Phil Woods: The Children Suite

Phil Woods ha sempre amato i cicli poetici di Milne, tanto da scrivere nel 1961, appena tornato dall'Europa, delle canzoni sui testi di "Now We Are Six". Pensate in origine per i figli del grande seguace di Parker - e invidiamo chi da bimbo poteva cantare melodie bop non proprio facilissime - ebbero nel 1967 uno sviluppo orchestrale che Woods intendeva presentare dal vivo. Le sue speranze non ebbero facile riscontro e ci sono voluti decenni per arrivare alla pubblicazione di The Children Suite: prima per l'opposizione dei curatori dell'eredità di Milne, del tutto ostili al jazz, poi per il veto della Disney, che aveva acquisito i diritti sulle storie di Winnie the Pooh.

Quaranta anni dopo Peter Dennis, amante del jazz e unico attore con licenza Disney e Pooh Trustees di recitare le poesie dal vivo, ha usato la sua fama per sdoganare la suite, ora registrata con sette fiati, sezione ritmica, quartetto d'archi, le voci di Vicky Doney e Bob Dorough, la recitazione di Dennis.

E' un lavoro per molti aspetti ammirevole: oltre a un'invenzione melodica in media piuttosto valida, Woods ha scritto arrangiamenti orchestrali pregevoli che stupiranno chi conosce la sua prevalente attività con piccoli organici. La scrittura fa apparire l'assieme molto più ampio di quanto non sia in realtà, frutto di una sapiente distribuzione timbrica e conduzione armonica delle voci.

Si resta ammirati dalla forza espressiva che Woods mantiene col passare degli anni: si produce in pochi assolo, ma tutti inchiodano dalla prima nota per autorità melodica e senso del blues. La sua presenza deve aver influenzato gli altri musicisti: i loro interventi improvvisati, quale che sia la durata, vanno dritti al punto emotivo richiesto dallo snodarsi della suite, che ha una coerenza notevole.

Il rapporto dell'assieme con le voci è risolto in modi che ricordano lo stile vocalese di Jon Hendricks, sia nelle parti con un testo che nello special scat di "The Morning Walk".

Vicki Doney affronta con scioltezza passaggi ardui, ma dover cantare sempre con un'intonazione piuttosto infantile risulta alla lunga stancante. Bob Dorough ha un ruolo che gli consente un'espressione più ironica e libera, ma la scrittura vocale di Woods non è sempre all'altezza di quella strumentale e alcuni passaggi, si ascolti il recitativo di "The Friend & Us Two," possono risultare noiosi.

Il brano che ci ha maggiormente colpito è "Solitude": la scrittura degli ottoni ha una morbida ricchezza che ricorda Thad Jones, gli interventi di Woods e del pianista Eric Doney trovano il giusto compromesso fra energia swing e mood sognante.

Il limite principale di questa suite sta nella scarsa attrattiva che le storie di Winnie The Pooh possono avere sul pubblico italiano. L'amante di jazz scalpiterà in attesa dei passaggi orchestrali e degli assolo, i bimbi non potranno capire e condividere le poesie di Milne.

Resta l'ammirazione per un'idea che speriamo possa trovare la giusta diffusione nel pubblico anglofono dei più piccoli, a nostra esperienza diretta aperti al jazz se presentato nel giusto modo.

E resta la voglia di sentire Woods alle prese con un'opera orchestrale dal tema più condivisibile a tutti.

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