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Roger Rota

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1. Stravinsky, Chamber Works & Rarities, (Decca).

I lavori da camera di Stravinsky mi hanno sempre affascinato per la ricchezza melodica che li pervade. In particolare "Pastorale," un brano che ascoltai per la prima volta almeno trent'anni fa e che da allora riascolto periodicamente. Una melodia sognante che potrebbe non finire mai, sorretta da un accompagnamento semplice. Una miscela capolavoro.

2. Joe Lovano Trio, Tapestry, (ECM, 2019).

In questo lavoro il sassofonista è arrivato all'essenza del suo linguaggio. Il suono centrato e a fuoco, intimo, mai urlato, conduce un racconto visionario di rara bellezza.

3. ADHD, ADHD6, (Self Produced, 2017).

La musica del gruppo islandese degli ADHD mi trasmette una profonda calma. In questo disco (anche i brani più concitati come "Spessi"), è sempre la melodia a tenere in riga il filo del discorso. I ritmi e le armonie sono sempre portanti e inerenti ai temi con un pensiero quasi classico nella forma. Personalissimo il suono al tenore di Oskar Gudjonsson.

4. Echo Chamber, Antinodal (ep), (Autrecords, 2018).

Due italiani e un americano che vivono a Berlino. Un trio che si colloca tra le esperienze musicali più interessanti che ho ascoltato del jazz europeo da musicisti dell'ultima generazione. Un uso sapiente dell'elettronica che si sposa felicemente con l'acusticità del sassofono e della batteria. Un intelligente mix tra modernità e classicismo jazzisticamente inteso: temi, riff e improvvisazione.

5. Kit Downes, Obsidian, (ECM, 2018).

Questo lavoro per solo organo è dedicato a John Taylor. Kit Downes trasmette il suo amore per la tradizione popolare e per la musica liturgica. Il materiale musicale trattato si snoda anche attraverso ampie riflessioni improvvisate intrise di modernità e senso della ricerca. Musicista di grande sapienza.

6. Chris Speed Trio, Platinum on Tap, (Intakt Records, 2017).

La poetica di Chris Speed è tutta propensa al togliere più che al mettere. Il suono del suo sax sfugge a qualsiasi tecnica di abbellimento da sala di registrazione. Questo disco suona intenso e sofferto. Uno su tutti l'approccio ad una melodia sontuosa come quella di "Stardust," qui affrontata nella sua primordiale essenza.

7. Ornette Coleman, Virgin Beauty, (Sony Music, 1988).

Capolavoro assoluto, ha segnato la storia della musica improvvisata. Temi scarni e vaneggianti, riff insistenti e impassibili ritmi ossessivi sostengono assoli stralunati eseguiti da Ornette con un suono meraviglioso. Un disco che ti fa sognare e ti mette in pace.

8. Jordi Savall, Istanbul, (AliaVox, 2009).

Il maestro di musica antica in questo lavoro si occupa della musica sacra musulmana. L'atmosfera di Istanbul, culla di Maqam e Taksim, pervade ogni traccia riportandoci al fascino del sistema non temperato che mi ha particolarmente interessato nel mio studio personale sul linguaggio improvvisativo.

9. Steve Coleman, Invisible Paths: First Scattering, (Tzadik, 2007).

Disco raro, che vede il maestro delle complicazioni ritmiche e armoniche in solitaria. Il fluire del suo racconto orizzontale (in senso armonico) rotola senza soluzione di continuità attraverso la modernità con un linguaggio che raccoglie la storia del jazz.

10. Hamiet Bluiett, Birthright(Live), (India Navigation, 1977).

Un concerto in solo intriso di blues e tradizione. Tanta rabbia e molta poesia. Questo disco è puro cuore, non c'è nulla di cervellotico, niente orpelli o clichés accattivanti. Apprezzo molto questo canto "libero."

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