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Roberto Gatto, un nuovo disco che guarda al futuro

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Tutti i musicisti che fanno parte di questo gruppo sono degli ottimi compositori e ho pensato di farli partecipare con musica scritta da loro, era a mio avviso la via più giusta e democratica da percorrere. Ben vengano le idee originali.
Un'anticipazione sul jazz italiano che verrà. Il 2 ottobre scorso abbiamo incontrato il batterista Roberto Gatto allo studio IndieHub di Milano. In cantiere un album che uscirà nel corso della prima metà del 2017 per l'Abeat Records e che vede Gatto leader di un quartetto accanto a giovani musicisti di grande talento: il pianista toscano Alessandro Lanzoni (vincitore del "Top Jazz 2013" come miglior nuovo talento dell'anno), il contrabbassista pugliese Matteo Bortone e il trombettista siciliano Alessandro Presti.

All About Jazz: Hai appena terminato di registrare un disco di prossima uscita che ti vede leader di un quartetto accanto a giovani musicisti con cui collabori già da tempo. Com'è nato questo progetto?

Roberto Gatto: È una formazione abbastanza recente anche se la collaborazione va avanti già da qualche anno. È un gruppo che si è composto in maniera quasi casuale, attraverso il promoter siciliano Toti Cannistraro, in occasione di un concerto che avrei dovuto fare ad Agrigento nella Valle dei Templi e lui mi propose di suonare con alcuni musicisti che erano in zona in quel periodo. Alessandro Lanzoni era già lì assieme a Matteo Bortone, a noi poi si è unito Alessandro Presti, ci siamo divertiti molto per cui abbiamo continuato a suonare assieme. Abbiamo fatto un po' di festival tra cui Umbria Jazz. Giravamo già da un po' ma non avevamo mai registrato, poi è arrivata questa proposta da Mario Caccia di fare un disco per Abeat e abbiamo colto l'occasione per entrare in studio.

AAJ: Qual è il repertorio scelto per questo disco?

R. G. Ci troviamo avvantaggiati perché il gruppo ha un suono consolidato e un repertorio piuttosto ampio fatto di ottima musica. Di fatto non avevamo deciso molto, ci siamo ritrovati a pochi giorni di distanza dalla registrazione a definire che musica avremmo suonato. Ognuno di noi ha proposto un paio di composizioni e alla fine abbiamo deciso di suonare quasi esclusivamente composizioni originali, nuove rispetto a quelle che suoniamo dal vivo.

AAJ: Sarà un album collettivo quindi?

R. G.: In gran parte si, sarà un disco che rispecchia un po' tutto le personalità dei componenti del gruppo. Mi piace pensare che esista anche questa possibilità. Sono arrivato credo al diciassettesimo disco da band leader. Ho inciso tantissimi dischi in cui ho suonato musica esclusivamente mia, dischi che sono dei tributi a musiche di altri, in questo lungo percorso che parte dagli anni Ottanta ci stava anche un disco corale. Tutti i musicisti che fanno parte di questo gruppo sono ottimi compositori e ho pensato di farli partecipare con musica scritta da loro. Era a mio avviso la via più giusta e democratica da percorrere.

AAJ: Da leader della formazione, in che misura hai contribuito dal punto di vista della scrittura?

R. G.: È un periodo in cui non sto scrivendo moltissima musica, per cui ho preferito lasciare spazio a loro. Già conoscevo in parte i brani che avremmo suonato e che caratteristiche potevano avere. Quindi, alla fine, ci siamo trovati a fare un disco di brani originali, una cosa non facile di questi tempi visto che non sono in molti i musicisti che compongono brani basati su un'idea forte che mette in risalto il loro talento. Per questo album ho avuto la fortuna di essere circondato da musicisti che scrivono ottimamente e abbiamo messo assieme materiale di buon livello.

AAJ: Alessandro Lanzoni, tu collabori da diverso tempo con Roberto Gatto. Qual è il tuo bilancio di questi due giorni in studio?

Alessandro Lanzoni: Molto positivo, la registrazione è andata molto bene. La dimensione in studio è molto diversa da quello che facciamo di solito. C'è una una situazione più intima, si suona con le cuffie, il suono è molto più definito per cui tutto risalta molto di più. È un lavoro chirurgico e difficile ma una delle qualità di questo gruppo è il relax tra di noi. Il clima che si instaura è ideale per fare musica insieme e poi c'è un approccio molto democratico, c'è molto rispetto.

AAJ: Potete parlarci delle composizioni che avete scritto o scelto per questo disco?

A. L.: Ho portato due composizioni, una di queste è una specie di valzer che si intitola "Brendy," è la fusione del nome di due ragazze immaginarie, Brenda e Andy. Si tratta di una composizione astratta con una vena ironica e un andamento abbastanza lirico. L'altro brano è molto più jazz in stile swing, per il quale mi sono ispirato allo stile compositivo di Herbie Nichols.

Matteo Bortone: Anch'io ho contribuito al disco con due brani. Uno è stato scritto un po' di tempo fa ma ho sempre pensato che potesse funzionare. L'altro è nuovissimo, l'ho scritto qualche giorno prima della registrazione. Roberto voleva mantenere per questo disco il suono del gruppo ma con un taglio un po' più moderno, quindi ho pensato di scrivere una composizione per permettere a Roberto di esprimersi in modo energico dall'inizio alla fine. Non l'avevamo provato prima e sono stato molto contento del risultato. L'abbiamo suonato proprio come l'avevo pensato, c'è un'atmosfera di jazz moderno.

AAJ: Quindi la dimensione in studio non ha compromesso l'energia e la brillantezza del gruppo nelle situazioni live?

M.B.: No, esatto. Devo dire che è stato molto interessante trovarsi qui e aver provato tanti brani, non come se si andasse a fare una jam session ma con la coscienza di avere una base forte per affrontare del materiale nuovo. Credo che il disco rispecchi questa freschezza ma allo stesso tempo si percepisce più consapevolezza, mi è piaciuta molto questa esperienza.

Alessandro Presti: Io ho portato un solo brano, è piuttosto classico, non ha ancora un titolo definitivo ma l'ho dedicato alla città in cui sono nato, Mistretta, che un tempo si chiamava Amastrato. È una composizione fortemente melodica. Conoscevo Roberto e la sua propensione verso la melodia, quando ho pensato di scrivere qualcosa per questo gruppo ho immaginato un brano quasi classico, non molto jazzistico. Per me questa registrazione è stata una bellissima esperienza, molto formativa per quanto mi riguarda.

AAJ: Oltre alle composizioni originali quali standard del vostro repertorio avete deciso di incidere in questo disco?

R. G.: C'è uno standard a cui siamo molto affezionati che suoniamo dal vivo e che abbiamo registrato nel disco, è "I've Got You Under My Skin" di Cole Porter, un brano meraviglioso in partenza che ho scoperto nella versione di uno dei cantanti che amo di più, Mark Murphy, di recente scomparso. Murphy ne fa una versione minimalista, con un clima fantastico, ho voluto riproporla con questa formazione e la suoniamo fin dai nostri primi concerti. Sarà che la forza di certe composizioni rompe qualsiasi barriera, ma ogni volta che la proponiamo, nel momento in cui si rivela la melodia, il pubblico si emoziona, arriva con una forza incredibile e noi ci divertiamo moltissimo e per questo abbiamo deciso di registrarla.

AAJ: Ci saranno anche tue composizioni inedite?

R. G.: Si, ho scritto anch'io un paio di pezzi inediti, uno composto pochi giorni prima di entrare in studio e un altro che avevo scritto in precedenza, un brano un po' più free. Infine ho ritirato fuori un brano che feci nel mio secondo disco, se non sbaglio nel 1986 con John Scofield, si chiama "Tango's Time" ed allora era registrato in maniera completamente diversa, con i suoni degli anni Ottanta, tastiere, sintetizzatori ecc. ma suona ancora piuttosto attuale. È stato l'ultimo brano che abbiamo registrato in questa session, quasi per scommessa, secondo me ha funzionato bene, è un rimando ai miei primi album da leader.

AAJ: Come mai hai scelto questo "ritorno al passato"?

R. G.: Ho scoperto che i musicisti necessariamente spesso si riciclano e riciclano il materiale. Io ho scritto tanta musica e ogni tanto vado a ripescare dal passato. Fino ad oggi l'ho fatto molto poco ma devo dire che ogni tanto ci sta, l'ho visto anche frequentando Enrico Rava. Lui a un certo punto ha cominciato a riciclarsi e a ritirare fuori pezzi scritti negli anni Settanta, bellissimi, che a distanza di molti anni con un suono diverso funzionano. Credo sia una cosa abbastanza normale recuperare il passato, anche nel mio caso ha funzionato e mi ha regalato una bella emozione.

Foto di Fatima Batista (da sinistra: Alessandro Presti, Alessandro Lanzoni, Matto Bortone, Roberto Gatto, Mario Caccia).

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