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Rovereto Jazz 2019
Rovereto Jazz 2019
Rovereto, varie sedi
14-16.6.2019
La nascita di un nuovo Jazz Festival in Italia è da salutare con soddisfazione, specialmente in un momento non facile, anche per le rassegne storiche. Rovereto Jazz ha innestato le proprie energie in una città che ha sempre mostrato interesse e attenzione per questa musica, cercando di calamitare le fasce di pubblico più giovane, portando i concerti anche nelle piazze e coinvolgendo tra l'altro ottimi musicisti delle nuove generazioni, di cui è ricca la scena nazionale.
Sotto questo aspetto, il focus della prima edizione di Rovereto Jazz si è centrato in particolare su due musicisti fiorentini che meritano tutta la nostra attenzione: il pianista Simone Graziano, presente con il solo Nocturnal Fly allo strumento acustico e con il trio Snailspace, e il batterista Stefano Tamborrino, con il quartetto Don Karate e alla guida del laboratorio LOVE, acronimo di Laboratori Organizzati per la Vitalità Espressiva, da cui è scaturito un concerto.
Se Tamborrino lavora come batterista interessato alla composizione, Graziano concentra le proprie strategie sulla continua dialettica tra scrittura e improvvisazione, tra architettura e respiro poetico. Don Karate ha aperto il primo dei tre giorni di festival, proponendo brani dello stesso Tamborrino che mescolano con disinvolta vitalità i suoni acustici della sua batteria e del vibrafono di Pasquale Mirra con quelli elettrici del basso di Francesco Ponticelli e le elaborazioni elettroniche, di Francesco Morini in particolare, ma anche di tutti i componenti. Basati spesso su scansioni ritmiche funk, sulla spinta elastica e propulsiva delle variazioni alla batteria, sulla stratificazione di ritmi, metri e timbri, i brani di Tamborrino sono accattivanti e nel contempo ricchi di dense trame.
L'esperienza del laboratorio LOVE, portata sul palco di Piazza Malfatti dai musicisti che avevano lavorato alcune ore con il batterista, ha rimarcato tale impostazione, in particolare nei suoi aspetti poliritmici e multitimbrici, con l'apporto di tre voci femminili e di alcuni apprezzati solisti della scena trentina, tra cui il vibrafonista Mirko Pedrotti, il chitarrista Stefano Giordani, il bassista Roberto Zecchinelli e il batterista Matteo Giordani.
Simone Graziano ha affrontato il solo di pianoforte con bella coerenza, in un matinée nella sala dell'Associazione Mozart Italia. Partito da due brani totalmente improvvisati dai quali scaturiva la capacità di organizzare in modo coerente i vari materiali narrativi e stilistici, dallo scandaglio politonale a certi cenni minimalistici, dal puntillismo alle densità free, al respiro di melodie distese di sapore modale, Graziano ha poi affrontato brani da lui composti, in cui emergevano frasi ostinate a sorreggere contrasti ritmici, pedali sui quali si dipanavano motivi che evocavano Debussy e Messiaen. Sempre con un controllo ammirabile dei dosaggi e delle sfumature timbriche, dell'interazione tra le mani.
Dal trio Snailspace, con Graziano in questa occasione concentrato sulla tastiera Rhodes, traspare l'eclettismo controllato delle sue composizioni, in un lavoro di stretta condivisione e sintonia con Ponticelli (qui allo strumento acustico) ed Enrico Morello alla batteria. L'eccellente trio gestisce con fluida energia e costante spinta emotiva la complessità dei brani.
Un discorso a sé merita il concerto di Paolo Fresu con il suo Devil Quartet, sulla scena ormai da una dozzina di anni. Il trombettista, assunto evidentemente come padrino del neonato festival, ha portato un copioso pubblico al concerto, rivelandosi ottimo per questo battesimo, come era prevedibile. Purtroppo, l'ambiente pur suggestivo dell'atrio del Mart roveretano, mirabile progetto di Mario Botta, non è certo adatto alla musica. I miracoli attuati dal service tecnico non erano in grado di rendere giustizia all'esibizione ricca di dettagli della formazione con Bebo Ferra alla chitarra acustica, Paolino Dalla Porta al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria, che soffriva l'eccessivo riverbero dei suoni. Il concerto generoso del quartetto meritava certamente una collocazione più idonea.
Tra gli ambienti piccoli e certamente adatti alla fruizione musicale, c'era invece lo storico Circolo Santamaria, con un delizioso palchetto di inizio Novecento incorniciato da colonnine, dove il duo Nadir, formato da Ares Tavolazzi al contrabbasso ed Elias Nardi all'oud, ha presentato il proprio itinerario intenso tra musiche mediorientali e improvvisazione modale, con impasti timbrici ben calibrati tra due strumenti che mostrano affinità reciproche. La kermesse ritmata e danzante in Piazza Malfatti, con Mop Mop di Andrea Benini (e ancora l'ottimo Mirra al vibrafono), ha chiuso i tre giorni di festival, ricchi di iniziative collaterali, con laboratori per i più piccoli e conferenze: tra l'altro, Stefano Zenni ha presentato alla Libreria Arkadia la nuova edizione del suo fondamentale lavoro su Louis Armstrong, pubblicato nel 2018 da Stampa Alternativa.
Foto: Luca Riviera.
Rovereto, varie sedi
14-16.6.2019
La nascita di un nuovo Jazz Festival in Italia è da salutare con soddisfazione, specialmente in un momento non facile, anche per le rassegne storiche. Rovereto Jazz ha innestato le proprie energie in una città che ha sempre mostrato interesse e attenzione per questa musica, cercando di calamitare le fasce di pubblico più giovane, portando i concerti anche nelle piazze e coinvolgendo tra l'altro ottimi musicisti delle nuove generazioni, di cui è ricca la scena nazionale.
Sotto questo aspetto, il focus della prima edizione di Rovereto Jazz si è centrato in particolare su due musicisti fiorentini che meritano tutta la nostra attenzione: il pianista Simone Graziano, presente con il solo Nocturnal Fly allo strumento acustico e con il trio Snailspace, e il batterista Stefano Tamborrino, con il quartetto Don Karate e alla guida del laboratorio LOVE, acronimo di Laboratori Organizzati per la Vitalità Espressiva, da cui è scaturito un concerto.
Se Tamborrino lavora come batterista interessato alla composizione, Graziano concentra le proprie strategie sulla continua dialettica tra scrittura e improvvisazione, tra architettura e respiro poetico. Don Karate ha aperto il primo dei tre giorni di festival, proponendo brani dello stesso Tamborrino che mescolano con disinvolta vitalità i suoni acustici della sua batteria e del vibrafono di Pasquale Mirra con quelli elettrici del basso di Francesco Ponticelli e le elaborazioni elettroniche, di Francesco Morini in particolare, ma anche di tutti i componenti. Basati spesso su scansioni ritmiche funk, sulla spinta elastica e propulsiva delle variazioni alla batteria, sulla stratificazione di ritmi, metri e timbri, i brani di Tamborrino sono accattivanti e nel contempo ricchi di dense trame.
L'esperienza del laboratorio LOVE, portata sul palco di Piazza Malfatti dai musicisti che avevano lavorato alcune ore con il batterista, ha rimarcato tale impostazione, in particolare nei suoi aspetti poliritmici e multitimbrici, con l'apporto di tre voci femminili e di alcuni apprezzati solisti della scena trentina, tra cui il vibrafonista Mirko Pedrotti, il chitarrista Stefano Giordani, il bassista Roberto Zecchinelli e il batterista Matteo Giordani.
Simone Graziano ha affrontato il solo di pianoforte con bella coerenza, in un matinée nella sala dell'Associazione Mozart Italia. Partito da due brani totalmente improvvisati dai quali scaturiva la capacità di organizzare in modo coerente i vari materiali narrativi e stilistici, dallo scandaglio politonale a certi cenni minimalistici, dal puntillismo alle densità free, al respiro di melodie distese di sapore modale, Graziano ha poi affrontato brani da lui composti, in cui emergevano frasi ostinate a sorreggere contrasti ritmici, pedali sui quali si dipanavano motivi che evocavano Debussy e Messiaen. Sempre con un controllo ammirabile dei dosaggi e delle sfumature timbriche, dell'interazione tra le mani.
Dal trio Snailspace, con Graziano in questa occasione concentrato sulla tastiera Rhodes, traspare l'eclettismo controllato delle sue composizioni, in un lavoro di stretta condivisione e sintonia con Ponticelli (qui allo strumento acustico) ed Enrico Morello alla batteria. L'eccellente trio gestisce con fluida energia e costante spinta emotiva la complessità dei brani.
Un discorso a sé merita il concerto di Paolo Fresu con il suo Devil Quartet, sulla scena ormai da una dozzina di anni. Il trombettista, assunto evidentemente come padrino del neonato festival, ha portato un copioso pubblico al concerto, rivelandosi ottimo per questo battesimo, come era prevedibile. Purtroppo, l'ambiente pur suggestivo dell'atrio del Mart roveretano, mirabile progetto di Mario Botta, non è certo adatto alla musica. I miracoli attuati dal service tecnico non erano in grado di rendere giustizia all'esibizione ricca di dettagli della formazione con Bebo Ferra alla chitarra acustica, Paolino Dalla Porta al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria, che soffriva l'eccessivo riverbero dei suoni. Il concerto generoso del quartetto meritava certamente una collocazione più idonea.
Tra gli ambienti piccoli e certamente adatti alla fruizione musicale, c'era invece lo storico Circolo Santamaria, con un delizioso palchetto di inizio Novecento incorniciato da colonnine, dove il duo Nadir, formato da Ares Tavolazzi al contrabbasso ed Elias Nardi all'oud, ha presentato il proprio itinerario intenso tra musiche mediorientali e improvvisazione modale, con impasti timbrici ben calibrati tra due strumenti che mostrano affinità reciproche. La kermesse ritmata e danzante in Piazza Malfatti, con Mop Mop di Andrea Benini (e ancora l'ottimo Mirra al vibrafono), ha chiuso i tre giorni di festival, ricchi di iniziative collaterali, con laboratori per i più piccoli e conferenze: tra l'altro, Stefano Zenni ha presentato alla Libreria Arkadia la nuova edizione del suo fondamentale lavoro su Louis Armstrong, pubblicato nel 2018 da Stampa Alternativa.
Foto: Luca Riviera.
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