Mostly Other People Do the Killing: Red Hot

Abbiamo imparato in questi anni a conoscere le strategie creative dei Mostly Other People Do the Killing: grande ironia, una dieta onnivora, la capacità di accendere di colori fluorescenti i linguaggi che siamo soliti immaginare in bianco e nero, un approccio al virtuosismo basato sul paradosso e l'eccesso.

Nemmeno il tempo di metabolizzare le plasticità smooth jazz di Slippery Rock ed eccoli allargati a settetto, alle prese con grammatiche supertradizionali, da "hot jazz" degli anni Venti/Trenta, pronti a fare detonare la musica in un cortocircuito temporale che ben si può scorgere nelle beffarde espressioni dei loro volti in copertina.

Ovviamente il tutto non è solo un gioco postmodernista e divertente: l'aggiunta di pianoforte, banjo [l'eccellente Brandon Seabrook, anche disturbatore elettronico all'occorrenza] e trombone basso da un lato forniscono elementi sonori "riconoscibili," dall'altro allargano le possibilità compositive e strutturali nelle mani del leader e contrabbassista Moppa Elliott.

Spazio quindi a frammenti dei Red Hot Chili Pepper e a citazioni da Joe Jackson [nel frullatore pianistico di Ron Stabinsky, "King of Prussia"], a rauche evocazioni timbriche e ribollenti aperture danzanti, a spiazzamenti che sono tutt'altro che infrequenti nel jazz degli ultimi decenni, da Zorn alla Raymond Scott Orchestrette passando per l'ironia di un certo jazz olandese, ma che sono maneggiati con una fantasia indomabile e differenti livelli di senso.

Ai gusti personali poi se preferire la saltellante "Turkey Foot Corner" o il ternario da giostrina di "Orange Is the Name of the Town" che si sbriciola in una sorta di ossessione per banjo e pianoforte tyneriano. Oppure il blues dalla faccia dipinta Art Ensemble di "Gun Stomp"... ma vi lasciamo il piacere di farvi sballottare divinamente in questa macchina del tempo sonora.

Comunque un altro bel colpo messo a segno dai MOPDtK!

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