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Rosario Di Rosa

Rosario Di Rosa
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1. Thelonious Monk, Blue Monk (Bandstand, 1988).
Questo disco è un bootleg registrato al Newport Jazz Festival nel 1966. Avrei potuto inserire qualunque disco di Monk ma ho scelto questo perché è in assoluto il primo che ho acquistato all'inizio degli anni '90. All'epoca avevo appena iniziato a interessarmi al jazz, anche se non avevo ancora nessuna idea di cosa fosse. Ricordo solo che studiavo tutte quelle regole su come fraseggiare sul 2 e 4 perché mi avevano detto che era importante far sentire il 2 e 4 nel jazz, il che è vero. Poi ho ascoltato questo pianista di cui sapevo poco o nulla e succede che in questo disco durante il suo solo su "Hachensack" lui scelga deliberatamente di improvvisare a un certo punto su 1 e 3, cosa che su tutti i manuali del "bravo jazzista dal successo assicurato" era evidenziata in rosso come peccato mortale. Credo che quella sia stata la prima lezione vera sul jazz e sulla sua essenza, che poi è lo stesso motivo per cui a distanza di tanti anni Monk è per me l'essenza del jazz.

2. Herbie Hancock, Crossings (Warner Bros, 1972).
Hancock è da sempre uno dei miei supereroi preferiti. Anche se oggi la sua produzione discografica è orientata verso un pop di lusso in cui il suo ruolo è sostanzialmente quello di accompagnare cantanti, ci sono dei video di concerti (e YouTube ne è pieno) in cui sembra dire "ragazzi, occhio che stasera mi va di suonare" e a quel punto gli bastano due note per ricordare al mondo chi è Herbie Hancock. Inoltre ho sempre ammirato la sua apertura mentale, in parte mutuata dall'esperienza con Davis, e la sua capacità di aprirsi ai suoni acustici o elettronici più innovativi del momento. Amo e ascolto sempre tutta la sua produzione con Mwandishi e Head Hunters ma, in particolare, mi piace Crossings per due motivi: il primo perché è il disco in cui arriva quel geniaccio dei synth che è Patrick Gleeson che gli spiega come usare gli oscillatori del Mini Moog; e poi perché dal minuto 11:05 di "Sleeping Giant" non si può fare altro che mettersi a ballare.

3. Steve Reich, Music for 18 Musicians (ECM, 1976).
Ho studiato e continuo a studiare la musica definita "minimalista" ormai da diversi anni a questa parte. Il punto di partenza è stato proprio Music for 18 Musicians di Steve Reich che è stato per me uno shock che mi ha portato a modificare il mio approccio alla composizione. Da quel disco sono poi passato agli altri, arrivando ad apprezzare anche le prime e forse più rigorose opere degli anni '60 ai tempi del San Francisco Tape Center. È una musica che mi ha emozionato sin dal primo ascolto, soprattutto perché ha aperto in me delle vie creative che non pensavo esistessero.

4. Radiohead, In Rainbows (XL Recordings, 2007).
Assieme a Kid A, In Rainbows non manca mai tra i miei ascolti. Trovo che sia un disco meraviglioso sotto ogni punto di vista, dalle composizioni (basterebbe la sola "All I Need" per convincersi) ai suoni, agli arrangiamenti. I Radiohead sono per me fonte continua di ispirazione.

5. Fausto Romitelli, Professor Bad Trip (Cypres, 2004).
Romitelli è un altro per cui le barriere non esistono. Nelle sue composizioni quello che conta è la potenza espressiva e non importa se questa venga puntualmente raggiunta per le vie più disparate, in un controllato amalgama tra colto ed extra-colto, classico e popolare, sacro e profano. Mi sono imbattuto in lui per caso, quando il mio professore di composizione mi passò la partitura di "Trash TV Trance," un incredibile brano per sola chitarra elettrica che è uno dei tre pezzi "esterni" al ciclo "Professor Bad Trip" ispirato alle opere del surrealista Henri Michaux scritte sotto l'effetto di droghe e allucinogeni. Di Romitelli adoro la capacità di portare il concetto di composizione in ambiti in cui cade qualunque forma di organizzazione celebrale e formale a favore di una oscura trance sospesa in suoni acidi e distorti di cui alla fine non si può fare a meno.

6. Francesco Massaro & Bestiario, Meccanismi Di Volo (Desuonatori, 2017).
Conosco Francesco da circa un anno ed è subito nata tra noi una stima reciproca. Quello che mi piace della sua musica, e in particolare di questo suo ultimo disco con Bestiario che ascolto spesso, è il non assomigliare a nessuno, un'affermare un'estetica molto personale fatta di finezze timbriche e armoniche. Ogni elemento del gruppo è un "suono/colore" essenziale e si percepisce l'entusiasmo di ogni musicista a essere parte di una storia musicale che diventa arte proprio perché non ha confini di nessun tipo.

7. Agostino Di Scipio, Hörbare Ökosysteme: Live Elektronische Kompositionen 1993-2005 (Edition RZ, 2007).
Ritengo, senza paura di esagerare, Agostino Di Scipio il compositore più avanzato e interessante che si possa ascoltare oggi su questo pianeta. E forse anche su altri. Da anni studia metodi inusuali di generazione elettroacustica e informatica del suono, e forme originali di scrittura ed esecuzione strumentale concependo il tutto come una continua interazione "uomo-macchina-ambiente." Ascoltarlo è un'esperienza, conoscere la sua opera spero diventi presto un dovere.

8. Tatiana Nikolayeva, J.S. Bach: The Well Tempered Clavier (Olympia, 1998).
Esiste in commercio una grande varietà di incisioni del "Clavicembalo Ben Temperato" di J.S.Bach, è cosa risaputa. Ma questa interpretazione della Nikolayeva rappresenta per me l'apice del suono pianistico. Chiudendo gli occhi non è difficile percepire come la pianista, semplicemente calibrando il tocco in modi diversi, riesca a dare a ogni linea di contrappunto una caratteristica differente, come se a suonarla fossero proprio tanti strumenti e non soltanto il pianoforte. Tra gli specialisti di Bach, sicuramente Tatiana Nikolayeva è l'artista che preferisco, inoltre indico sempre questo disco a chiunque mi chieda consiglio su come costruire un bel suono sul pianoforte.

9. Sarah Stride, Schianto -EP, (Ja.La Media Activities, 2017).
Ho conosciuto Sarah Stride e suo marito Alberto Turra, straordinario chitarrista, durante la preparazione del disco dell'orchestra jazz di Angiolo Tarocchi. Sono sempre molto felice quando conosco musicisti in cui all'alto livello musicale corrisponde un gigantesco spessore umano. Sarah è una cantante "diversa" con un timbro unico e particolare e lo dimostra egregiamente in questo Ep che ho acquistato da non molto ed è subito diventato uno dei miei ascolti fissi. È un lavoro ricco di idee in cui parole dense di significato trovano sostegno in sonorità elettroniche mai scontate e architettate dal bravissimo Kole Laca.

10. Matt Mitchell, A Pouting Grimace (Pi Recordings, 2017).
Ho visto la prima volta dal vivo Matt Mitchell nel 2011 al Village Vanguard di New York durante uno degli ultimi concerti del compianto Paul Motian, del cui gruppo Mitchell faceva parte. Ricordo che mi colpì subito per il suo stile fortemente personale ma di discendenza monkiana. Nel corso degli anni l'ho apprezzato tanto anche nel gruppo di Tim Berne e di recente in quello di Steve Coleman. Qualche giorno fa ho acquistato questo disco a suo nome dall'organico ampio che mi ha catturato sin da subito. Composizioni interessantissime, impasti timbrici straordinari per un disco che definisce in maniera diretta la musica di oggi.

Foto: Amedeo-Novelli.

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