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Stephanie Castillo: Thomas Chapin - Night Bird Song

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Stephanie Castillo
Night Bird Song [DVD]
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Come abbiamo fatto a dimenticarci di Thomas Chapin? Questa è la domanda—tra le molte altre -che gran parte della comunità jazzistica dovrebbe porsi di fronte all'imponente lavoro documentario "Night Bird Song," che Stephanie Castillo ha realizzato in onore del polistrumentista e compositore scomparso nel 1998.

È vero che non tutte le eredità artistiche vengono adeguatamente riconosciute nel corso del tempo, che il fiume di informazioni che ci pervade cancella anche tracce importanti delle passate esperienze. Ma è un mistero come la statura artistica di Chapin non abbia trovato la giusta rilevanza a posteriori, né tra i suoi pari né in una distratta pubblicistica.

Forse è una conseguenza di un'omissione più profonda, che aveva riguardato Chapin anche durante la sua esuberante vita, mai veramente valorizzata nelle giuste proporzioni.

Eppure Thomas Chapin è stato tra i più straordinari musicisti della sua generazione, il suo talento oltrepassava i ristretti recinti di un particolare stile, si sprigionava in ogni direzione con lucidità e spavalderia insieme, toccava mente e cuore.

La costruzione del documentario—curato e montato in un arco di tempo piuttosto ampio—segue uno schema tradizionale, con spezzoni di esibizioni dal vivo, colonna sonora su fermo-immagine, interviste ad amici, critici e protagonisti, qualche repertorio privato dell'artista. Il tono espressivo è fortemente emotivo: l'autrice è stata cognata di Chapin e di tanto in tanto corre il rischio di santificare il suo soggetto. Ma c'è una verità palpabile che queste immagini e questi suoni comunicano: Chapin era un uomo generoso e vitale, fortemente motivato a dare una coerenza estetica ai molteplici impulsi che lo travolgevano, cosciente delle proprie idee sulla musica e la spiritualità.

Thomas Chapin è stato tra gli alfieri della cosiddetta "downtown scene" newyorkese a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta. Un territorio musicale che lo ha fatto crescere e gli ha permesso di trovare la sua identità, ma che lo ha anche un po' ghettizzato in un'immagine sfocata rispetto alla sua ricchezza creativa. Chapin viveva il jazz come laboratorio aperto, senza precludersi alcuna possibilità. È una modalità introiettata forse dal modello di Charles Mingus, e ancor più da due maestri che con Mingus si sono esaltati: Eric Dolphy e Rahsaan Roland Kirk. Chapin metabolizza e approfondisce quelle indicazioni, impara e ama il jazz tradizionale e lo forza dall'interno, è disponibile alla sperimentazione ma non al pastiche postmoderno.

Da giovane è solista e direttore musicale nella big-band di Lionel Hampton: le sequenze dedicate a quegli anni sono eloquenti, si vede un ragazzo raggiante per essere stato scelto da un mito del passato e al contempo impaziente di fuggire via dagli stereotipi per trovare un tragitto originale.

Dopo esperienze diverse a contatto con la fucina degli sperimentatori di fine anni '80—in particolare con il gruppo Machine Gun, accanto a Sonny Sharrock, Robert Musso, Karl Berger—Thomas trova nel trio con Mario Pavone e Steve Johns (sostiuito poi da Michael Sarin) il baricentro perfetto per focalizzare quel sound unico che lo ha contraddistinto.

Il trio aveva tutto quello che Chapin amava: meraviglioso senso melodico, flessibilità compositiva, ampio spazio per l'improvvisazione libera, sempre sorvegliata però da limiti autocostuiti (la lezione di Dolphy), una spettacolarità coinvolgente e fisica (ereditata dagli anni con Hampton). Insomma, una libertà sorretta da una preparazione completa, illustrata bene nel video dai racconti di Mario Pavone e dai maestri formativi durante gli anni del college, come Paul Jeffrey e Kenny Barron, ricordando anche gli scomparsi ma fondamentali Jackie McLean e Jaki Byard.

Chi scrive era presente durante la residenza di Chapin ad Umbria Jazz nel '96: ci mise poco quel trio sconosciuto al pubblico ad affermare una forza e una genuinità sbalorditive.

Eppure, al di là di qualche importante tournèe allestita dal marchio Knitting Factory, il nome di Chapin rimaneva marginale, sottovalutato fino all'ultimo. Altri ricordi sfumati riportati alla luce dal racconto di "Night Bird Song" sono quelli legati al trio di tango che vedeva Chapin accanto a Pablo Aslan ed Ethan Iverson, le sua militanza nella magnifica Double Band di Ned Rothenberg, i dischi più mainstream (anche con Tom Harrell), la sua passione per la cultura Sufi e la "spiritual music."

Passione, dolcezza, disponibilità, vitalismo, curiosità verso tutte le arti, non sono bastate a Chapin per sfuggire ad una forma di leucemia velocissima scoperta durante un viaggio in Africa, che lo ha stroncato nel febbraio del '98. Aveva 40 anni. L'ultima parte del racconto che documenta questa dolorosa fase, è straziante, quasi insostenibile.

Speriamo che "Night Bird Song" trovi una distribuzione adeguata e che il nome e la musica di Thomas Chapin tornino più spesso nella memoria degli appassionati.

Per ora il documentario può essere acquistato direttamente dal sito ufficiale ed è possibile sostenere lo sforzo dell'autrice nella finalizzazione della sua distribuzione tramite crowdfunding.

In calce il trailer del documentario.



Il poster del film è riprodotto per gentile concessione di Stephanie Castillo.

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