Non è facile volere bene a quel brontolone del contrabbasso quando decide di mettersi in proprio. Il legno, le corde, l'archetto, il suono goffo e introverso, le note slabbrate, imprecise, la fatica immane di cavare sangue dal più rapa degli strumenti: poche altre situazioni in ambito improvvisativo sanno essere più scorbutiche e meno amichevoli. Eppure la letteratura in materia abbonda. Dalle pioneristiche meditazioni di
Barre Phillips alle recenti escursioni di
John Edwards e
Mark Dresser (recuperate lo spettacolare
Unveil, edito dalla Clean Feed); dal
Malachi Favors di "Tutankhamen," anno di grazia 1968, prima delle quattro tracce di
Congliptous, al
Peter Kowald di
Was Da Ist, gemma assoluta del catalogo FMP; dal
Dave Holland di
Emerald Tears al
BrunoChevillon di
Hors-Champ, disco folgorante uscito per la D'Autres Cordes di Franck Vigroux. E poi
Johnny Dyani,
Barry Guy,
Joëlle Léandre,
William Parker,
Paul Rogers, di recente
Pascal Niggenkemper e, da ultimo,
Moppa Elliott.
Già, proprio lui: il contrabbassista dei newyorchesi Mostly Other People Do the Killing, la più schizoide e scapestrata delle band. Una contraddizione soltanto apparente se si pensa all'estremo rigore che fin dall'inizio ha connotato il piglio lucidamente terroristico e perversamente goliardico di Elliott e compagni di mascalzonate. Poco da sorprendersi dunque se alle prese con la dimensione del contrabbasso solo lo scienziato-giullare Moppa -la mano ferma al timone del gruppo -dimostri di avere spalle larghe, idee da vendere e totale controllo dello strumento.
Still, Up in the Air, pubblicato dalla Hot Cup Records, è un disco solido, profondo, dannatamente serio. E meditato a lungo, c'è da scommetterci, frutto di un paziente lavoro di affinamento. Sette i brani in scaletta, ciascuno intitolato semplicemente "Sequenza" e riconoscibile da uno o più numeri di serie. Un sistema di classificazione che rimanda senza passare dal via a Luciano Berio. Del quale in effetti (e inevitabilmente) si ritrovano la precisione dei gesti, l'approccio problematico al concetto di (anti)virtuosismo, la natura inquisitoria e astratta delle composizioni, il gusto per la ricerca del limite ultimo (fisico, materico) dello strumento, al confine tra note e intenzioni. Esemplare, in tal senso, la "Sequenza 14," nella quale l'archetto disegna paesaggi inquietanti e tremolanti, dialogando con le corde e il legno in un crescendo di storpiature e sfregamenti. Simile lo sviluppo della numero 8, costruita attorno a una serie di baldanzosi glissando. All'insegna del pizzicato la 3 e la 9, che si srotolano seguendo il flusso di arpeggi precisi e implacabili.
Un disco da centellinare, che richiede adesione e dedizione. Ma al quale si finisce per volere parecchio bene.