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Stefano Scodanibbio

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Area Sismica - Forlì - 1.12.2007

Stefano Scodanibbio è sicuramente il Contrabbassista per antonomasia della musica contemporanea. Uno status internazionale che si è conquistato con la sua opera più che ventennale di reinvenzione e rinnovamento radicale dello strumento, a cui ha dato una statura solistica mai avuta in precedenza nella musica accademica, e dal quale ha ricavato potenzialità timbriche ed espressive prima insospettate.

Ottimo compositore oltre che esecutore formidabile, Scodanibbio ha impiegato la propria maestria tecnica per costruire un vocabolario del tutto personale e completamente compiuto, basato sulla complessità dell'esecuzione e ciò nonostante assolutamente diretto e dotato di una grande capacità comunicativa sul piano emotivo, per nulla afflitto dall'astrattezza e cerebralità che spesso caratterizzano la musica contemporanea accademica.

Il rinnovamento del vocabolario del contrabbasso operato da Scodanibbio passa attraverso l'uso sistematico degli armonici, dai quali il musicista trae una vasta gamma di sottili sfumature sonore e attraverso cui amplia drasticamente l'estensione timbrica dello strumento verso i registri acuti.

Quella che emerge dal suo approccio è un'estrema attenzione e sensibilità per la dimensione fisica del suono, concepito quasi come un'entità organica e vivente che viene animata attraverso lo strumento (il significato letterale del termine è in questo caso quanto mai calzante).

Si nota nelle sue composizioni quasi una volontà di limitare il numero degli elementi utilizzati per poter scendere in profondità in ciascuno di essi ed esplorarne ogni più piccolo dettaglio. Come a dire, viene privilegiata la qualità sulla quantità.

I brani che Scodanibbio ha inserito nel programma della serata erano in gran parte basati su un bordone di una singola nota, che veniva come sezionata, scomposta e ingrandita in tutte le sue componenti sonore, come per indagarne la trama costitutiva nelle sue fibre più microscopiche, assaporarne ogni possibile aroma e sfumatura, contemplarne ogni più piccola fibra e venatura.

E forse proprio di contemplazione si dovrebbe parlare per la musica di Scodanibbio: i suoi pezzi hanno un carattere quasi estatico o meditativo. Si avvertono delle assonanze con l'approccio orientale alla musica, anche se Scodanibbio ricollega il suo uso dei bordoni al patrimonio musicale più ancestrale e universale dell'intera umanità.

C'è anche un richiamo alla concezione e alle prassi compositive del minimalismo, in particolare quella di utilizzare uno o pochi elementi di base, come ad esempio una cellula melodica, quando appunto non una singola nota, che viene poi gradualmente trasformata e trasfigurata attraverso un processo continuo e sapiente di variazioni. E del resto è noto che alcuni esponenti “classici” del minimalismo, da Philip Glass a LaMonte Young a Terry Riley, si rifacevano espressamente ad alcune concezioni orientali della musica, o della vita tout court. E con Terry Riley Scodanibbio ha avuto una lunga collaborazione.

Il brano con cui si è aperto il concerto è appunto uno dei frutti di questa collaborazione: "Diamond Fiddle Language". Un flusso di continue variazioni su cellule melodiche e arpeggi che si muovono fondamentalmente su una scala pentatonica. Una melodia magnetica e ammaliante nella sua essenzialità e nella sua forza assertiva. L'uso combinato dell'archetto e del pizzicato permette a Scodanibbio di trarre dal suo strumento ogni possibile risorsa espressiva. E poi effetti poliritmici dal sapore africano, attraverso l'uso del pizzicato simultaneo su tutte le corde.

Si prosegue con "Joke", uno degli studi per contrabbasso scritti da Scodanibbio. Un pezzo breve, dedicato all'esplorazione della velocità e alla possibilità di utilizzare gli armonici per costruire interi fraseggi. Il vocabolario utilizzato è quello elaborato dalla musica contemporanea; i fraseggi sono rapidi e brevi, quasi singulti.

Il successivo "Voyage That Never Ends" è un brano scritto per la danza. Quasi un'esperienza estatica, in cui il senso d'infinito a cui si allude nel titolo è convogliato dalla fissità senza tempo dell'unica nota su cui si regge il pezzo e che l'archetto fa vibrare e risuonare prima nella sua totalità, poi scomponendola - come in un gioco di specchi e rifrazioni - in tutte le sue più piccole componenti acustiche, come se si contemplasse il Tutto attraverso le sue infinite parti, la vastità e la totalità dell'orizzonte attraverso tutti i suoi possibili scorci e prospettive, per ritornare poi all'unità originaria. Un brano che sembra davvero parlare di ciò che è perenne.

Ed è qui che forse più che altrove si esprime la sensibilità timbrica quasi portata all'estremo da Scodanibbio di cui si diceva prima; qui si avverte quel suo sentire il suono quasi come un'entità vivente, una creatura rispetto alla quale l'opera del musicista non è che un tramite, un mezzo finalizzato a darle vita. Pare quasi di assistere all'evento miracoloso della “nascita” o della “creazione” del suono: il pezzo nasce lentamente dal silenzio, dapprima è solo un soffio, il fruscìo dell'arco che sfrega sulle corde; poi gradualmente emerge e prende forma la nota di base fino a dispiegarsi nel suo pieno volume, per poi frazionarsi e separarsi nelle sue costituenti acustiche, e quindi di nuovo ricomporsi, per ritornare infine a spegnersi nel silenzio da cui era sorta.

Anche il successivo "And Roll", che ha concluso la scaletta del concerto, è una sorta di omaggio alla perennità; ma mentre il precedente sembrava celebrare l'eternità dell'immutabile, del “ciò che è” di Parmenide, questo è sembrato un omaggio al “panta rei” di Eraclito, all'inarrestabilità del movimento e del cambiamento. Anche questo era un pezzo costruito sul bordone di una singola nota, ma stavolta veniva esplorata a fondo la dimensione cinetica, le potenzialità espressive della dinamica di un ritmo incessante e inarrestabile; il brano prevedeva infatti esclusivamente l'uso del pizzicato delle dita sulle corde. Una pulsazione continua e martellante, dall'effetto quasi viscerale. Così, per vie opposte a quelle del brano precedente, si arrivava ugualmente a una dimensione del suono come esperienza estatica.

E così si scopre anche che, in fondo, i due opposti, la stasi e il movimento, coincidono. Dove c'è eternità c'è anche trasformazione, e dove c'è cambiamento c'è anche perennità. Si tratta di due modi opposti di vedere la stessa cosa.

Per il bis Scodanibbio ha riservato una sorpresa: un estratto dalle sue variazioni sul tema di "Foxy Lady" di Jimi Hendrix. Una bella dimostrazione di amore totale per la musica, oltre le barriere e i pregiudizi. Un atteggiamento che per fortuna sta prendendo piede anche in Italia fra le nuove generazioni di musicisti e compositori contemporanei, da Giovanni Sollima al prematuramente scomparso Fausto Romitelli ad altri ancora.

Foto di Claudio Casanova

Altre foto di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.


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