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Ricordiamo Gerald Wilson

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Era rimasto l'unico grande bandleader della Swing Era, Gerald Wilson, e la sua recente scomparsa (l'8 settembre scorso, a 96 anni) è stata ricordata dai principali media statunitensi con ampi necrologi. Purtroppo in Italia è rimasta quasi inosservata. Superato il picco di popolarità dei primi anni sessanta, con un orchestra che vinse prestigiosi referendum, Wilson ebbe una seconda giovinezza dopo i 75, realizzando vari album e tornando di nuovo sotto i riflettori. A partire da State Street Sweet (Mama Foundation, 1994) fino a Detroit (Mack Avenue, 2009) e Legacy (Mack Avenue, 2011), i suoi ultimi dischi testimoniano un'inossidabile e straordinaria freschezza espressiva.

Tra i due periodi c'è un decennio vissuto nell'ombra. Tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli Ottanta il bandleader non incise dischi, anche se continuava a comporre e dirigere formazioni d'alto livello in California col suo stile unico, swingante come Basie e sofisticato quanto Duke.
La prova si ebbe in Italia nel 1986, quando fu invitato a Verona Jazz da Nicola Tessitore, un direttore artistico quanto mai coraggioso e lungimirante. Gerald Wilson veniva in Italia per la prima volta ed offrì due concerti entusiasmanti. Il primo, gratuito, il pomeriggio del 29 giugno in Piazza Bra e il secondo la sera successiva al Teatro Romano, dividendo il palco con Gil Evans. Nessun altro festival italiano l'ha più invitato.
Quella big band presentava solisti come Oscar Brashear e Snooky Young alle trombe, Garnett Jnr Brown e Buster Cooper ai tromboni, Harold Land ed Ernie Watts al sax tenore, Jerome Richardson ai sassofoni e flauti, Milcho Leviev al pianoforte.

L'allora direttore di "Musica Jazz," Pino Candini, scrisse nella recensione del concerto: ..."si è fatta conoscenza diretta di questo dinamico ed eclettico leader, arrangiatore ed ex trombettista oggi 68enne, che raggiunse il top della celebrità nei primi anni '60 quando dirigeva un'orchestra giudicata pressoché perfetta dai critici USA di allora. Nelle sue partiture ci sono tutti i luoghi canonici della gloriosa tradizione delle big bands nere, da Jimmie Lunceford a Gillespie a Basie, con i quali Wilson ha del resto collaborato: il suono esplosivo, il mobilissimo gioco delle sezioni, lo swing bruciante, le lunghe cavalcate solistiche. E c'è soprattutto un senso della comunicativa semplice, diretto, che punta esplicitamente al consenso del pubblico." In quei giorni Wilson mi concesse un'intervista, rimasta l'unica in lingua italiana, che uscì su "Musica Jazz" nel febbraio 1987 e che ora ripubblichiamo quasi per intero. Con lui possiamo ripercorrere le fasi salienti della sua vita.

Quali sono stati i suoi primi approcci con la musica e con il jazz in particolare?

Gerald Wilson: Le prime esperienze musicali le ho svolte in famiglia. La mamma mi ha dato le prime lezioni di pianoforte e nell'infanzia ho continuato a esercitarmi coi miei fratelli. All'età di sette-otto anni ebbi la fortuna di ascoltare i dischi di Jelly Roll Morton, King Oliver, Louis Armstrong, Kid Ory e di molti altri musicisti di New Orleans, mentre più tardi iniziai ad appassionarmi alle orchestre che ascoltavo dalla radio o dai dischi. Ricordo che fingevo, con una bacchetta in mano, di essere io il direttore d'orchestra. Sono state tutte quelle esperienze a orientarmi.

Cosa può dirci sul suo lavoro con Jimmie Lunceford?

G.W.: Entrai nell'orchestra di Lunceford nel giugno del 1939 e la lasciai nell'aprile del 1942. Comunque la mia formazione musicale avvenne prima, a Detroit, dove trascorsi cinque anni. Laggiù c'erano eccellenti musicisti come i McKinney's Cotton Pickers, che mi piacevano particolarmente, e ricordo che poco dopo suonai con alcuni di loro nella band di Cecil Lee e in altre occasioni. Non si parla molto di Detroit ma l'ambiente musicale di allora era molto stimolante. Nel 1938 vi incontrai Dizzy Gillespie che suonava nell'orchestra di Edgar Hayes. Già allora era molto veloce con la sua tromba e si potevano intravvedere i segni del suo nuovo stile.

Torniamo a Lunceford. Fu gravoso per Lei occupare la sedia che era stata di Sy Oliver?

G.W.: Non si può dire che io presi il posto di Sy Oliver. Era impossibile arrivare a sostituire il più grande arrangiatore di quel periodo, che fu anche un eccellente compositore e solista di tromba. Ad ogni modo quella scrittura mi stimolò molto ad apprendere e perfezionare la mie conoscenze musicali, e in quegli anni iniziai anche a comporre e orchestrare.

Ci può parlare della sua prima big band?

G.W.: Quando nel 1944 fui congedato dalla marina militare, pensai di organizzare una mia orchestra che visse dal novembre di quell'anno fino al luglio 1946. Ricordo che avemmo un grande successo: due tournée negli Stati Uniti con tappe all'Apollo Theater di New York, al night club El Gato di Chicago, al Riviera di St.Louis. Incidemmo 88 brani e per qualche tempo la mia cantante fu Ella Fitzgerald che poi venne sostituita da Joe Williams. Tra i musicisti di allora c'erano Snooky Young, Ernie Royal, Melba Liston, Hobart Dotson, Buddy Collette, Red Callender. Ricordo che questi registrò con la mia band il suo primo assolo di contrabbasso (il brano è "Dissonance in Blues" N.d.R.).

Quell'orchestra ebbe un grande successo ed era considerata tra le più moderne di allora, ma lei preferì scioglierla per riprendere il lavoro di solista e arrangiatore per altri. Perchè?

G.W.: Mi resi conto che avevo toccato la vetta del successo troppo presto senza aver ancora raggiunto lo stile che mi proponevo di sviluppare nel linguaggio per grande orchestra. Così decisi di fermarmi e studiare, pur continuando a suonare la tromba con altri. Per due anni, dal 1948 al 1950, lavorai con Count Basie come solista e compositore-arrangiatore. In quello stesso periodo, a partire dal 1947, orchestrai anche per Duke Ellington, prima temi come "You Gotta Crawl Before You Walk" e in seguito "Smile," "If I Give My Heart to You," "La virgen de la Macarena," "El Viti," "El Gato" e altri ancora.

Il giovane Eric Dolphy fece parte della sua orchestra dei primi anni '50. Ci può parlare di lui?

G.W.: Eric era ancora un giovane studente quando suonò nella mia orchestra negli anni cinquanta. Lo conoscevo bene ed eravamo molto amici, come lo sono ancora della sua famiglia che vive a Los Angeles. Egli era già allora un valido musicista di estrazione moderna, era molto influenzato dal bebop e dallo stile di Charlie Parker, e mostrava una grande volontà di farsi strada con la sua musica. Si impegnava e lavorava molto.

Ricordo che Dolphy ha ammesso una profonda gratitudine nei suoi contronti. Sia dal punto di vista musicale ("la big band di Wilson -disse-suonava moderno già nel 1944 ed io ho registrato un suo arrangiamento di 18 anni fa che suona tuttora fresco.") che da quello umano. Lei ha poi dedicato a Dolphy il brano "Eric."

G.W.: Quel brano gli fu dedicato quand'era ancora in vita e anche Dolphy scrisse una composizione per me che si chiama "G.W." e si trova in Outward Bound della Prestige.

Le incisioni della sua orchestra con Dolphy rimangono un mistero. Non si conoscono i titoli, le date o l'etichetta. Può darci qualche chiarimento?

G.W.: Purtroppo non posso essere di grande aiuto in quanto non ricordo molto. Eric registrò con me in molte occasioni sia nel campo del jazz che in quello del rock. Nessuno sa che egli era con la mia orchestra in "For Your Love," di Ed Towsend, un grande successo della Capitol. Inoltre è presente in un album di jazz prodotto dall'allora manager dei Platters. Non ricordo il titolo ma comprendeva brani come "Lady Is a Tramp" "Couldn't Love, Couldn't Cry," "Out of This World" e altri quattro temi.

Cosa ha da dire dell'influenza spagnola e messicana nella sua musica? Molti suoi temi sono stati dedicati a famosi toreri...

G.W.: Sono stato e sono ancora molto attratto dal folklore spagnolo e messicano perchè mia moglie è messicana. Nella mia musica sono confluiti vari elementi dal folklore di quei paesi che è poi legato anche al mondo delle corride. Ho conosciuto grandi toreri e ho dedicato a loro molti temi: Carlo Arruza, Lomenin, José Ramon Tirado ("Viva Tirado"), Antonio Del Olivar, Manuel Capetillo...

I suoi lavori sono quanto mai eclettici. Lei ha spaziato fino alla musica pop e a quella sinfonica. Al di fuori del jazz cosa le ha dato più soddisfazione?

G.W.: Il mestiere di arrangiatore non è sempre ricco di gratificazioni; alcune mie orchestrazioni hanno venduto milioni di copie accompagnando famosi cantanti ma il mio nome, quando è apparso in copertina, era micoscopico. Ho scritto 39 orchestrazioni per Ray Charles, 30 per Nancy Wilson, 30 per Ella Fitzgerald e decine per altri famosi interpreti. Ricordo con piacere un album con Nancy Wilson, Yesterday Is Love Songs, Today Is Blues ed ancora la mia orchestrazione di "You Are My Sunshine," un grande successo di Ray Charles. Grandi soddisfazioni le ho avute dai miei lavori sinfonici. Nel 1972 Zubin Metha mi invitò a scrivere una composizione che egli stesso ha diretto con la Los Angeles Philharmonic Orchestra e le recensioni furono fantastiche per me. Ho poi scritto altre nove orchestrazioni sempre condotte da Metha con la L.A. Philharmonic."

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