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Randy Weston: Brooklyn, Africa e ritorno

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In Africa uno può riscoprire il valore della improvvisazione; è più evidente come la musica sia la voce di Madre Natura. E Madre Natura improvvisa di continuo.
Per ricordare il grande pianista statunitense, riproponiamo un'intervista del 1999 che ripercorre la sua vita e la sua carriera, dalla nascita a Brooklyn agli anni passati in Africa fino alla consacrazione dopo il rientro negli Stati Uniti.

Ogni anno, la facoltà di musica dell'università di Harvard, dedica parte del suo calendario accademico all'analisi ed all'approfondimento della musica di uno dei grandi maestri del jazz. Grazie a questo programma, musicisti del calibro di Bill Evans, Gerry Mulligan, Lester Bowie, Steve Lacy, Illinois Jacquet, Lee Konitz, Andrew Hill, John Lewis, Carla Bley, Steve Swallow, Benny Carter e Clark Terry si sono succeduti nelle aule della prestigiosa università statunitense.

I musicisti in questione vengono nominati "artist in residence" per un semestre ed entrano a far parte del corpo accademico. La collaborazione viene sugellata nel mese di aprile da un "saggio di fine anno" nel quale l'orchestra di jazz dell'università tiene un concerto con l'organico impreziosito dal prestigioso ospite, le cui musiche ed arrangiamenti vengono suonate con un misto di entusiasmo giovanile e consumata professionalità.

Non si pensi, infatti, ad un concerto dilettantesco. Il luogo preposto a questo rito primaverile è il suggestivo Sanders Theatre, uno dei teatri più antichi degli Stati Uniti situato al centro del campus universitario di Cambridge (il teatro era originariamente utilizzato per lezioni universitarie e cerimonie di laurea), e i componenti dell'orchestra sono giovani musicisti di grandissimo livello. Sotto la direzione di Tom Everett, Joshua Redman, Anton Schwartz o Don Braden sono solo alcuni dei musicisti che, negli ultimi anni, hanno affinato la propria musica nelle file della Harvard Jazz Band.

Quest'anno l'invitato d'onore era Randy Weston, uno dei pochi personaggi, insieme Lionel Hampton, Sonny Rollins, Max Roach, Andrew Hill o Benny Carter, a rappresentare una testimonianza vivente degli anni leggendari del jazz.

Nato a Brooklyn il 6 aprile 1926, Weston si trovò immerso sin dall'inizio in un ambiente -sia familiare che sociale -profondamente musicale. Brooklyn in quegli anni era un vero e proprio villaggio musicale che Weston ha rievocato in "African Village/Bedford-Stuyvesant" inciso in due parti sull'album Spirits of Our Ancestors.

Randy Weston: La musica mi è stata intorno sin dall'inizio. L'intero quartiere, tutta la zona in cui vivevo, era completamente immersa nella musica. Non solo la mia famiglia, ma pure i vicini della porta accanto e quelli della porta dopo... Tra ragazzi ci si incontrava e si parlava di musica. Era una cosa naturale. Per questo non posso dirti quale sia il mio primo ricordo riguardante la musica. Sono stato circondato dalla musica sin dall'inizio.

Erano gli anni in cui il jazz cresceva e si trasformava e questa musica entrò rapidamente nel cuore di Randy Weston, che era interessato ad ogni forma musicale dal gospel al blues e alla musica caraibica.

RW: Credo che il primo disco che ho comprato in vita mia sia stato Body and Soul di Coleman Hawkins. Devo aver avuto più o meno 13 anni. Mi piaceva così tanto che alla fine ne devo aver comprato tre copie. Ovviamente ho amato tantissimi altri dischi ma quello è l'album per il quale ancora oggi provo un'affezione particolare.

Il jazz non poteva non avere un impatto così forte sul giovane Weston visti i personaggi che vivevano nel giro di pochi isolati dalla sua casa: Thelonious Monk, Max Roach, Eddie Heywood, Cecil Payne, Duke Jordan, senza dimenticare Wynton Kelly, suo cugino. L'influenza di Monk, comunque, fu la più importante.

RW: Monk riportò la magia nella musica. Direi che Ellington e Monk sono i miei musicisti preferiti. Erano capaci di catturare il vero suono del pianoforte. Monk, poi è stato un compositore eccezionale: i suoi brani, le sue armonie, il suo senso del ritmo, i suoi silenzi erano magnifici. Si può dire che Monk concepisse il pianoforte come una orchestra. Quando lui suonava uno poteva immaginare, sognare... era un grande narratore. Monk è stato un importantissimo innovatore, ma -allo stesso tempo -era possibile percepire la tradizione blues sulla quale si sviluppava la sua musica. Anche dal punto di vista umano era una persona completamente originale. Era chiaramente in anticipo sui tempi, ma questo accade a tutti i grandi artisti. Per lo meno, ha avuto la fortuna di vivere abbastanza a lungo per vedere come la sua musica sia stata apprezzata, seppur in ritardo. Molti artisti, purtroppo, non sono altrettanto fortunati. Senza volermi paragonare minimamente a Monk, quando negli anni '50 ho iniziato ad esplorare le radici africane del jazz la maggior parte delle gente non capiva che cosa stessi facendo. Trenta o quaranta anni più tardi, le cose sono cambiate. Thelonious Monk è stato un esempio per me.

Il legame con Monk, comunque, andava al di là del rapporto musicale. Il giovane Weston era ospite fisso a casa di Monk, dove veniva introdotto ai segreti del pianoforte da quello che, insieme a Bill Evans, è forse stato l'innovatore di questo strumento con il maggiore impatto sul jazz di oggi. In quelle lunghe ore Monk fu anche e soprattutto un maestro di valori e stile di vita oltre che di integrità artistica.

RW: Sono sempre stato colpito dal suo grande senso di dignità. C'è stato un periodo in cui per circa sei anni non ha avuto lavoro, ma ha continuato a suonare la sua musica. Lo stesso vale per Ellington. Non hanno mai fatto compromessi sulla loro musica. Hanno continuato a suonare quello che sentivano, fino alla loro morte. Anche quando non aveva soldi né lavoro, Monk non si lamentava mai, non ha mai chiesto l'elemosina a nessuno. Lo ammiravo veramente. Ogni volta che ero a casa sua il suo comportamento era sempre molto dignitoso, vestiva sempre in maniera elegante, immacolata direi. I musicisti di quel periodo non erano spirituali solo nella loro musica, ma anche nel modo in cui si comportavano ed apparivano. I musicisti di quei giorni, inoltre, erano molto aperti. Monk ti insegnava tutto quello che sapeva. Potevo andare a casa sua in ogni momento e la sua porta era aperta. Lo stesso valeva per Max Roach. Amavano essere circondati da chi era più giovane di loro. Questo è quello che per me significa spiritualità.

Sul finire degli anni '60, con la montante moda degli strumenti elettrificati e la conseguente difficoltà di sopravvivere continuando a suonare jazz acustico tradizionale, Weston decise di trasferirsi in Africa, che aveva già avuto modo di visitare nel 1961 in un tour finanziato dal dipartimento di stato americano. Uno degli aspetti principali di questa parentesi di circa sei anni, è stata proprio la riscoperta del lato più spirituale della musica, che si riflette nel suo ruolo sociale e nel forte legame con la natura, sempre meno presente secondo il pianista di Brooklyn nella musica di oggi.

RW: Oggi manca la spiritualità della musica, qualcosa che non ti possono insegnare nei conservatori dove tutto quello che puoi apprendere sono solo le note, le scale, gli stili e le tecniche. Quando io ero ragazzo, invece, la musica rappresentava un'esperienza spirituale. Ovviamente, i grandi maestri del passato non sono più con noi, ma abbiamo le registrazioni dei loro lavori e questo è il motivo per il quale io incoraggio sempre i più giovani a studiare quella musica. È importante scoprire i collegamenti tra il presente ed il passato. Se i giovani ci riusciranno avranno un senso della direzione migliore, non dimenticheranno le emozioni, l'amore, la famiglia e la gente in generale.

In Africa quando dici che la tua professione è quella di musicista la gente resta sorpresa. La musica è così cruciale per ogni aspetto della vita di tutti i giorni che ogni persona, nelle società tradizionali africane, è musicista. Inoltre in Africa uno può riscoprire il valore della improvvisazione; è più evidente come la musica sia la voce di Madre Natura. E Madre Natura improvvisa di continuo. Oggi è diverso da ieri e domani non sarà come oggi. Gli africani sanno bene tutto ciò, bisogna sempre essere in sintonia con madre natura.

Da diversi anni Weston sta dedicando le sue esplorazioni musicali proprio alla musica dei grandi jazzisti del passato (da segnalare in particolare la trilogia Portrait of Duke Ellington, Portrait of Monk e The Spirit of Our Ancestors pubblicata dalla Verve tra il 1989 e il 1991). Questa sua riscoperta del passato rappresenta, allo stesso tempo, il suo personale omaggio ai maestri che lo hanno segnato e il suo modo di concepire la missione di artista.

RW: In Africa i musicisti sono anche storici: attraverso la musica che suonano raccontano la storia della loro gente. Allo stesso modo io cerco di non essere solo un musicista. Voglio celebrare i nostri antenati, che troppo spesso sono dimenticati dalla gente di oggi che è troppo concentrata sul presente e sul futuro. Cerco di fare esattamente quello che Ellington faceva negli anni '20: raccontare della nostra gente attraverso la nostra musica. Voglio che la gente —quando ascolta quello che suono —pensi a Duke Ellington, Monk, Dizzy Gillespie, Count Basie. Mi piace pensare che se fossero vivi per ascoltare la mia musica ne sarebbero orgogliosi. Questo è quello che voglio comunicare perché sono sempre stato un appassionato di musica anche prima di diventare musicista. Ho sempre combattuto per la musica, mi sono sempre amareggiato quando vedevo in quali condizioni i musicisti erano spesso costretti a vivere. La musica è il mio lavoro ed è un dono che mi è stato dato da dio. Forse qualcuno penserà che questa musica è vecchia, ma dobbiamo conservare il massimo rispetto per chi è venuto prima di noi: sono loro che hanno avuto il coraggio, la perseveranza ed il genio per creare questa musica incredibile.

Parlando con Randy Weston non si può evitare l'impressione che la mancanza di spiritualità di cui parla deriva forse dall'attenzione quasi esclusiva dedicata dal sistema educativo musicale verso la tecnica piuttosto...

RW: È proprio questa la ragione per la quale è molto importante portare nelle scuole artisti e musicisti; questo è il motivo per cui è fondamentale insegnare la storia di questa musica nelle classi. Oggi possiamo beneficiare dei grandi progressi della scienza: possiamo acquistare CD con la musica degli anni '20 e '30 e possiamo studiarla in maniera seria, come le altre forme d'arte. Tuttavia non dobbiamo limitarci a studiare note, accordi e stili musicali; è necessario analizzare in che modo vivevano i musicisti afroamericani in quei giorni: la segregazione, il razzismo che li circondava. Dobbiamo capire come questa musica fosse per loro un mezzo di sopravvivenza. Non era solo musica, era cultura. Oggi la gente sembra averlo dimenticato. Molti affermano di amare il jazz ma non ne conoscono la storia. Dobbiamo ricordare, invece, che questa storia è stata modellata dalle battaglie e dalle sofferenze della gente, è il risultato di sacrifici tremendi ma anche di una grandissima dignità e dell'orgoglio di persone che componevano capolavori come quelli che conosciamo e —tuttavia —non potevano dormire negli alberghi, non potevano salire sui treni...

Nonostante il jazz sia nato e si sia sviluppato negli Stati Uniti, paradossalmente molti jazzisti americani si sono dovuti trasferire in Europa o Giappone per poter sopravvivere o semplicemente per ottenere un contratto discografico. Negli scorsi decenni molti fra i musicisti che stavano scrivendo le pagine della storia del jazz sono stati accolti in Europa come veri e propri messia: si possono ricordare a titolo di esempio Bud Powell, Dexter Gordon, Ben Webster, Chet Baker. In effetti è una cosa che lascia molto perplessi che gli Stati Uniti non abbiano dato maggiori riconoscimenti ai rappresentanti di quello che rappresenta uno dei pochi contributi originali che quel paese ha dato al mondo dell'arte.

RW: Il fatto è che il jazz deriva dalla cultura africana. I nostri antenati arrivarono qui in schiavitù. Per molti è ancora difficile accettare che i discendenti di quegli schiavi oggi creino musica. Questo sentimento è ancora così forte perché noi neri siamo una percentuale molto piccola della popolazione totale, ma questa musica è così forte, così potente e vera, che risulta ancora più duro ammettere che sia stata creata da quella stessa gente che era stata portata qui in catene. È questa la ragione, non ci sono dubbi al proposito. Non solo noi, anche maestri come Duke Ellington sono dovuti andare in Europa per essere accettati... lo stesso dovettero fare Coleman Hawkins o Billie Holiday... La tradizione della nostra musica dimostra come essa sia stata accettata all'estero in maniera migliore che negli Stati Uniti.

Certo oggi la condizione dei jazzisti di colore è migliorata. La segregazione, almeno dal punto di vista legale, è stata abolita e la vita generalmente è più facile. Secondo Weston, tuttavia, il jazz non ha ancora ricevuto il dovuto riconoscimento nel paese nel quale è nato.

RW: La situazione non è cambiata un gran che né nei media né nelle scuole. Potremo ritenere che le cose saranno cambiate, quando vedremo i grandi jazzisti trasmessi alle otto di sera del sabato dai principali canali televisivi, quando vedremo l'insegnamento del jazz nelle scuole, quando Hollywood dedicherà film alla vita dei grandi maestri del jazz. Finché tutto ciò non si verificherà non credo che potremo parlare di veri cambiamenti. Viviamo in una società tecnologica nella quale la gente viene influenzata da quello che vede, e purtroppo non si vede molto jazz alla televisione (o lo si vede molto tardi, su canali di secondaria importanza); lo stesso vale per il mondo della scuola. Sono sicuro che prima o poi tutto questo cambierà. Sono convinto che non sia possibile nascondere per sempre qualcosa di così bello come la musica. Del resto, ci sono così tanti grandi musicisti afroamericani. Non possono aprire i media a noi altrimenti finiremmo per dominarli. Pensa solo a Ellington, Monk, Basie, Nat King Cole...

Tuttavia, se uno guarda al passato di questa musica, si rende conto di come alle origini fosse una musica estremamente popolare, era la musica che la gente amava ballare. Weston, nella sua lunga carriera, è stato testimone diretto di questi alti e bassi di popolarità.

RW: Poco dopo l'inizio della seconda guerra mondiale il governo applicò una tassa del 20% sui locali da ballo nel quadro di misure fiscali adottate per sostenere lo sforzo bellico. Molti locali furono costretti a chiudere i battenti e la musica jazz si trasformò da musica da ballo in musica da ascolto. Da ragazzi suonavamo spesso nei locali da ballo; agli afroamericani, come del resto a tutti, piace moltissimo ballare. Ovviamente si trattava di una forma espressiva completamente diversa da quella di un concerto. Dovevi saper esprimere delle emozioni attraverso il tuo strumento —questa è una cosa che si è quasi del tutto perduta al giorno d'oggi: oggi i musicisti sono interessati più alla tecnica che ad altro ... chi sa suonare più velocemente e cose del genere. In passato, invece, dovevi saper comunicare emozioni, dovevi suonare per una donna ed essere capace di farla emozionare. Nella musica di tutti i nostri predecessori, Ellington, Armstrong, Webster, c'era una grande componente di romanticismo che oggi, invece, è andata quasi del tutto perduta.

Spinto dal padre a scoprire e valorizzare le proprie origini, e sviluppando una delle principali lezioni di Duke Ellington (si pensi, giusto per fare un esempio, a brani come "Springtime in Africa," "Petite Fleur Africaine" o "Caravan") Weston è stato un pioniere della fusione tra jazz e musica africana. Il suo Uhuru Africa pubblicato nel 1960, molti anni prima che la world music diventasse di moda, è solo il più famoso, dei suoi esperimenti di fusione musicale. La discografia di Weston, difatti, è ricca di incisioni che mettono in evidenza ritmi e influenze africane. Nel 1957 Weston aveva già pubblicato Bantu per la Roulette seguito l'anno dopo da Little Niles per l'etichetta United Artists; da segnalare anche African Cookbook recentemente ristampato dalla Koch Jazz e —nella discografia degli ultimi anni —due dischi della Verve, Splendid Master Gnawa Musicians of Morocco e Marrakech in the Cool of the Evening, dedicati al Marocco dove Weston ha trascorso diversi anni della sua vita. L'Africa, in effetti, aveva rappresentato per molti anni una fonte di interesse per Weston ed era quindi inevitabile che si recasse in Africa. L'attrazione per l'Africa tuttavia non era esclusivamente musicale.

RW: La prima volta che ho ascoltato musica africana è stato mentre ero ancora negli Stati Uniti grazie ad un grande percussionista della Guinea. Sono andato in Africa perché mi affascinava moltissimo, ma non c'era una particolare ragione musicale che mi spingesse.

Per ogni musicista, comunque, le esperienze di vita si intrecciano inevitabilmente con quelle musicali. Weston, inoltre, durante la sua permanenza in Marocco gestì un bar nel quale si suonava ogni notte dal vivo e quindi le occasioni di mettere a confronto le musiche locali e le radici jazz si sprecavano. I successi di Weston, già molto affermato, si allargarono all'Africa.

RW: Direi che l'accoglienza era piuttosto positiva. Avevo già composto "Uhuru Africa" e stavo già usando ritmi come il 6/8, sai, ritmi tipicamente africani. Sono sempre stato molto attratto dalle percussioni ed in particolare dalle conga. A volte uso il piano come uno strumento percussivo. Ricordo ancora la prima volta che suonai in Nigeria. Ebbi una accoglienza trionfale, fu una esperienza bellissima.

La popolarità di Weston si estende ben al di là dei confini nordamericani, africani o europei. L'opportunità di poter suonare continuamente in giro per il mondo permette ai musicisti che hanno questo privilegio di apprezzare in maniera più completa l'universalità del linguaggio musicale.

RW: La musica è il primo linguaggio che l'uomo impara. Molte persone non se ne rendono conto. La musica è un linguaggio universale, un linguaggio che tutti noi possiamo capire. Se uno parla in inglese, spagnolo o italiano può comunicare solo con le persone che conoscono quelle lingue. Per la verità, certe volte, si ha difficoltà a capire persino le persone che parlano la nostra stessa lingua: capisci cosa dicono ma non quello che intendono. Con la musica, invece, puoi andare ovunque nel mondo e riuscire a comunicare. È per questa ragione che la musica costituisce una forma d'arte sacra. La musica è la regina di tutte le forme d'arte. È proprio in questo modo che io concepisco la musica. Dico sempre alla gente: "Questo è un linguaggio." Anzi è il linguaggio più importante. La musica ha il potere di guarire, di pacificare. Ho viaggiato in Africa, in Europa, in Medio Oriente, in Sud America, in Asia... in tantissimi luoghi... e la musica è il linguaggio attraverso il quale la gente mi conosce e, grazie ad essa, ho fatto tante amicizie, in ogni angolo del mondo."

Durante la sua permanenza accademica ad Harvard, Randy Weston ha voluto concentrare l'attenzione sugli arrangiamenti delle sue musiche preparate dalla compagna Melba Liston. Una delle pochissime donne ad essersi imposta in quegli anni nel mondo del jazz non come cantante ma come strumentista, suonando uno strumento ancora oggi molto popolare tra le musiciste, il trombone. Unica donna ad aver suonato nei gruppi di Gerald Wilson, Dizzy Gillespie e Quincy Jones spesso e volentieri agiva anche da arrangiatrice per i gruppi nei quali suonava. Probabilmente perché amareggiata dalle delusioni inflittele da un mondo musicale che ha colpevolmente sottovalutato le sue grandi doti musicali, la Liston decise di dedicarsi al cinema (la si può notare nel polpettone hollywoodiano "I dieci comandamenti"). Poco dopo, tuttavia, l'amore per la musica ebbe il sopravvento e la Liston tornò al jazz unendosi al gruppo di Dizzy Gillespie. Fu proprio in seno a questo gruppo che Randy Weston la incontrò per la prima volta al leggendario Birdland. Il gruppo di Gillespie proprio quella sera stava eseguendo un arrangiamento della Liston di un brano di Randy Weston. L'incontro non poteva accadere in una circostanza migliore.

RW: Grazie a Melba Liston sono stato capace di dare il meglio di me stesso dal punto di vista musicale. Fra di noi c'era una intesa magica. È difficile spiegare come e perché, ma era così. Forse perché era una donna e quindi aveva una sensibilità più spiccata, poteva scrivere un arrangiamento oppure comporre un pezzo per me... e quando lo suonavi sembrava che l'avessi scritto io...

Melba Liston ha composto gli arrangiamenti per il concerto di Randy Weston con la Harvard Jazz Band con l'ausilio di un computer dal letto sul quale ha trascorso l'ultima parte della sua vita a causa di un grave incidente che l'ha immobilizzata. Uno dei momenti più toccanti del concerto è stato proprio quello nel quale il gruppo ha interrotto il concerto per salutare la Liston attraverso le telecamere che stavano riprendendo l'evento. La Liston sarebbe morta poche settimane più tardi.

Il concerto ha avuto una grande riuscita. La Harvard Jazz Band ha suonato in maniera fresca e convincente mettendo in risalto alcuni promettenti musicisti come la pianista Annie Durston (esibitasi in un accattivante assolo-sfida con il maestro Weston) e Elizabeth Dotson-Westphalen, una trombonista che rendeva l'omaggio a Melba Liston ancora più riuscito. Weston ed i due componenti del suo trio, l'ottimo sassofonista Talib Kibwe ed il percussionista Neil Clarke, si sono uniti alla giovane orchestra con l'entusiasmo e la simpatia dei fratelli maggiori. Era impossibile, tuttavia, non riflettere sul fatto che la musica di Randy Weston fosse interpretata da una orchestra con un solo musicista di colore in un teatro che conserva intatte vestigia del passato coloniale e segregazionista... ma forse la grandezza di Randy Weston sta proprio nella sua capacità di far comunicare mondi e culture diversi, al di là di ogni differenza di colore, razza o cultura.

Foto: Roberto Cifarelli

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