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Sabina Meyer

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Sabina Meyer, cantante e compositrice, e' una sorpresa: una voce di rara sensibilita' e difficile classificazione. Di origini svizzero-partenopee, la sua formazione giovanile avviene sul campo, con il teatro sperimentale, quindi con lo studio e con l'esperienza di vita in una comunita' rom.

Interprete di musica klezmer, rinuncia al facile successo per affrontare nuove sfide. Un percorso che accomuna nella matrice europea improvvisazione ed elettronica, jazz e musica contemporanea, e la vede impegnata in progetti e collaborazioni - in Italia e all'estero - in cui si fondono creazione e impegno dell'artista.

Sabina Meyer, in duo con Marianne Schuppe, fra pochi giorni sara' in concerto all'Istituto Svizzero di Roma per il Festival Scelsi dedicato al centenario dalla nascita del musicista. In quest'intervista parla delle sue radici, degli incontri e delle scelte che l'hanno portata alla voce come strumento. Inoltre presenta le sue riflessioni sulla situazione attuale della musica sperimentale in Italia, offrendo un interessante spaccato sulla scena "undergound" a Roma.

All About Jazz: Puoi raccontarci qualcosa delle tue origini?

Sabina Meyer: Sono nata a Zurigo, da madre napoletana e padre svizzero tedesco. Mi hanno sempre fatto da specchio attitudini e mentalita' opposte e contraddittorie. A volte puo' essere difficile da gestire ma e' anche divertente; lascia spazio all'imprevisto e all'assurdo.

AAJ: Nel 1988 ti sei trasferita dalla Svizzera in Italia. Perche'?

SM: La Svizzera non e' il mio posto, anche se amo passarci brevi periodi e amo lavorarci con la musica. Ma viverci proprio, no. Ho sempre avvertito la leggendaria rigidita' svizzera come problema reale, un'interferenza negativa per la creativita' piu' spontanea, anarchica e dissacrante. Allora l'Italia mi sembrava una scelta per certi versi piu' vicina alla mia natura. Appena trasferita ho passato un periodo -indimenticabile- a Napoli lavorando nel mondo del teatro sperimentale, poi ho trascorso oltre 10 anni a Bologna facendo l'universita' e collaborando con innumerevoli gruppi teatrali e musicali. Sono stati anni di formazione di grande densita' con continue esperienze sul campo piuttosto che all'interno di scuole o accademie. Certo c'e' poi l'altra faccia della medaglia, vale a dire le difficolta' di sopravvivenza in un paese come l'Italia poco incline a favorire a livello istituzionale e culturale l'avanguardia e la sperimentazione. Ma questi sono problemi che mi sono posta poi.

AAJ: Come e' nata la tua passione per la musica?

SM: In casa mia c'erano migliaia di vinili - ho due fratelli dj, compositori e giornalisti musicali di ambito pop - e io divoravo qualunque cosa mi venisse tra le mani. Ho avuto poi la fortuna di sentire assieme a loro moltissimi concerti rock o punk che passavano da Zurigo e queste esperienze fatte nell'infanzia hanno ovviamente lasciato un segno. Mio padre, psicoanalista, e' pianista dilettante e appassionato di Richard Wagner. Quando avevo sei anni mi portava a sentire per ore e ore Der fliegende Hollander, o Tristan und Isolde. Esperienze paradossali per un bambino ma anche incisive e sconvolgenti. Mia madre e' scrittrice e la fascinazione della parola mi ha accompagnata sin dall'infanzia. Da adolescente poi ho studiato pianoforte per un periodo e cantato in un coro repertori di musica antica e moderna. Come prima esperienza da solista ho interpretato Kurt Weill con una band di amici.

AAJ: Quali voci femminili ti hanno ispirata nella musica classica, operistica o contemporanea?

SM: Sono sempre stata attratta dalla vocalita' contemporanea, da voci meno possenti rispetto a quelle della lirica ma con un'enorme gamma di colore. Una vocalita' che si sapesse mettere al servizio di un pensiero compositivo piu' astratto e allo stesso tempo piu' attuale e connesso con la realta.' Credo che l'interprete di musica moderna abbia maggiore possibilita' di stabilire un legame tra arte e vita, tra rapporto con quel che si fa e quel che si e.' Puo' e forse deve -o dovrebbe- coltivare un maggiore interesse per cio' che accade nel mondo a livello culturale e politico. E qui certamente non puo' mancare il nome di Cathy Berberian, la cui liberta' di gioco e originalita' nel trattare un materiale di per se' serio sono stati di grande importanza per me. Ma chi ha veramente segnato il mio sviluppo e' stata Michiko Hirayama che e' stata la mia prima importante insegnante in un breve incontro avvenuto 15 anni fa e che ho poi ripreso a frequentare assiduamente negli ultimi tre anni per studiare e approfondire la vocalita' contemporanea e in particolare il repertorio di Giacinto Scelsi. La radicalita' e l'assolutezza con cui questa cantante ha praticato per 60 anni del suo percorso la conoscenza della nuova musica, dei suoi compositori, del suo pensiero e' unica e poter partecipare attivamente alla sua esperienza ha per me un valore inestimabile.

AAJ: Hai studiato al Dams di Bologna e poi teatro, danza, antropologia... In che modo queste discipline hanno contribuito alle tue scelte e come si integrano nel tuo percorso artistico?

SM: Si, mi sono laureata al DAMS di Bologna in antropologia culturale con una tesi su sciamanismo e vocalita.' Un lavoro in fondo molto scientifico, legato all'analisi dell'uso della voce e della parola in rapporto alla trance in diverse aree geografiche ed epoche storiche. In realta' procedendo nello studio, il tema si e' profondamente connesso con le mie esperienze in ambito improvvisativo.

AAJ: Nel contesto jazz, ci sono cantanti che ami e a cui attingi come fonte, nel passato o nel presente?

SM: Penso che l'ascolto delle registrazioni di Billie Holiday mi hanno fatto diventare definitivamente cantante. Strano forse a dirsi perche' pratico tutt'altri repertori e ho sviluppato una vocalita' che proprio non ha nulla a che vedere con il jazz. Ma il senso di inevitabilita' del suo canto, di necessita' assoluta, di non avere altra scelta se non quella di dover dare voce ad un mondo interiore in bilico mi fanno sentire a casa. E' la rara capacita' di riportare all'essenza delle cose, ad una autenticita' che sta alla base dell'essere artista. Piu' tardi sono venuta a conoscenza di cantanti stupende come Abbey Lincoln, Jeanne Lee oppure Carmen McRae, ascolti che hanno lasciato un segno profondo grazie alla verita' e concretezza del loro cantare e dire. Ma sono poi cantanti dell'area d'improvvisazione di matrice piu' europea come Phil Minton, Julie Driscoll e per altri versi Diamanda Galas e vocalita' extraeuropee -soprattutto Mongolia, Giappone, India- a fare da continua fonte d'spirazione per lo sviluppo di un mio lessico personale.

AAJ: La tua certamente e' una voce insolita nel contesto jazz. Hai mai pensato di affrontare un repertorio di standard, dalla tua particolare angolazione?

SM: Ogni tanto dal magma delle improvvisazioni spunta qualche frammento di Don't Explain, Loverman, oppure di The Man I Love. In quel momento questi brani mi attraversono come se fossero canzoni popolari, come se scaturissero da un terreno universale del sentimento umano, struggenti e disperate come puo' essere una ballata del sud Italia oppure un canto jiddish. Mai pero' ho pensato di diventare una cantante jazz perche' penso che l'origine di quella musica sia legata ad un'esperienza di vita individuale e storica talmente altra dalla nostra e talmente piu' drammatica che utilizzare quel patrimonio mi sembra un'appropriazione impropria/immeritata.

Ho avuto, per esempio, una lunga esperienza in campo etnomusicologico all'interno di campi rom khorakhane' a Bologna e a Palermo. Ho avuto modo di ascoltare e registrare musicisti strepitosi che mi hanno coinvolto nella loro musica e ho potuto cantare le loro canzoni tutte trasmesse per via orale in tempo reale. Una gran fatica, ma bellissimo. Ho potuto assaggiare da vicino il senso della comunita' e della verita' dell'espressione artistica. Pur tuttavia non ho voluto riportare quest'esperienza nella mia produzione musicale perche' l'avrei fatto comunque da intrusa, da ospite di vicende difficili, a volte drammatiche. Giusto con la musica jiddish sento maggiore possibilita' di avvicinamento perche' la matrice e' mitteleuropea, in qualche modo mediata attraverso il filtro letterario e intellettuale.

AAJ: Hai collaborato a molti progetti anche nell'ambito jazz come Mondo Ra, dedicato alle musiche di Sun Ra. Che importanza riveste la sua figura nella musica e per te come interprete e compositrice?

SM: Si, cantare nell'orchestra di Mondo Ra e' stato il mio primo e unico vero impegno jazz, ma l'ho fatto assolutamente non da cantante jazz. Ho preso le sue "canzoni," da Astroblack, a We Travel the Spaceways a Enlightenment come musica istintivamente surreale. Anche se per molta parte dell'immaginario nero l'idea dell'altro mondo possibile, lo spazio cosmico appunto -space is the place- ha radici politiche e sociali, il risultato musicale enuncia pero' queste motivazioni in maniera traslata, astratta e qui ho potuto riagganciarmi alla mia esperienza di cantante piu' incline ad indagare suono e struttura che senso e parola. E poi lo stesso suono dell'Arkestra nel suo insieme mi era piu' vicino della tipica big band di virtuosi, un suono piu' grezzo e popolare.

AAJ: Altro progetto molto interessante e' ViKtoria Frey in collaborazione con Fabrizio Puglisi, Lauro Rossi, Fabrizio Spera. Una rivisitazione delle musiche di Hanns Eisler e Kurt Weill. Puoi raccontarci qualcosa di quest'esperienza?

SM: Ho sempre collaborato con musicisti jazz orientati all'improvvisazione e allo stile free. Ed e' li' che ho imparato a sviluppare un pensiero attorno all'improvvisazione e alla liberta' e individualita' con cui trattare i materiali a disposizione anche se questi apparentemente non hanno proprio nulla a che vedere con il free jazz come le canzoni politiche di Hanns Eisler appunto. Tramite l'approccio jazzistico pero' e' data la possibilita' di fare proprio un materiale, di filtrarlo attraverso la propria personalita' e sensibilita' artistica ed umana e aprire al suo interno spazi di musica veramente originale. Le canzoni brechtiane sono state la mia iniziazione alla musica e non ho mai perso l'amore per questo repertorio, anzi ho sempre cercato nuove strade per ravvivarlo e tentare un nesso con i linguaggi attuali. Quest'ultima versione del quartetto Viktoria Frey e' un esempio in questo senso e i musicisti coinvolti hanno contribuito in maniera sostanziale alla sua realizzazione e insieme siamo giunti ad un risultato finale registrando poco fa per Battiti di Rai Radio Tre.

AAJ: Sei anche, insieme con Fabrizio Spera, Luca Venitucci e Graziano Lella, cofondatrice dell'organizzazione Iato, per la musica di ricerca a Roma. Come e' avvenuto l'incontro con i musicisti della musica elettronica e d'avanguardia romana, e quindi la decisione di fondare quest'associazione?

SM: Si, quasi settimanalmente in un qualche luogo della sperimentazione romana (il Cantiere, Rialto-Sant'Ambrogio, Detour), organizziamo concerti, il tutto completamente autogestito. Un po' di anni fa, reduci da un viaggio che assieme a Fabrizio abbiamo fatto a Berlino e Londra, abbiamo constatato per l'ennesima volta l'assiduita' con cui musicisti di fama internazionale si trovano, suonano insieme, invitano ospiti di passaggio per rinvigorire sempre comunque il momento dell'incontro musicale. Quindi una prassi molto lontana dal pregiudizio diffuso che il musicista affermato si scomodi solo per suonare al festival prestigioso. E i frutti di questi incontri imprevisti o occasionali si fanno sentire proprio per la fantasia e la qualita' delle performances.

AAJ: Hai partecipato a molti festival di musica contemporanea in Italia e all'estero. Come ti sembra lo scambio di esperienza fra jazz, improvvisazione ed elettronica, europea e statunitense in rapporto all'Italia?

SM: Un po' ho l'impressione -amara- che in Italia lo scambio continui ad avvenire di riflesso, ad imitazione di. E il modello da seguire rimane comunque sempre inglese o americano. L'italia ha fatto grande storia per quel che riguarda la musica contemporanea accademica, ma per ora non ha veramente creato un terreno riconoscibile nell'area della sperimentazione di matrice non accademica. In realta' ci sono molti singoli musicisti di enorme valore con cui ci si incontra, ci si sfiora, ma l'idea e' che ognuno stia aggrappato a qualche fazzoletto di terra straniera cercando di fare la propria fortuna in qualche modo. E questi musicisti emergono solo in quanto individualita' e non come "scena". In questo senso eventi di respiro internazionale come Controindicazioni a Roma o il festival di Angelica a Bologna e pochi altri sono di enorme importanza, fanno sentire un po' meno isolati.

AAJ: Da poco sei apparsa in concerto con il Queen Mab Trio (Lori Freedman, Marilyn Lerner, Ig Henneman) e con il contrabbassista Gianfranco Tedeschi e il fisarmonicista-pianista Luca Venitucci. Un concerto in cui avete spaziato dalla musica contemporanea a scherzi di improvvisazione. Puoi dirci le tue impressioni su questo incontro?

SM: E' uno degli innumerevoli esempi in cui approfittando della presenza di musicisti in viaggio -questa volta dal Canada e dall'Olanda- abbiamo creato un momento d'incontro tra loro e alcuni di noi. Ci siamo organizzati in diverse formazioni in duo, trio e sestetto in cui ogni frammento si crea e si dissolve all'istante. Ma cio' che rimane e' -a parte il divertimento- la sollecitazione di reagire ad un materiale umano e musicale imprevisto ed imprevedibile, un piccolo tassello in piu' del mosaico di cui e' fatto l'inventario di ciascuno di noi.

AAJ: Quali sono le difficolta' per una cantante, musicista, compositrice nel realizzare progetti in Italia e trovare spazi e orecchie aperte?

SM: Qui, inutile dirsi, le difficolta' sono principalmente di ordine organizzativo ed economico. Gli stimoli per inventare nuovi progetti non mancano mai ma spesso si arenano per difficolta' oggettive. Gli spazi e le orecchie aperte sarebbero molte ma la musica piu' radicale continua ad essere relegata a spazi alternativi, underground. Ci sono pochissimi luoghi istituzionali disposti a contemplare anche quest'area della creativita' musicale. Fanno eccezione appunto alcuni pochi festival e soprattutto alcune poche trasmissioni radiofoniche. Ma ci sono in tutto il paese innumerevoli iniziative a margine, delle piccole isole che si dedicano con grande fervore alla causa sperimentale, ma per lo piu' hanno mezzi finanziari molto ridotti e quindi non riescono ad emergere come realta' organizzative. Poi per quanto mi riguarda personalmente, la difficolta' sta anche nel non rappresentare una figura tipica, l'interprete di musica contemporanea, la cantante jazz, la cantante etnica ecc. Ma di oscillare su vari fronti sia a livello di produzione discografica sia sul piano dello sviluppo di un linguaggio. Agli occhi di un certo tipo di organizzatore questo rende le cose spesso difficili, ma per fortuna ci sono -e sempre di piu'- orecchie aperte ed interessate proprio a questa trasversalita.'

AAJ: Parteciperai alla rassegna dedicata a Giacinto Scelsi. Puoi dirci qualcosa su questo compositore contemporaneo e sulla scelta di interpretare un autore cosi' profondo?

SM: Non so se 'profondo' sia la parola giusta per riferirsi al compositore Giacinto Scelsi, personaggio controverso e di cosi' difficile definizione. Il contatto diretto con la sua opera e' avvenuto attraverso Michiko Hirayama e da subito la sua musica mi ha parlato in maniera insolita. Le sue composizioni sono frutto di improvvisazioni, successivamente trascritte da altri. Punto questo ovviamente di maggiore controversia visto che si sta comunque parlando di un autore di ambito accademico. Non mi addentro in questa polemica, posso soltanto constatare che la sua musica e' di una vitalita' ed intensita' rara e costringe l'interprete ad attingere senza riserve alle proprie risorse creative e tecniche. Nella sua scrittura vocale l'assenza della parola significante, del filo narrativo tradizionalmente inteso spinge l'interprete ad inventare una narrazione sotterranea attraverso l'alternanza tra densita' e rarefazione, irruenza ed abbandono del timbro. La musica vocale diventa invocazione, formula magica, l'assenza della parola significante avvicina il cantore sempre piu' alla sfera spirituale. Avro' l'opportunita' di cantare all'interno del Festival Scelsi che si svolge qui a Roma in occasione del centenario della nascita del compositore, festival importante anche perche' Scelsi e' stato a lungo tenuto ai margini della vita musicale romana quando in tutto il mondo veniva gia' celebrata la sua opera. Il concerto e' dedicato ai tre cicli vocali Ho, Sauh e Taiagaru' in duo con la mezzosoprano tedesca Marianne Schuppe.

AAJ: In questi giorni e' in uscita il tuo primo CD a tuo nome, Cruelly Coy, con musiche di Scelsi, Berio, Cage, Satie e tue. Puoi darci qualche anticipazione?

SM: In realta' proprio in questi ultimissimi tempi sono usciti altri due lavori a mio nome: AnteNata un lavoro di canzoni su testi di poetesse contemporanee, realizzato in collaborazione con la sassofonista Daniela Cattivelli e pubblicato dall'etichetta canadese Ambiances Magnetiques e Rasa, trio di improvvisazione con Gianfranco Tedeschi e Gianni Trovalusci pubblicato da Auditorium.

E l'ultimo e' appunto Cruelly Coy pubblicato da Contempo.net/Lazy melodies. Sono molto contenta che questo lavoro, in bilico tra contemporanea in senso stretto e improvvisazione radicale, abbia trovato orecchie aperte e la sua realizzazione sia stata curata con cosi' grande attenzione da questa etichetta. Ci sara' "Ho" di Scelsi, "Sequenza III" di Berio, "Aria" di Cage, "Trois poemes d'amour di Satie qui arrangiati per voce e toy piano (con Luca Venitucci) e "Ueber den Selbstmord" di Hanns Eisler qui per voce ed elettronica (con Fabrizio Spera). La seconda parte del CD, "SibiloSibilla.music for voice & noise" e' un lavoro realizzato in trio con Fabrizio Spera (oggetti amplificati) e Michale Thieke (clarinetti e sassofono). La mia partitura consiste in una traiettoria di evocazioni nitide suddivise in 10 segmenti di durate esatte. Ogni frammento prende spunto da ambiti extramusicali, dal linguaggio psicanalitico a quello tecnico-meccanico, dalla poesia all'inquadratura pittorica o cinematografica. Oggetti e ance sono stati registrati precedentemente. La voce si inserisce su un materiale fissato.

AAJ: Quali sono i tuoi progetti futuri?

SM: Prima di tutto chiudere il cerchio su vari progetti che ho coltivato in questi anni e che finalmente sono pronti per una pubblicazione come appunto Viktoria Frey, Cabaret per nulla con il pianista Marco Dalpane su musiche di John Cage e Erik Satie che uscira' per la Silenzio-distribuzioni. Poi la pubblicazione di un nuovo lavoro discografico appena concluso su poesia e canzone (una sorta di continuazione di AnteNata) realizzato assieme ad Alberto Baida, Michael Thieke e Fabrizio Spera e infine un progetto con un nuovo gruppo di musica ebraica, Prasada, di cui Eugenio Colombo cura gli arrangiamenti.

Poi ci sono altri lavori in fieri con il teatro e la danza e in quartetto con Conca/Koch/Meyer/Spera in Italia, Svizzera, Austria, con il trio Rasa a Londra e in solo a Birmingham.

Foto di Claudio Casanova

Discografia

Cruelly Coy, Sabina Meyer (Lazy Melodies-Edizioni, in pubblicazione) Rasa, Meyer-Tedeschi-Trovalusci (Auditorium, 2005) Antenata, Berardi-Caric-Cattivelli-Galantino-Meyer-Spera (Ambiances Magne'tiques, 2005) Rotdi Domenico Guaccero (die Schachtel, 2004) Isole che parlano, Paolo e Nanni Angeli, (Comune di Palau, 2005)


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