Nel nome dello shofar, strumento-simbolo della musica ebraica che compare in copertina intrecciato a un sax alto, si svolge questo album, che parte con un monologo di Paul Shapiro e va poi a impantanarsi piuttosto velocemente nelle secche di una musica che rispetta sì i canoni del filone di appartenenza, ma lo fa con fin troppa convinzione (e dedizione), ripetendosi generosamente, all'interno del singolo pezzo così come fra brano e brano.
È evidente che si tratta di una musica di fruizione anche gratificante, qua e là magari un po' sovrabbondante, certo non particolarmente problematica o concettuale, cui la chitarra di Marc Ribot riesce solo in parte a fornire una patina jazzistica (che verosimilmente neppure vuole avere, e che non costituisce comunque un valore assoluto, una conditio sine qua non verso una presunta patente artistica, è ovvio).
Un disco da ascoltare tutto d'un fiato (anche perché è piuttosto breve) senza pretendere che ci sveli imprevedibili scenari creativi.
Track Listing
Hashiven; Get Me to the Shul on Time; Surfin’ Salami; Search Your Soul; Halil; Ashamnu; Daven Dance; In Phrygia; With Reed and Skins.
Paul Shapiro: sax (alto, tenore, soprano), shofar; Marc Ribot: chitarra; Brad Jones: contrabbasso, voce; Tony Lewis: batteria; Adam Rudolph: percussioni.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o