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Third World Love: Songs and Portraits

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Il titolo del disco, Songs and Portraits, sembra quasi anonimo, così abusato, storpiato, variamente declinato. Poi si ascolta l'album e la minaccia di anonimato scompare. Innanzi tutto perché il gruppo ha un'identità talmente peculiare, fatta di solisti identificabili all'istante, che è impossibile non riconoscerla; poi perché l'apporto compositivo contribuisce, in questo come nei lavori precedenti, a conferire originalità ed eccentricità all'ensemble.

Third World Love è una band attiva dal 2002, ormai assurta allo status piuttosto ingombrante di supergruppo, almeno nella comunità jazzistica. Certo, Avishai Cohen, Yonatan Avishai, Omer Avital e Daniel Freedman sono musicisti conosciuti, leader poliedrici e sidemen richiesti, ma la nomea di supergruppo non ha mai giovato a chi se l'è ritrovata affibbiata.

Pur reiterando una formula già impiegata per i dischi passati, il gruppo non pare indugiare in autocelebrazioni di sorta. La formula alla quale ci riferiamo consta dell'evocazione alle tradizioni formali e ai gesti esecutivi mediorientali -Coehn, Avishai e Avital sono nati in Israele- unita ad una prassi jazzistica di sapore squisitamente americano.

Così, "Im Ninalu," un canto liturgico ebreo yemenita, diventa, nell'arrangiamento di Avishai, un tema modale, quale lo avrebbe potuto scrivere George Russell. "Song for a Dying Country" l'unica composizione di Coehn per questo disco, è invece un jazz-walz tonale, rapido e incalzante.

Più lontano dagli stilemi occidentali è il dittico di brani composti da Avital in omaggio alla musica arabo-andalusa, di cui il bassista sta da tempo esplorando l'intonazione ed i melismi. "Sefard" si muove su un ritmo di danza caraibica, mentre "The Abutbuls" si apre con note ribattute del pianoforte su cui si dipana il tema, a simulare l'effetto di una chitarra flamenca. Su questo brano, Coehn sceglie di suonare il suo solo filtrando la tromba con un wah wah, quasi a voler far dialogare il Davis elettrico, di cui questa prassi è debitrice, con la Spagna richiamata dalle armonie del brano.

Altro episodio di mimesi è la linea di kora eseguita al pianoforte da Avishai in "Song for Sankoum," di Freedman.

Il fatto che Avishai, dal tocco scarno e poco risonante, abbia registrato su uno strumento non perfettamente accordato urta un poco la sensibilità dei musicisti che ascoltano il disco, ma le composizioni, l'amalgama eterogenea del gruppo, l'affiatamento e l'esperienza maturati negli anni sprigionano ottima musica, di respiro globale, senza essere stucchevolmente world.

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