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Riccardo Fassi: Tankio Band, Frank Zappa, Antonello Salis e molto altro

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Fondatore e leader della Tankio Band, una delle più innovative e longeve orchestre italiane, Riccardo Fassi eccelle anche in veste di pianista e tastierista in piccoli organici e come compositore di colonne sonore. L'occasione per quest'intervista ad ampio raggio e ricca di aneddoti, viene dalla pubblicazione con la Tankio Band del secondo capitolo sulle musiche di Frank Zappa, che ha coinvolto il leggendario cantante del chitarrista Napoleon Murphy Brock .

All About Jazz: A distanza di oltre due decenni dal primo disco sulle musiche di Frank Zappa inciso dalla Tankio Band, da qualche mese hai pubblicato il secondo volume col titolo The Return of the Fat Chicken. Prima d'entrare in dettaglio sul nuovo progetto mi viene spontaneo chiederti: come mai tanto tempo?

Riccardo Fassi: In realtà ho sempre mantenuto il contatto con la musica di Zappa che ho suonato in varie formazioni, come il trio con Marco Siniscalco al basso elettrico e Davide Pettirossi alla batteria. Nel tempo ho fatto altri arrangiamenti e qualche tempo fa è sorta l'idea di coinvolgere il cantante di Zappa, Napoleon Murphy Brock. Il suo manager ci ha dato una mano per farlo venire a Roma e partecipare a un concerto e nell'occasione abbiamo registrato alcuni brani. Una delle spinte è stata quella di coinvolgere un interprete originale della musica di Zappa e compiere una sorta di approfondimento ulteriore. Io avevo un conto in sospeso con una serie di brani che volevo arrangiare e ho completato il disco. Ne sono rimasti fuori un paio, che forse un giorno entreranno in un disco misto con cose diverse.

AAJ: Ho notato che ci sono due brani già interpretati nel primo volume su Zappa ma il resto appartiene alla produzione successiva, forse meno nota ma non meno bella, del chitarrista...

RF: I due brani provenienti da Tankio Band Plays the Music of Frank Zappa sono ripresi in modo nuovo. «Uncle Meat» è stato riscritto completamente, è proprio un'altra cosa, mentre il nuovo arrangiamenti di «Oh No» prevede tra l'altro la parte vocale di Napoleon. Questi ha suggerito gli altri brani che interpreta, come «Florentine Pogen» che Zappa ha scritto proprio per lui. Il resto della selezione rientrava tra i miei interessi come «G Spot Tornado» che appartiene all'ultima fase della musica di Zappa.

AAJ: Napoleon ti ha raccontato qualche episodio accaduto nei suoi 12 anni trascorsi con Zappa?

RF: Mi ha raccontato molti episodi tra cui quello fondamentale in cui si sono conosciuti. Il fatto è accaduto alle isole Hawaii tra il 1971 e il 1972. Zappa era stato mandato lì dal suo manager a distrarsi dopo delle scappatelle con donnine allegre e si trovò in un locale dove suonava Napoleon con la sua band. Questi eseguivano un vasto ed eccentrico repertorio, che spaziava da brani stile Motown ad altri di Erik Satie o di Herbie Hancock. Alla fine del concerto Zappa andò da Napoleon complimentandosi e gli disse che lo riteneva perfetto per la sua musica. Il dialogo andò avanti così: "Grazie, ma tu chi sei?" , "Sono Frank Zappa" , "Mah... non ti conosco...." Zappa cercò di chiarire chi fosse ma Napoleon tagliò corto: "Guarda io ho appena messo su questo gruppo, sono molto impegnato, abbiamo un sacco da fare e non ho tempo..." Dopo essersi lasciati Napoleon però ebbe un dubbio e lo richiamò: "ma tu chi hai nella band, con chi suoni?" e Zappa rispose: "George Duke, Jean-Luc Ponty..."

Ovviamente il cantante accettò la scrittura e quando si trovò a Los Angeles per delle prove ebbe modo di sentire il gruppo che suonava. Mentre mi raccontava questo mi ha rifatto l'espressione di allora con la boccca spalancata e gli occhi sbarrati dall'ammirazione... In effetti quel gruppo s'esprimeva ad un livello tecnico e musicale elevatissimo, in particolare per quegli anni.

Zappa gli mollò un pacco di spartiti invitando a memorizzare una trentina di pezzi. Le prove, ovviamente pagate, consistevano in 2/3 mesi per cinque giorni a settimana, mattina e pomeriggio. Poi il gruppo partiva in un tour di 5/6 concerti a settimana per sei mesi. Napoleon mi ha poi spiegato che il testo di ogni brano è legato a una storia precisa, con riferimenti a persone e fatti realmente accaduti.

AAJ: Ad esempio?

RF: «Take Your Clothes Off When You Dance», che Napoleon ha proposto d'includere nel disco, è un'ironica presa in giro dei freak che ballavano nudi nei raduni tipo Woodstock o Isola di Wight.

AAJ: Quanto tempo hai impiegato per la scrittura degli arrangiamente e poi per l'incisione?

RF: Per la scrittura degli arrangiamenti circa due mesi di lavoro mentre per le prove e l'esecuzione in studio siamo stati abbastanza veloci salvo poi il tempo occorso per l'editing. Sono state fatte delle sessioni diverse: in quella con Napoleon c'è una formazione mentre nella session con Gabriele Mirabassi l'organico è un po' cambiato.

AAJ: Cos'è mutato oggi nella tua elaborazione della musica di Zappa rispetto al primo disco di vent'anni fa? Oggi mi sembri più spregiudicato...

RF: Ovviamente vent'anni dopo siamo tutti diversi e cambia anche la finestra con cui si vedono le cose. Non c'è più la a prospettiva degli anni dal 1990 al 1994 quando è stato elaborato quel primo disco —tra l'altro pensato con Frank Zappa vivo e non come un tributo —con la musica del chitarrista ben presente. Adesso, a distanza di anni, è più marcata la validità e la consistenza della sua musica ed è vero gli arrangiamenti sono più ad ampio raggio: con la voce abbiamo la parte teatrale che mancava nel primo disco e nel corso dei brani ci sono episodi più avventurosi o insoliti come il duo tra me e la fisarmonica di Antonello Salis.

AAJ: Dal 2012 non pubblicavi dischi, precisamente dal progetto New York Pocket Orchestra. Poi quest'anno sono usciti un lavoro in quartetto con Alex Sipiagin (Portraits of Interior Landscapes) con nuove tue composizioni ed ancora Tankio Band Meets Fabio Morgera. Ci parli di queste due nuove incisioni?

RF: In realtà è una questione di tempistica. Il disco con Sipiagin doveva uscire l'anno prima ma ha subito un ritardo. Stessa cosa per il disco con Fabio Morgera. Io avrei preferito diversamente perchè sono usciti insieme e c'è un po' il rischio che si notino meno. La collaborazione con Sipiagin va avanti dal 2002 o 2003 quando —grazie al festival di Stresa —ebbi l'opportunità di invitarlo nella Tankio Band assieme ad altri musicisti statunitensi tra cui Jack Walrath, Ray Anderson, Bob Stewart, Lou Marini, Steve Slagle e altri. Nell'occasione suonammo i brani del disco Serial Killer. Con Sipiagin ho poi realizzato altre cose, in quartetto, con la Pocket Orchestra e in tante altre occasioni: è una collaborazione stabile e i pezzi del disco che citavi sono pensati anche per il suono della tromba di Alex. Sono tra le ultime composizioni che ho scritto e hanno un'impronta più moderna.

Il disco con Fabio Morgera è invece un disco di musica sua. Lui aveva dei brani orchestrali, ha chiesto di fare questa cosa insieme e abbiamo accettato ben volentieri. Una delle idee della Tankio era quella di far suonare le loro musiche a degli ospiti. L'abbiamo fatto anche con Giovanni Falzone alla Casa del Jazz di Roma ed è in fase di sviluppo il progetto riguardante la musica di Antonello Salis per orchestra jazz. I brani di Antonello sono arrangiati da me e prima o poi li eseguiremo.

Avevo anche fatto una promessa a Steve Lacy di registrare per orchestra i suoi brani e ne ho parlato con Dave Liebman per realizzarla ma purtroppo non è facile. Come era già successo col progetto su Eric Dolphy mi accorgo che queste cose non sono accettate dai direttori artistici dei festival. Quello che oggi interessa è il cast non la musica: se uno nel gruppo ha dei nomi di richiamo va bene altrimenti no. Ci può essere un'eccezione per la musica di Zappa, che è un nome popolare, ma per altre musiche no.

AAJ: Il tuo riferimento a Steve Lacy mi dà l'occasione per chiederti della tua relazione col sassofonista. Ricordo la colonna sonora con lui e Salis per il film Belleville...

RF: Lavorare con Lacy è stato un sogno realizzato. Ebbi l'occasione di conoscerlo all'inizio degli anni ottanta, intervistandolo alla radio in occasione di un suo concerto romano. Qualche tempo dopo ero in vacanza a Parigi e colsi l'occasione per andarlo a trovare. Gli detti il disco d'esordio della Tankio Band e gli proposi una collaborazione. «Non collaboro con i giovani —mi rispose —preferisco le persona mature che fanno cose di profondità e spessore ...». La cosa si chiuse lì ma nel 1997 ci trovammo a suonare in Sicilia in una variopinta performance con Antonello Salis, Enzo Pietropaoli, dei percussionisti tuareg del Marocco e altri. Quel concerto sbloccò la situazione e ci promettemmo di collaborare in futuro. L'occasione venne grazie al film Belleville (Vite Sospese) di Marco Turco. Mi fu commissionata la colonna sonora e Lacy accettò di partecipare. Il film fu presentato al festival Venezia e ricordo che durante la proiezione tutte le volte che entrava il sax di Lacy l'emozione era enorme. Negli anni successivi ho lavorato sulla sua musica e un archivio di suoi brani che ho raccolto, alcuni dei quali avuti da lui direttamente, e che vorrei incidere. Ho poi delle registrazioni live con lui in quartetto e un duo pianoforte/sax soprano che sto pensando di far pubblicare...

In quegli anni Lacy aveva lasciato Parigi ed era ritornato a vivere negli Stati Uniti, a Boston: aveva avuto una multa pesantissima dall'ufficio delle tasse francesi che l'accusò di essere un evasore fiscale. Lacy aveva perso certe ricevute che provavano il contrario e chiamò il ministro della cultura Jack Lang per avere un aiuto. Ma i francesi s'arrabbiarono ancor di più tanto che Steve voleva restituire l'onorificenza di Cavaliere delle lettere e delle arti che gli avevano conferito anni prima. Alla fine lasciò la Francia. Con Steve sono stato in contatto dal 1997 fino al 2004 e l'ho sentito per telefono fino a un mese prima della morte.

AAJ: Tra le collaborazioni italiane quella con Antonello Salis assume un ruolo speciale, anche in piccole formazioni come il duo (Joining 1986) o il trio di Special Edition. La cosa è un po' singolare perchè siete entrambi pianisti/tastieristi...

RF: Con Antonello ci conosciamo da tantissimi anni e possiamo fare qualsiasi cosa. Nel tempo abbiamo collaborato in duo o nella formula in cui lui è ospite della Tankio Band, sia nell'esecuzione dei brani di Zappa che nelle musiche di sua composizione. Lui non è un arrangiatore ma scrive temi molto interessanti e ho pensato di orchestrarli. Riguardo l'improvvisazione che facciamo in duo c'è molta intercambiabilità, molto dialogo.

AAJ: La Tankio Band ha 34 anni di vita e —caso direi unico —ha mantenuto quasi intatto negli anni il nucleo del suo organico, soprattutto i sassofoni. In questo disco troviamo ancora molti solisti delle prime formazioni. Qual'è il segreto di questa continuità?

RF: Certamente l'amicizia, più il fatto che sono un tipo testardo e determinato. Com'è noto la vita delle orchestre è estremamente difficile e tenerle in vita significa non volersi arrendere. Per chi lo fa è una perdita economica ed è difficilissimo operare. Nonostante questo io amo l'orchestra e, fosse per me, suonerei solo in questo contesto. La amo perchè è un team di persone che mettono in comune la loro creatività ma anche un luogo di riflessione sulla musica dove si scrive, si progettano le cose. Ognuno mette qualcosa di suo ottenendo un mosaico, un variopinto risultato collettivo che mi appassiona. Una situazione da cui si impara tantissimo tutti. Ho sempre amato le orchestre, anche quelle degli altri, sia americane che europee, sia tradizionali che contemporanee. Altro motivo di continuità della Tankio Band è che operiamo a Roma e, in una grande città, i musicisti sono maggiormente reperibili. Il problema piuttosto è farsi ascoltare dal pubblico perchè quando ti proponi a un organizzatore sorge sempre il problema del «quanto mi costa» aggravato dalla concorrenza sleale di altre cose, magari più care, che puntano sul cast piuttosto che sulla qualità del progetto.

AAJ: Da dove nasce il nome Tankio Band?

RF: Tankio è una deformazione di thank you presa da un film dei fratelli Marx. In una delle scene c'è Groucho al tavolo con una donna, lui le offre dei fiori, lei risponde thank you e lui replica thankio. Poi prende altri fiori li rimette sul tavolo e la cosa si ripete: lei dice thank you e Groucho risponde thankio. Una scena surreale dove il tavolo si riempe di fiori e loro non si vedono più... In definitiva è un omaggio ai fratelli Marx.

AAJ: C'è stata qualche esperienza che ha rappresento un punto di svolta nella tua carriera di musicista?

RF:: Sicuramente l'incontro con Tony Scott a 15 anni che fu un grandissimo stimolo ed incoraggiamento! E poi gli anni passati a suonare con Steve Grossman dal 1989 al 1996 sono stati la mia scuola di jazz, e poi successivamente gli incontri con altri grandi maestri come Steve Lacy, Roswell Rudd, Gary Smulyan e Alex Sipiagin.

AAJ: Tu sei nato a Varese ma ti sei trasferito a Roma negli anni settanta. Cosa ricordi dell'ambiente jazzistico romano di qugli anni?

RF: Mi sono trasferito a Roma alla fine degli anni settanta perchè conoscevo Massimo Urbani. Poi c'erano altri motivi legati ad altre conoscenze, alla voglia d'indipendenza eccetera. Come spesso accade, da ragazzi ci si trasferisce in un'altra città sulla base di fattori emotivi. All'inizio mio padre non era molto d'accordo perchè aveva uno studio medico e voleva che i figli studiassero medicina... Parlando dell'ambiente jazzistico a Roma ricordo che in quegli anni erano appena arrivati a Roma Antonello Salis e altri musicisti sardi con cui feci subito amicizia. La scena era molto ricca con una divisione tra chi suonava mainstream e chi lavorava nell'ambito del free.

AAJ: All'attività di musicista hai progressivamente affiancato quella didattica, prima alla scuola del Testaccio e poi nei conservatori...

RF: Si, per molti anni ho insegnato alla scuola del Testaccio e all'Università della Musica, una scuola privata che durò per tutti gli anni novanta. Poi c'è stata la chiamata dei conservatori con il primo bando del 1996/97 in cui sono entrato e da allora ho insegnato nei conservatori, sono passato di ruolo ed ora svolgo la funzione di direttore del dipartimento jazz a Firenze.

AAJ: Come vedi gli aspiranti giovani jazzisti italiani?

RF: La situazione da un lato è estremamente positiva perchè ci sono molti giovani bravissimi. Ne parlavo di recente anche con Furio di Castri e mi diceva che in Francia non c'è tutto questo movimento di giovani, soprattutto come quantità. Dall'altro c'è il problema del numero: i musicisti italiani di jazz sono stimati essere tra i 3 mila e i 4 mila...

AAJ: Troppa domanda rispetto all'offerta...

RF: Non c'è molto spazio per tante ragioni, di politica culturale ed economica, e quindi, a parte alcuni casi, ai giovani talenti non resta che scappare all'estero, come sta accadendo in altre professioni.

AAJ: Che musicisti ascolti di preferenza?

RF: Io seguo di tutto: musica classica, jazz, rock, musica contemporanea. Ultimamente ho ascoltato in particolare Sonny Stitt, molto Messiaen e i Pink Floyd. Di questi ultimi sto acquistando la discografia completa che esce con La Repubblica e, riascoltandoli dopo molti anni, trovo che siano stati davvero creativi. Altri gruppi rock del passato interessanti sono stati i Soft Machine ma anche l'area progressive di gruppi come i Van Der Graaf Generator. A Roma c'è sempre molta offerta e frequento regolarmente i concerti di musica sinfonica al Santa Cecilia, quelli dei pianisti classici e dei jazzmen. Ogni anno seguo i concerti di Grigorij Socolov, tra poco andremo a sentire Khatia Buniatishvili e ho apprezzato di recente il trio di Sullivan Fortner.

AAJ: Tra i tuoi dischi passati quali preferisci?

RF: Amo molto Sitting in a Song, il CD della New York Pocket Orchestra, Serial Killer il disco della Tankio Band del 2001 con Enrico Rava, il primo disco sulle musiche di Zappa e Dummy realizzato con Steve Lacy. Anche Not, il vecchio disco del 1991 della Tankio Band, ha delle composizioni che ancora oggi apprezzo molto. Andando indietro di un paio d'anni ricordo con piacere i due dischi con Steve Grossman, Il Principe con la Tankio Band e Moon Train con Boltro, Moriconi e Ascolese che mi piacerebbe veder ristampato.

AAJ: C'è un progetto che ti piacerebbe realizzare?

RF: Tra le varie cose ce n'è uno sulle musiche di Herbie Nichols ma anche sulle colonne sonore dei film di James Bond. Un'altro progetto di cui parlavo con Riccardo Luppi riguarda la musica di Sun Ra anche se la cosa è più complicata in quanto era espressione di una comunità e non è facile reinterpretare quel feeling. Certo i dischi che ha inciso negli anni cinquanta-ad esempio Sun Song erano strepitosi. Un sogno nel cassetto è suonare con Dave Liebman per un progetto di musiche originali.

AAJ: Hai già altri progetti per il prossimo futuro?

RF: Ho un disco pronto con Analog Trio, un trio con me alle tastiere e sintetizzatori, con Marco Siniscalco al basso e Davide Pettirossi alla batteria. In alcuni brani c'è anche Alex Sipiagin alla tromba. È un progetto con molta elettronica e molta improvvisazione. Poi nuovi progetti con la Tankio Band su musiche di Antonello Salis, e altri che sono in allestimento.

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