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Stephan Micus: ricerche solitarie

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Intervista di John Kelman

Il polistrumentista Stephan Micus ha lavorato al di fuori della corrente musicale principale per oltre 30 anni. Con più di 15 album per l'etichetta tedesca ECM e, nei primi tempi, la sua consorella JAPO, Micus ha creato un corpo d'opera che è il risultato di anni di ampio viaggiare in tutto il mondo per acquisire e imparare strumenti musicali che vanno dal duduk armeno a doppia ancia alla bagana etiopica a 10 corde. Micus trova musica nei materiali più curiosi e inattesi, compresi vasi da fiori d'argilla e grandi pietre scolpite.

Eterno studente di cultura e società, Micus trova nuovi modi per associare una ricca varietà di strumenti etnici come non sarebbe semplicemente possibile in altre circostanze, creando una musica multiculturale senza eguali. Il dilruba indiano si fonde col nay arabo; campane tibetane si mescolano con cetre bavaresi; e il dondon ghanese si unisce allo shakuhachi giapponese nell'esplorazione, molto probabilmente l'idea più apertamente dichiarata di World Music. E mentre molti musicisti prosperano in gruppo, i pezzi grandemente stratificati di Micus sono l'esito di anni di ricerca solitaria e scrupolosa.

L'ultimo album di Micus [ora è il penultimo, N.d.R.], Life (ECM, '04), è in qualche modo il più ambizioso della sua carriera, basato su un Koan giapponese, un indovinello riguardante il significato della vita. Dalla complessa e estesa "Narration One and the Master's Question", che incorpora la bagana a 10 corde etiopica, campane tibetane, kyeezee (campane) e maung (gong) birmani, sho (organo a bocca) giapponese, voci, fischietto e cetra bavarese, alla singola voce nuda di "The Master's Answer", Life conduce l'ascoltatore in un viaggio di scoperta e rivelazione dove le risposte sono spesso tanto enigmatiche quanto le domande.

Gli inizi

Micus non ebbe nessuna particolare esposizione alla musica da giovane. "Mio padre era un pittore", dice Micus. "Crescendo non ho avuto in verità nessun contatto intenso con la musica, invece ero più esposto a cose visive. Molta gente dice che le copertine dei miei album sono del tutto speciali, e credo sia perché ho scelto io stesso tutte le foto, così è forse un riflesso dell'educazione visiva di mio padre."

"E poi nella musica," continua Micus, "ci sono entrato tutto da solo. E' veramente cominciato al mio 12° compleanno quando ricevetti una chitarra, che desideravo molto, così cominciai a imparare la chitarra. Più tardi, ascoltando i Jethro Tull divenni interessato al flauto. A quell'epoca e a scuola suonavo in gruppi rock. Abbastanza rapidamente me ne allontanai a cominciai a fare musica con testi in inglese e chitarra acustica e, in effetti, realizzai il mio primo album mentre ero ancora a scuola. Quando stavo per finire la scuola nel '70-'71 sentii per la prima volta un disco di musica classica indiana e quello fu, per me, un momento incredibile, e diede veramente una forte influenza alla mia carriera e a tutta la mia vita. Così quando finii la scuola andai in India viaggiando via terra, era il '72, per imparare la musica indiana e il sitar, e da allora c'è uno schema che continua ancora oggi, cioè che ascolto dischi o concerti, sento qualche strumento che mi attrae veramente, e vado nei paesi di origine per studiarli - molti strumenti compreso lo shakuhachi giapponese e il duduk armeno."

L'incontro con Manfred Eicher

Dopo il suo viaggio in India del '72, Micus trascorse circa sei mesi a New York, stabilendo alcuni contatti che avrebbero alla fine portato al suo incontro con il proprietario e produttore primario dell'etichetta ECM, Manfred Eicher. "Quando vivevo a Manhattan", spiega Micus, "c'era una stazione radio molto importante, WBAI. Gruppi come gli Oregon di solito ci capitavano; era come un punto d'incontro per musicisti che incidevano per la ECM nei primissimi tempi. A quel punto avevo realizzato la mia prima registrazione in Spagna e alla regista Judy Sherman (ora produttrice del Kronos Quartet) piacquero i miei nastri e fece un programma di un'ora con la mia musica. Mi disse che quando fossi tornato a Monaco, dove vivevo nella campagna circostante, avrei dovuto incontrare una persona di nome Manfred Eicher, perchè lei pensava che la mia musica gli sarebbe piaciuta. Da Manhattan andai in Giappone, e mi ci vollero altri due anni per raggiungere di nuovo Monaco, ma quando alla fine arrivai a casa lo chiamai e ci incontrammo. Cominciammo a lavorare insieme, e l'abbiamo fatto per oltre 30 anni."

Diversamente da molti artisti ECM dove Eicher è molto spesso intimamente coinvolto in qualsiasi cosa dalla pre-produzione fino alla post-produzione, Micus è completamente lasciato alle proprie risorse, registrando ogni cosa al suo MCM Studio fino da To the Evening Child (ECM, '92). "Questo è fantastico", dice Micus. "Oggi puoi avere uno studio di qualità veramente alta per $15,000. Ottenere le apparecchiature per produrre la stessa qualità del suono quando ho cominciato costava un milione di dollari, così questo è veramente uno sviluppo strabiliante e davvero fantastico per gente come me. Manfred era con me in studio per i primi due dischi, Implosions (JAPO, '77) e Till the End of Time (JAPO, '78, ristampato ECM ,'93), ma da allora non è più stato coinvolto nelle mie registrazioni."

Ma nei primi tempi a Micus furono imposte le stesse restrizioni della maggior parte degli altri artisti ECM - tre giorni per registrare e mixare. "Era veramente molto difficile" spiega Micus. "Quello che feci con gli album successivi, prima di avere il mio proprio studio, era di inserire un mese tra ciascun giorno. I primi li feci in tre giorni consecutivi. Non so davvero dirvi come ho fatto. Sarebbe stato assolutamente impossibile fare un album come Life. Ora che ho il mio studio personale posso investire tutto il tempo che voglio non soltanto nella composizione e nella realizzazione di nastri demo, ma anche nella effettiva registrazione finale."

Gli strumenti

Sarebbe quasi impossibile contare il numero di strumenti che Micus ha acquisito e usato nel corso degli ultimi 30 anni. "E' uno schema che è continuato per tutta la mia vita" dice Micus, "nel quale mi innamoro di diversi strumenti, e ne sono così attratto che non c'è altra strada che andare nel paese e trovare un insegnante. Sono interessato non solo a studiare la musica, ma anche tutta la cultura. Credo che per imparare veramente uno strumento, specialmente da una località e una cultura straniera, non si debba soltanto prendere lezioni di musica, ma occorra imparare la filosofia, l'architettura, la poesia, la cucina. Bisogna stabilire qualche contatto con la natura del posto. Così quella è stata la mia intera vita.

"Naturalmente ogni strumento ha la sua propria unica storia" continua Micus, "così lascia che ti racconti della bagana. Suonavo in un festival a Milano, e c'era questo musicista dall'Etiopia che suonava la bagana. Fui veramente affascinato da questo strumento, e più tardi ebbi la fortuna di essere presentato a quell'uomo così entrammo in contatto e appena ebbi un po' di tempo libero andai in Etiopia, dove lui vive tuttora a Addis Abeba, la capitale. Trascorsi là sei settimane, in parte con lui e in parte viaggiando per il paese."

Ma accanto al collezionare strumenti provenienti da culture differenti, Micus talvolta deve modificare uno strumento o creare nuove accordature. Nel caso della bagana, è nota l'accordatura di solo cinque delle dieci corde; il resto si è perso nell'antichità. Così per la musica di Life Micus ha escogitato un nuovo modo di accordare lo strumento in modo da poter usare tutte le dieci corde. "Avrei potuto semplicemente continuare alla stessa maniera degli Etiopi" dice Micus, "ma qui veniamo al punto che è probabilmente responsabile di molte delle cose che ho fatto. Ho questo stimolo, questo grande interesse, a sperimentare con gli strumenti e cambiarli, modificarli; immaginare nuovi strumenti. Così, naturalmente sarebbe stato impossibile avere cinque corde extra sulla bagana senza utilizzarle. E' stato divertente far suonare nuovamente tutte le dieci corde. Ovviamente un tempo gli Etiopi le usavano tutte, e credo sia davvero notevole che per centinaia di anni lo abbiano costruito con 10 corde ma usandone solo cinque. E' assolutamente fantastico, pazzesco. Immagina di avere una chitarra 12 corde e non sapere l'accordatura di 6 di esse, e tuttavia continuare a costruire le chitarre per 12 corde; è assolutamente straordinario."

Attori e The Music of Stones

Man mano che Micus acquisisce nuovi strumenti e l'abilità di utilizzarli, ha un approccio molto specifico per incorporarli in nuovi progetti. "Ho provato in molti album, soprattutto negli ultimi, ad avere uno o due strumenti o attori principali," spiega Micus, "e poi costruivo la storia attorno a questi attori principali. Così possiamo dire, ad esempio, che in The Music of Stones (ECM, '89) gli strumenti di pietra sono il tema principale, e con Towards the Wind (ECM, '02) è il duduk, e per East of the Night (ECM, '85) avevo progettato un nuovo tipo di chitarra. Poi ci furono due album in cui il tema primario erano i vasi da fiori. Perciò ci sono molti tipi di attori principali.

"The Music of Stones fu un progetto molto speciale," continua Micus, "perché mi ero interessato all'impiego di pietre come strumenti musicali molto presto. Visitai la Corea nel '73 o '74, e là in un museo vidi uno strumento di cui ero a conoscenza, che era uno strumento cinese molto antico che i coreani adottarono successivamente. Così l'uso di pietre come strumenti musicali risale a circa 2500 anni fa o più. Ciò mi ha fornito molta ispirazione, e in effetti successivamente ho copiato questo strumento, è come ardesia con una forma molto specifica. L'avevo copiata in marmo e certe altre pietre, così c'ero già dentro.

"Poi ho sentito di questo scultore tedesco," continua Micus, "che dedica il suo lavoro a fare sculture che possano essere suonate come strumenti musicali. Andai a vederlo e facemmo conoscenza. Dopo un anno o due mi chiamò e disse 'Guarda, faccio questa mostra veramente interessante nella cattedrale di Ulm', che è una città della Germania meridionale, con una chiesa molto grande che può contenere 7000 persone e il più grande campanile del mondo; è la più grande chiesa protestante al mondo. Ha una acustica stupefacente. Se batti le mani ci sarà suono per 8 secondi. Così è molto estremo - la cosa fantastica è che quando i sacerdoti parlano non si riesce a capire una singola parola.

"Ad ogni modo, aveva lì una mostra," conclude Micus, "voleva fare un concerto e voleva che scrivessi una composizione speciale per questo evento. Naturalmente ero molto interessato, così lavorammo nella chiesa diverse notti, per un periodo di 3-4 mesi, facemmo un programma e all'inizio non avevamo mai pensato di realizzare un disco. Ma poi verso la fine vedemmo che era stato creato del materiale veramente interessante, così dopo il concerto prendemmo un'altro giorno per registrarlo. E' stato molto speciale; come puoi immaginare in questa acustica occorre creare musica appositamente per questo spazio. Se vai semplicemente lì a suonare musica ordinaria diventa un'enorme zuppa."

Composizione e registrazione - un processo unico

La metodologia compositiva di Micus è abbastanza differente dalla maggior parte degli artisti. Piuttosto che sedersi a uno strumento e annotare i suoi pezzi, consiste più nel cominciare con un concetto e poi sperimentare varie possibilità finché non si sviluppa qualcosa di concreto. "Compongo attraverso molte improvvisazioni," spiega Micus, "così di solito comincio con uno strumento, che o è quello che ho voglia di suonare o è lo strumento che ho deciso che sarà il protagonista. Così suono, diciamo, il duduk, e poi improvviso fino a che trovo dei pezzi che reputo interessanti. Per tutto il tempo ho un deck a cassette che registra per avere un riferimento. Quando penso che forse un passaggio di 15 secondi è interessante, allora quello comincia a essere il seme della composizione. Successivamente lavoro per sviluppare maggiormente questa frase, finché non emerge forse un'intera melodia, e poi a un certo punto decido se questo rimarrà un pezzo per solo duduk o, se ho la sensazione che sarebbe bello avere un altro strumento, provo molti degli altri strumenti che possiedo. Lavoro molto poco in un modo mentale, come pianificare tutto questo a mente. Il modo in cui lavoro è di provare molte cose diverse, in realtà suonandole. Non potrei mai comporre musica con soltanto carta e matita, sarebbe assolutamente impossibile.

"Di solito ho certe idee riguardo cosa potrebbe associarsi meglio allo strumento principale," continua Micus, "ma alla fin dei conti il modo in cui lavoro è provare tutte le possibilità che io penso potrebbero funzionare in qualche modo, e di conseguenza ci sono spesso grandi sorprese. Ecco perché non ho molta fiducia in un processo razionale dove hai per esempio un duduk e pensi che la cosa migliore immediatamente dopo potrebbe essere un violino, perchè ho visto moltissime volte funzionare insieme cose che non avrei mai realmente immaginato, e arrivi a luoghi completamente inattesi e nuove possibilità facendo tentativi. Sono una persona molto pratica. Mi piace fare le cose con le mie mani; devo udire il suono di uno strumento. Non potrei mai comporre musica per uno strumento che non suonassi io stesso."

Micus ha spesso più di un progetto in marcia. C'è stata una sovrapposizione, ad esempio, tra la registrazione di Towards the Wind e Desert Poems (ECM, '01). "Adesso ho, per esempio, 15 minuti pronti per il prossimo album," spiega Micus,"e questo nel momento in cui Life è stato rilasciato. Di solito ci sono alcuni pezzi che ho composto, oppure ho in versione demo, che faccio mentre sto lavorando a un altro album. Qualche volta è semplicemente che i pezzi non sono adatti o non hanno senso su un certo album e forse andranno bene sul successivo. Altre volte mi aiuta a rimettere a fuoco il mio progetto in corso rimanendone distante."

E mentre Micus spesso sovrappone molte tracce - "The Horses of Nizami" da Desert Poems, per esempio, comprende il sarangi indiano, cinque dondon o tamburi parlanti ghanesi, e non meno di 23 voci - intenzionalmente evita l'uso di effetti o trucchi di studio che renderebbero le sue composizioni, se dovesse riunire un gruppo sufficientemente grande, impossibili da eseguire. "Tutte le mie composizioni potrebbero essere eseguite dal vivo da un insieme di musicisti," dice Micus,"compongo la musica molto coscientemente in modo tale che possa sempre essere eseguita, mettendo insieme i musicisti. Cerco di evitare qualsiasi effetto, o l'uso degli strumenti in un modo tale che non avrebbe senso sul palco. Talvolta sento musica dove gli strumenti vengono usati per poco tempo e ti chiedi perchè siano usati, o pensi a loro più come un effetto. Io cerco di evitare questo genere di cose."

Sul palco

Micus si esibisce in concerto raramente, di solito facendo non più di 10 o 15 date ogni anno. Piuttosto che mettere insieme un gruppo, comunque, per riprodurre le sue incisioni, Micus vede la rappresentazione come un'esperienza interamente separata. "Mi esibisco da solo, " spiega Micus, "e ovviamente ci sono molte delle mie composizioni che non posso eseguire da solo. Così i concerti sono alquanto diversi dagli album. Nessuno sarebbe scioccato a vedere i miei concerti perchè sono fatti delle stesse sensazioni, lo stesso mondo che la musica trasmette. Quello che è differente è che io suono uno strumento in assolo oppure suono uno strumento e canto con esso. In ogni concerto faccio anche due brani dove ho un accompagnamento molto semplice su nastro che ho registrato io stesso, e di solito su questa base suono i flauti. Ho alcuni arrangiamenti per brani più complessi per farli in concerto in un modo leggermente differente dall'album. Alcuni dei pezzi che suono in concerto non sono in nessun album. Ma di solito non è un gran problema come potrebbe pensare molta gente che non ha mai visto un concerto."

Mentre alcuni artisti che si esibiscono così di rado potrebbero considerare di rilasciare un album dal vivo, questo è qualcosa che a detta di Micus non capiterà mai. "Per me la bellezza di un concerto sta nel fatto che succede una volta e poi è andato per sempre," dice Micus. "Come musicista che lavora in studio, non avrebbe senso fare un album live da un concerto perchè ho la sensazione che queste siano due cose completamente differenti. Mi piace suonare concerti, è molto importante per me farlo come un cambiamento dal lavoro di studio dove stai da solo per settimane e mesi, e non ritorna nessun vero commento. E' molto importante avere questa comunicazione con il pubblico, e trascorrere del tempo insieme al pubblico in concerto e sentire che accade qualcosa, un collegamento, una comunicazione diretta e opinioni."

La visualizzazione e il prossimo progetto.

Indifferentemente dal progetto, Micus lo tratta come un tutto unico; un'entità completa; un arco narrativo che ha un inizio, centro e fine. "Sicuramente cerco di visualizzare ogni album come una creazione," spiega Micus. "Forse alcuni dei miei primi album non avevano tanto un concetto unitario; erano piuttosto raccolte di brani diversi che avevo al momento. Ma in seguito, e certamente ora, avevo questa idea di guardare a un album come a un tutto unico; che dovesse essere come un viaggio, con un inizio, portando l'ascoltatore da qualche parte e anche accompagnarlo in un certo luogo alla fine. Così io cerco assolutamente di ottenere questo e voglio evitare il concetto di mettere semplicemente insieme composizioni che non hanno niente a che fare l'una con l'altra.

Mentre Micus sta già lavorando al nuovo progetto, è troppo presto per rivelarne molto. "Ho tre pezzi," dice Micus, "ma è troppo presto per parlarne. Posso solo dire che ho certe idee di quelli che saranno gli strumenti, ma ci sono molte cose da investigare; in realtà sono ancora all'inizio, e si potrebbe sviluppare in molti modi diversi. Ma sicuramente sarà coinvolto il viaggiare. Sto andando in Birmania per la quarta volta. Faccio due lunghi viaggi ogni anno. Molte volte c'è uno strumento specifico che voglio studiare o acquisire; talvolta c'è musica che mi piacerebbe sentire, ma sta diventando sempre più difficile poiché molte di queste culture stanno scomparendo."

Mentre ci sono molti artisti che portano avanti il genere chiamato "World Music", pochi sono altrettanto ambiziosi di Micus nel riunire i suoni di culture differenti e tempi differenti. E mentre altri cercano modi di fondere la musica etnica di varie località con un approccio più occidentale, Micus spicca isolato nel creare un suono che esiste al di là dei generi, creando invece il suo proprio corso caratteristico che combina tessiture intriganti, arazzi riccamente stratificati e una profonda spiritualità che trascende interessi temporali e specificità religiosa.

Traduzione di Mario Calvitti

Foto di Roberto Cifarelli

Discografia selezionata: Implosions (JAPO, '77) Till the End of Time (JAPO, '78, rist. ECM, '93) Koan (ECM, '81) Wings Over Water (JAPO, '82) Listen to the Rain (JAPO, '83, rist. ECM, '93) East of the Night (ECM, '85) Ocean (ECM, '86) Twilight Fields (ECM, '88) The Music of Stones (ECM, '89) Darkness and Light (ECM, '91) To the Evening Child (ECM, '92) Athos (ECM, '94) The Garden of Mirrors (ECM, '00) Desert Poems (ECM, '01) Towards the Wind (ECM, '02) Life (ECM, '04) On the Wing (ECM, '06)


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