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Sesto Jazz Festival

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Sesto Jazz Festival
Teatro della Limonaia
Sesto Fiorentino
1—4.3.2018

Di scena da giovedì 1 a domenica 4 marzo, nel suggestivo scenario del Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, l'edizione 2018 di Sesto Jazz Festival ha proposto tre appuntamenti rappresentativi degli scenari geografici di questa musica: gli U.S.A. del trio di Chris Speed, l'Europa di Ernst Reijseger e l'Italia di Don Karate, trio capitanato dal batterista Stefano Tamborrino.

Autore da poco di un CD —Platinum on Tap (Intakt Records) —e rigorosamente paritetico, il trio statunitense vedeva Speed impegnato solo al sax tenore e affiancato da Chris Tordini al contrabbasso e Dave King, noto per essere membro dei Bad Plus, alla batteria. Il sassofonista ha confermato la propria cifra, caratterizzata da un fraseggio obliquo e oscillante, memore dell'eredità cool, dal suono pacato e "sporco," ma anche ricco di tensioni nascoste. Su queste ultime lavorava King, risultato alla fine il protagonista principale del concerto grazie alla lucidità creativa e alla varietà di forme espressive messe all'opera: facendo uso raramente di un drumming potente, ha infatti mutato costantemente stilemi e ritmi, affiancando così Speed ma donando al suono della formazione molta più vivacità e brillantezza. Un po' più defilato il contrabbassista, impegnato soprattutto a sostenere la struttura ritmica, ma che nei pochi spazi che si è preso ha mostrato un suono splendido e una notevole creatività. Da menzionare un paio di mirabili duetti tra Tordini e King.

Ha un po' sorpreso, due giorni dopo, trovare il teatro pieno per la performance del violoncellista olandese, vuoi perché Reijseger è ben noto agli appassionati ma non certo al grande pubblico, vuoi perché il solo di violoncello non è proprio uno spettacolo di richiamo. Ma i molti intervenuti non sono stati delusi —e l'hanno mostrato dispensando applausi convinti e richiedendo più bis —perché Reijseger ha sciorinato tutto il suo variato repertorio, componendo il mosaico con grande equilibrio —quello che, francamente, in altre occasioni è talvolta parso mancargli. Ecco così che, dopo un inizio di camerismo contemporaneo, con un paio di brani soffusi e ricchi di ricerca rumoristica sulle corde, il violoncellista ha fatto prima seguire brani dall'andamento blues, suonando lo strumento come una chitarra e usando la voce, poi le sue ben note performances fuori dal palco (è salito fino alle ultime file della platea, uscendo nel foyer e rientrando da un altro passaggio, sempre suonando), poi ancora dei brani in forma canzone, dall'andamento quasi etnico. Il tutto alternando opportunamente le diverse forme, usando una sorta di harmonium a pedale per arricchire la tavolozza timbrica del concerto e condendo la performance con l'ironia e la scenica teatralità che lo contraddistinguono e che ha ereditato dalla tradizione jazzistica olandese. Dando vita in tal modo a un'ora e mezza di musica sempre stimolante e divertente, ma anche colta e raffinatissima. Artista fuoriclasse.

La serata conclusiva prevedeva uno spettacolo molto particolare: in scena, come detto, il trio Don Karate (clicca qui per leggere la recensione di un suo concerto dell'estate scorsa), con Pasquale Mirra al vibrafono, Francesco Ponticelli al basso elettrico e il leader Stefano Tamborrino alla batteria e all'elettronica; ma la prima parte del concerto prevedeva il progetto speciale "Jazz senza barriere," nel quale Don Karate ospitava i ragazzi disabili del centro sociale Felicittà: un esperimento encomiabile, sì, ma anche piuttosto pericoloso. D'altronde, come diceva al termine Tamborrino, il rischio e la possibilità di fallire fanno parte del jazz, è sono colonne portanti della sua libertà, per cui la sfida di portare sul palco ragazzi dalle azioni non pienamente prevedibili era interessante da affrontare, cosa che l'ascolto degli esiti non può che confermare pienamente. Il concerto, infatti, è stato non solo suggestivo e commovente ma anche ben riuscito, anzi, a tratti davvero musicalmente molto bello. Certo, non tutto era pienamente coerente, le frammentazioni forse un po' artificiose e le soluzioni adottate un po' limitate; ma la musica prodotta dai tre musicisti assieme alla dozzina di ragazzi (aiutati da alcuni assistenti) è parsa avere quasi sempre un suo ben preciso senso, in sé e anche per i ragazzi, che non suonavano "a caso," ma improvvisavano con intenzione sotto la guida di Tamborrino.

Si, perché il batterista —che nel progetto in verità soprattutto dirige, quasi non usando la batteria e operando solo un po' all'elettronica —si è costantemente dedicato ai giovanissimi ospiti, che segue in un progetto per la scuola di musica, ora accompagnandoli —è il caso della piccola percussionista che all'avvio ha liberamente selezionato una serie di campanelli —ora dando loro consigli —come nel caso dell'estroverso multistrumentista passato dalla melodica al vibrafono, per concludere il concerto con un solo di batteria —ora coordinandoli con una vera e propria direzione d'orchestra, facendo loro aumentare e diminuire la dinamica o comandando gli stacchi attraverso movimenti al centro del palcoscenico. Cosicché non solo il concerto nella sua globalità è risultato godibile perché dotato di una sua forma, ma in più momenti è stato anche molto bello, con le melodiche, i vari oggetti percussivi, la chitarra a un certo punto suonata da una delle ragazze, a formare una massa sonora assai suggestiva, sostenuta dal basso elettrico di Ponticelli e arricchita dagli splendidi suoni del vibrafono di Mirra. Chiudendo gli occhi non si poteva proprio pensare a una musica "fatta a caso," no.

La seconda parte del concerto ha visto di scena il solo trio, che ha proposto quattro brani nei quali ha distillato la propria poetica: strutture semplici ma nette e coinvolgenti, guidate perlopiù dalla batteria che produce improvvise e significative variazioni o sorprendenti scarti ritmici, sostenuti dal basso elettrico, attorno ai quali Mirra ora affianca e arricchisce il suono della ritmica, ora inventa liberamente coloratissimi scenari anche lirici. In aggiunta, elaborazioni elettroniche, loop, interventi vocali perlopiù in talking, ovvero quel che Tamborrino tende a fare anche in Hobby Horse. Originale, ben costruita, soprattutto radiosa. Cosa, quest'ultima, assai importante, ancor più se si considera che all'uscita dal concerto erano attesi gli exit pol elettorali...

Foto: Neri Pollastri

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