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Tatsuya Yoshida "Ruins Alone"

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Area Sismica & Masque Teatro - Forlì - 26.3.2010

E' arrivato anche a Forlì, al Masque Teatro (Ex Filanda) di Via Orto del Fuoco, l'enfant terrible della batteria giapponese. Tatsuya Yoshida, mente e motore propulsivo del duo Ruins da oltre vent'anni, che dopo aver perso il basso di Sasaki Hisashi nel 2004, sta proseguendo in solitaria col marchio "Ruins Alone".

Tatsuya in questa incarnazione dei Ruins suona da solo, ma la paletta timbrica del progetto in realtà si è ampliata per l'uso di elettronica e materiale preregistrato.

Anche se l'uso di basi e strumenti preregistrati (basso, chitarra, fiati: si è sentito anche il sax di John Zorn...) può essere non particolarmente eccitante, in ogni caso il ritmo frenetico con cui si succedevano gli eventi nei brani e la manipolazione dell'elettronica in tempo reale hanno in buona parte redento le basi dall'effetto di finto-live che di solito evocano.

Il canovaccio di Yoshida rimane la miscela esplosiva di punk e progressive brevettata dai Ruins, portata a livelli di complicazione ritmica e tecnica che arrivano ormai alla perfezione. Una miscela folle e improbabile, a volte parossistica oppure straniante per la sua capacità di toccare il kitsch e superarlo senza battere ciglio, con effetti che dal buffo possono arrivare al sublime. Il tutto realizzato con una determinazione, una precisione e un rigore tecnico e una lucidità compositiva che non lasciano spazio al dubbio e all'esitazione.

Un approccio e uno stile, questi, che, com'è stato abbondantemente detto, probabilmente non potrebbero venire se non da un giapponese. La frenesia della velocità turbinante nei cambiamenti ritmici e sonori ricordano quella di un cartone animato o di un videogioco; tanto che il sovraccarico sensoriale a volte fa immaginare di essere in una sala giochi.

La sonorità mira costantemente al pieno, anzi ripieno e strapieno. L'effetto è quello di mangiare una torta ultrafarcita: il godimento iniziale è massimo, ma bisogna saper limitarsi nella quantità, pena un'indigestione galattica. E in effetti il concerto non è stato molto lungo: meno di un'ora; forse anche per il repertorio a disposizione, ma forse anche Yoshida sa che, eccedendo in pienezza, non bisogna eccedere in durata.

Nonostante il prevalere dell'ipercineticità e dell'abbondanza sonora, la varietà è stata comunque presente; sia nei timbri - da quelli elettrici di basso e chitarra, a quelli acustici dei fiati, a quelli elettronici di tastiere e loop -, sia ovviamente nei ritmi, rigogliosi e mai statici, sia anche in certe aperture di calma con sonorità elettroniche che qualche volta si aprivano in tappeti morbidi e avvolgenti: una piccola tregua prima che il treno ritmico ripartisse a velocità travolgente.

I brani sembravano dei frullatori infernali in cui precipitava un po' di tutto e veniva poi risputato fuori sotto forma della miscela folle del suono Ruins. Esilarante poi il pastiche di citazioni classiche (Chopin, Beethoven, Dvorjak, Bizet ecc.), che a un certo punto sono saltate fuori da questa girandola.

Come batterista Yoshida senz'altro non si discute: la tecnicaè spaventosa, la potenza travolgente, anche se sicuramente nelle dinamiche mira sempre al forte; uno stile quindi piuttosto unidirezionale, sebbene estremamente dinamico e multiforme negli sviluppi ritmici. Ma sicuramente altrettanto e forse ancor più sbalorditiva è la sua capacità compositiva e progettuale nel creare brani che uniscono forza dirompente e ipercomplessità strutturale.

Foto di Claudio Casanova.

Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.


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