ascetismo estetico, e non rinunciava ad un lirismo romantico e a un'orecchiabilità cantabile del tutto estranea al rigorismo tayloriano.
Il primo disco è Capricorn Rising (1976), con la leadership condivisa assieme a Sam Rivers, altro leone creativo all'epoca sugli scudi. E l'alleanza produce musica arroventata, con il sassofonista forse a prevalere dal punto di vista compositivo e con strutture che vanno dall'assalto free al melodismo modale alle ritmiche afrocubane.
Healing Force, del '78, è un ottimo solo piano, che enumera tutte le capacità virtuosistiche di Pullen, in grado di far vibrare lo strumento in ogni gamma di possibilità, replicate sei anni dopo da Evidence of Things Unseen, più vicino in alcune sequenze alla tradizione del pianismo jazz.
Tornando indietro, ecco Warriors ('79), in quartetto con Chico Freeman, Fred Hopkins e Bobby Battle, forse il disco di Pullen più vicino ad un africanismo già storicamente superato, ma ancora vitalissimo negli esiti musicali, con il difetto di una certa lungaggine e di un'atmosfera da rotazione di assoli un po' prevedibile.
Il duo con il percussionista Don Moye, Milano Strut è invece da rivalutare alla luce dell'eclettismo odierno. Oltre a complesse conversazioni piano-batteria in assolute free-forms, brilla il brano che titola l'album, semplice struttura pop con Pullen all'organo Hammond, che anticipa le sue coloriture nei dischi di Kip Hanrahan degli anni successivi.
Nello stesso anno il duo si allarga a trio con l'ingresso di un altro Art Ensemble, il sassofonista Joseph Jarman. The Magic Triangle non tiene però fede alla attese, con un repertorio dispersivo, incerto, dove l'ispirazione emerge solo a tratti.
Infine The Sixth Sense (1995), con un ottimo quintetto che allinea i sassofoni di Donald Harrison e la splendida tromba di Olu Dara, e ancora i fidi Hopkins-Battle alla ritmica. Un disco di notevole qualità, che spazia da temi hardbop, quasi sulla linea di Horace Silver, alla libera improvvisazione, fino al magnifico duetto piano-sax di "Gratitude".
Track Listing
Capricorn Rising: 1. Break Out – 2. Capricorn Rising – 3. Joycie Girl – 4. Fall Out Healing Force: 1. Pain Inside – 2. Tracey's Blues – 3. Healing Force – 4. Keep On Steppin' Warriors: 1. Warriors Dance: Little Don (part 1) – 2. Warriors Dance: Little Don (part 2) – 3. Land of the Pharoahs. Milano Strut: 1. Conversation – 2. Communication – 3. Milano Strut – 4. Curve Eleven (for Giuseppi) The Magic Triangle: 1. Lonely Child – 2. J.F.M. 3 Way Blues – 3. Hippy Dippy – 4. What Was Ain't Evidence of Things Unseen: 1. Evidence of Things Unseen – 2. Victory Dance – 3. In the Beginning – 4. Perseverance – 5. Rejoice The Sixth Sense: 1. The Sixth Sense – 2. In the Beginning – 3. Tales from the Bright Side – 4. Gratitude – 5. All Is Well
Personnel
Don Pullen
pianoCapricorn Rising: Don Pullen (piano), Sam Rivers (sax tenore e soprano, flauto), Alex Blake (contrabbasso), Bobby Battle (batteria) Healing Force / Evidence of Things Unseen: Don Pullen (piano) Warriors: Don Pullen (piano), Chico Freeman (sax tenore), Fred Hopkins (contrabbasso), Bobby Battle (batteria) Milano Strut: Don Pullen (piano, organo), Famoudou Don Moye (batteria, percussioni) The Magic Triangle: Don Pullen (piano, voce), Joseph Jarman (flauto, piccolo, sax tenore e soprano, clarinetto), Famoudou Don Moye (batteria, congas) The Sixth Sense: Don Pullen (piano), Olu Dara (tromba), Donald Harrison (sax alto), Fred Hopkins (contrabbasso), Bobby Battle (batteria)
Album information
Title: The Complete Remastered Recordings on Black Saint & Soul Note | Year Released: 2012 | Record Label: CAM Jazz
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