Quarantacinque anni, tedesca di Heidenheim an der Brenz (ma ormai di stanza a Berlino), Silke Eberhard guida da alcuni anni il trio protagonista di questo album, diretto, corporeo, al cui interno il suo contralto (più di rado il clarone) si distende con estrema libertà, di misura e di dizione, con un senso della forma che definiremmo sostanzialmente veicolato al singolo episodio (e alcuni sono brevissimi, poco oltre il mezzo minuto) e il risultato, di conseguenza, che un disco senz'altro di lodevole fattura finisce via via per scorrere un po' prevedibile, scontato, lievemente schematico.
L'idioma è un free-bopsecondo una definizione che ebbe un certo seguito anni fanon esageratamente spericolato (tutti della sassofonista i tredici brani in scaletta), forte di sonorità per lo più nette, anche acuminate, e un procedere d'insieme (generalmente a ranghi compatti) che ha momenti anche tumultuosi, tendenzialmente affermativi, estroversi ma senza eccessi. Da ricercare fra i brani dispari (l'iniziale "Ding Dong" e poi "Schlappen," "Kanon" e "8915") i momenti più significativi che il disco ci offre.
Track Listing
Ding Dong; Willisau Suite; Schlappen; Mininatür; Kanon; Towels; In Drei; Wake-Up Call; 8915; Schirm; Another Pint; Versteckter Kitsch; Last Order.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o