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Ralph Towner: un americano a Roma

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Ralph Towner rappresenta sicuramente una figura atipica nel vasto mondo della chitarra jazz. In primo luogo per gli strumenti usati: la chitarra classica, che negli anni '60 in ambito jazzistico era utilizzata solamente da musicisti legati alla musica brasiliana come Charlie Byrd, Laurindo Almeida e Bola Sete, e la chitarra 12-corde, che proveniva dal mondo folk ed era praticamente sconosciuta al jazz. Towner ha quindi sviluppato una propria tecnica strumentale senza potersi rifare a nessun altro chitarrista, ma sintetizzando in autonomia le proprie varie esperienze musicali (pianista autodidatta e diplomato in tromba e composizione, ha scoperto la chitarra solo a 22 anni).

Membro fondatore nei primi anni '70 degli Oregon, gruppo artefice di un'ardita e innovativa sintesi tra jazz, classica, folk e world music, il chitarrista è uno dei nomi di spicco della ECM, con la quale ha inciso la quasi totalità della sua produzione solistica già a partire dal 1972, e che ha appena pubblicato il suo ultimo album per sola chitarra, My Foolish Heart.

Abbiamo incontrato il chitarrista nella sua casa romana, per una chiacchierata in generale sulla sua carriera e il suo particolare approccio alla musica e allo strumento.

All About Jazz: Partiamo con alcune informazioni sulla tua biografia e la tua educazione musicale. È stata la tromba il primo strumento su cui hai ricevuto un'istruzione formale?

Ralph Towner: Sì, avevo 6 anni quando ho cominciato con la tromba. Suonavo già il piano, mia madre era maestra di piano, io ero un bambino testardo e mi rifiutavo di prendere lezioni da lei, ascoltavo dal fondo della stanza le lezioni di piano che dava. Ho sempre avuto questo particolare dono, comporre e improvvisare è qualcosa che ho sempre fatto in modo naturale fin dall'inizio. Ho veramente cominciato a evolvermi quando ho iniziato a imitare i dischi e altri pianisti, ma non mi sono dedicato seriamente a suonare il piano fino a più tardi.

Suonavo jazz sulla tromba, sono nato nel 1940 e avevo due fratelli molto più vecchi di me che hanno partecipato alla seconda guerra mondiale, e hanno collezionato un sacco di dischi di musica per swing band, qualcosa di Duke Ellington, tutto Benny Goodman e anche dischi del Nat King Cole, così ho imparato tutti quegli standard, anche suonando sui libri per la tromba, e mia madre mi accompagnava al piano.

Ho cominciato a suonare in gruppi di Dixieland e musica da ballo quando ero giovanissimo. Mio cognato suonava il contrabbasso in un gruppo di musica da ballo e mi aveva permesso di suonare in un club, credo fosse il bar di un albergo, quando avevo 12 anni, e mi portava fuori negli intervalli perché era illegale per me stare al bar! [Ride] Non ero veramente interessato a diventare un pianista finché non sentii Bill Evans con Scott LaFaro. Ho ascoltato tanti altri pianisti e li sapevo imitare un po' ma il piano mi serviva per la composizione classica. Sono andato all'università [dove ha conosciuto e fatto amicizia con il contrabbassista Glen Moore, suo futuro compagno negli Oregon -N.d.R.] e mi sono diplomato in composizione.

AAJ: Quando hai cominciato a interessarti alla chitarra?

RT: Non avevo ancora sentito la chitarra classica fino all'ultimo anno dei miei studi, quando ascoltai uno studente che la suonava. Ne rimasi affascinato, e in qualche modo riuscii a comprarne una quasi per niente, ricordo che costò qualcosa come 100 dollari. Ho cominciato da autodidatta, e capii che così non sarei andato molto lontano per suonarla al livello a cui doveva essere suonata, allora mi informai e mi dissero che c'era un ottimo professore che insegnava all'Accademia di Musica a Vienna. In qualche modo riuscii a racimolare abbastanza denaro lavorando l'estate e risparmiando per poter andare in Europa ed essere ammesso all'Accademia anche se sapevo solo due brani classici, ma ero un musicista e questo era evidente per il comitato di ammissione, così fui ammesso a questa famosa Accademia di Musica.

Il professore era Karl Scheit, un insegnante molto bravo, non parlava inglese così imparai la chitarra in tedesco. Il suo modo di insegnare seguiva una procedura per gradi, la sua intenzione era di far suonare la chitarra sfruttando il suo pieno potenziale. Vivevo in una camera singola che ero riuscito a trovare, affittata a 12 dollari al mese, non mangiavo quasi niente e mi esercitavo 9-10 ore al giorno, 7 giorni a settimana, per un anno. Alla fine dell'anno sapevo suonare concerti classici. In seguito tornai a Vienna per un secondo anno, ma nel periodo intermedio feci ulteriori studi sulla chitarra, ascoltai la musica brasiliana e cominciai a suonare cose brasiliane, alla Baden Powell. Poi ritornai a studiare il piano, il primo anno a Vienna non toccai il pianoforte, neanche ci andai vicino, ero completamente concentrato sulla chitarra.

AAJ: Hai avuto altri contatti con il tuo maestro di chitarra classica, Karl Scheit, prima della sua scomparsa nel 1993? Sai che opinione aveva della tua carriera?

RT: Circa nove anni dopo che avevo finito i miei studi con lui ritornai a Vienna per suonare col mio gruppo Oregon in una bella sala da concerto (a cui non avevo mai avuto accesso durante i miei anni da studente). Karl Scheit era tra il pubblico, e era completamente emozionato dal concerto. Si precipitò sul palco alla fine del concerto, mi afferrò per un braccio e mi condusse direttamente al suo ristorante preferito (fino ad allora riservato solamente a Julian Bream e altri famosi chitarristi classici suoi ospiti). Elogiò la musica e la bellezza delle improvvisazioni con le tabla, che aveva sempre avuto voglia di fare. Venne a molti dei miei concerti in solo negli anni seguenti, e questo fu il finale hollywoodiano che ogni studente sogna, riguardo il vedere il proprio grande professore in circostanze così perfette.

AAJ: Così è stata la chitarra classica che ti ha attratto fin dall'inizio?

RT: Sì, soltanto la classica, suonare musica classica e la tecnica classica, che dava più suono, colore e pronuncia distinta di quanto fosse richiesto allora per suonare musica brasiliana o jazz. Quando studiavo la chitarra classica suonavo soltanto musica classica, e cercavo di stare lontano dall'improvvisazione. Il primo anno che tornai negli USA cominciai a lavorare suonando nei locali come pianista jazz, metà set era piano jazz e l'altra metà era musica brasiliana, bossanova, e talvolta suonavo un pezzo classico. Ma dopo quella interruzione degli studi a Vienna successe che suonando bossanova la mia tecnica diventò sempre peggio, il suono scompariva e sapevo che c'era qualcosa di sbagliato. Avevo raggiunto un livello così alto suonando la chitarra quel primo anno, e lo sentivo svanire lentamente. Suonare solo musica brasiliana non era così impegnativo, non serviva una grande articolazione. Nel modo di suonare la chitarra per la bossanova mancavano molte sottigliezze; molte delle cose ritmiche erano eccitanti, gli accordi erano tutti prestati dal jazz e l'armonia era collegata al jazz, ed è questo che mi aveva attratto, ma mi resi conto che dopo due anni in cui avevo avuto successo suonando metà piano e metà bossanova avevo perso la mia abilità sulla chitarra, e capii che avrei fatto meglio a tornare indietro.

Così tornai a Vienna, e alla fine del secondo anno di studio la mia attenzione al dettaglio sulla chitarra si era veramente evoluta, migliorando immensamente. Cominciai a scrivere musica che suonasse bene su una chitarra classica, ma che includesse anche tutti i colori e la dinamica e l'espressione che si sente in ogni tipo di musica classica, trattandola più come un'orchestra e usando tutte quelle possibilità di articolazione, attacco e diversi colori tonali, includendole nella mia improvvisazione.

AAJ: All'epoca non c'erano molti chitarristi jazz che usavano la chitarra classica, forse Charlie Byrd...

RT: Non ce n'erano affatto, Charlie Byrd è venuto fuori un po' ma diciamo che non aveva un gran talento, allora era l'unico che suonava qualcosa che assomigliava alla musica brasiliana, e per lui andava bene suonare quella musica e inciderla per farla sentire agli americani. La gente credeva che fosse veramente qualcuno, ma in realtà non era molto abile, sebbene avesse avuto l'idea giusta suonando quel tipo di musica che lo attirava. Comunque, quando tornai negli USA cominciai a lavorare più sul piano e riuscii a trovare ingaggi come pianista.

È così che continuo a migliorare, in tutta la mia vita ho sempre fatto le cose a blocchi, strumenti, tipi di musica. Ho passato molto tempo a imparare ciascuno strumento, e quando fui veramente vicino a un prodotto finito ero pronto per trasferirmi a New York nel 1968. È stata veramente la combinazione di tante esperienze, l'esperienza diretta di questo tipo di musica, la musica classica moderna, la musica per chitarra classica, e la musica brasiliana, sono rimasto coinvolto da quel suono meraviglioso e le sue grandi canzoni, Jobim e gente come lui. E poi Bill Evans è stata la più grande influenza su come mettere insieme armonia e condotta delle voci. Armonicamente per me lui era tutto, ma anche il modo in cui lui Paul Motian e Scott LaFaro suonavano insieme, il posizionamento e il modo in cui si rispondevano l'un l'altro.

AAJ: Per la musica brasiliana, la tua maggiore influenza è stato Baden Powell?

RT: In parte, ma non così tanto. Joao Gilberto era più interessante per me, il modo in cui accompagnava, anche se fondamentalmente era un accompagnamento di tipo standard. Ho fatto un mini-tour con Astrud Gilberto... era il 1970, credo che George Mraz fosse il bassista e Airto Moreira il batterista. Abbiamo fatto un paio di concerti, non molti, ma ho suonato con molti brasiliani a New York. Devo dire che una gran parte del mio modo di suonare deriva da loro, non credo che si noti molto, ma è una grossa parte delle mie influenze musicali, soprattutto la scrittura di Jobim mi ha influenzato veramente molto.

AAJ: Allora suonavi in qualche gruppo? Come era la scena musicale?

RT: No, fondamentalmente ero solo un pianista freelance a New York, e suonavo la chitarra con qualche brasiliano quando arrivai a New York, uno era Airto Moreira. Avevo un buon successo come pianista, ho suonato con Freddie Hubbard e anche con Stan Getz. Ero a un buon livello, non c'erano molti bravi pianisti a New York a quel tempo così io avevo una valutazione molto alta. Da allora il livello tecnico dei pianisti ha superato il mio di molto, ma io comprendevo il jazz e sapevo come suonarlo.

Ad ogni modo era un grande ambiente, c'era tanta musica a New York. Credo che un motivo fosse che all'epoca vivere a Manhattan non costava molto. Abitavo nel West Village, per 120 dollari al mese e mi bastava suonare a qualche matrimonio per pagare l'affitto... eri libero di trovarti con gli altri musicisti tutti i pomeriggi, le sere... una volta nel mezzo della sera suona il telefono e questo tipo che gestiva un club jazz in un loft dice "Ralph vieni qua, devi suonare perché c'è qui Sonny Rollins e non ha nessuno con cui suonare," così ho passato tutta la notte a suonare duetti con Rollins!

New York era fantastica, era il calderone da cui sono usciti tutti questi gruppi. , La musica stava cambiando. Facevamo nastri demo con altra gente, c'era metà della Mahavishnu Orchestra a quel tempo, eravamo tutti collegati. Passavamo tutto il tempo a provare combinazioni di gruppi e persone, suonavamo tutti insieme, componevamo e lavoravamo sui brani. Erano jam session ma non c'erano più gli standard, si provavano i nuovi pezzi di tutti, eravamo tutti molto costruttivi e cooperativi. Dovevi saper suonare bene e conoscere il jazz per essere coinvolto con questi musicisti. Io ho vissuto a New York dal 1968 al 1982, è stata la mia vera casa, in qualche modo le appartengo. I primi anni '70 sono stati una grande epoca, una fonte di creatività tale che un gruppo con una grande base jazz come i Weather Report hanno perfino considerato di fare un pezzo con un chitarrista 12 corde... questo era il tipo di relazioni che intercorreva.

Mi ricordo che nel 1968 andai a casa di Wayne Shorter, e per tutto il pomeriggio ascoltammo musica sua e mia. Questo era prima che si formassero i Weather Report, credo che lui stesse formulando l'idea per un gruppo. La chiamata per questa idea di registrare con loro mi arrivò molto più tardi, nel 1972, ma è tutto un prodotto di New York. Anche Jaco Pastorius era a New York, venne al mio appartamento la prima settimana che stava lì. Bussò alla mia porta nel e si presentò dicendo "Mi chiamo Jaco Pastorius e sono il più grande bassista del mondo, e ho scritto questo pezzo per te," e marcia dritto dentro con questo pezzo impossibile da suonare, tutti armonici... aveva anche registrato un LP, "Devi sentire questo" e sbatte il disco sul mio giradischi e comincia a suonarlo... non so quanto a lungo è rimasto ma abbiamo ascoltato quella roba, lui era incredibile, poi se ne è andato e ha fatto la stessa cosa con molti altri musicisti. Credo abbia anche suonato per il Consiglio di Amministrazione della Columbia Records, andò dritto al consiglio con il suo basso e suonò per il presidente della Columbia, la stessa cosa "Sono il più grande bassista del mondo," era un vero personaggio...

AAJ: Come sono nati gli Oregon?

RT: Nel frattempo ero stato assunto da Paul Winter per il suo Consort, mi disse che gli servivano un bassista e un percussionista, e gli dissi "Ho io quelli perfetti," perché Glen [Moore] aveva incontrato Collin Walcott in alcune jam session a New York e ci eravamo riuniti per suonare con questo cantautore che si chiamava Tim Hardin. Pensavo che sarebbe stato per un festival folk... ma era per il festival di Woodstock... ci hanno dovuto portare in volo con l'elicottero, molto strano per un piccolo festival folk! Quando siamo arrivati sopra il posto e abbiamo guardato giù abbiamo visto quasi mezzo milione di persone, è stato uno shock.

In effetti, la cosa più importante di quel festival non è stata affatto la musica, ma il fatto che sia potuto succedere, la sensazione era di ottimismo e buona volontà e naturalmente del tutto spontanea, non sapevano che sarebbe stato così, e non è stato più possibile ripeterlo visto che la spontaneità non si può ricreare a comando. Tutto quello che è venuto dopo è diventato una macchina per fare soldi, senza la stessa magia. Non credo di aver mai più suonato per un pubblico così grande!

Tornando a Paul Winter, io, Collin e Glen diventammo membri del Paul Winter Consort con cui rimasi per circa un anno e mezzo. Quel gruppo aveva una strumentazione molto interessante con l'oboe [suonato da Paul McCandless, N.d.R.], ero veramente molto stimolato a scrivere musica originale per quel particolare gruppo. Prima che arrivassi io non suonavano molta musica originale, ho portato io molta musica. Noi quattro, con Paul McCandless, ci siamo trovati molto d'accordo, abbiamo legato subito, abbiamo fatto molti concerti con Paul Winter, e grazie a lui eravamo già un "gruppo dentro il gruppo." Ne siamo usciti con una grande esperienza e molta musica scritta. Eravamo pronti per andare sulla nostra strada.

AAJ: Come è nato il vostro primo album con il Consort, Road, registrato live?

RT: Abbiamo viaggiato per 7 settimane per tutti gli Stati Uniti, e alla fine arrivammo a Los Angeles, dove abbiamo allestito un palco solo per suonare per il produttore Phil Ramone e fargli sentire il repertorio. Lui era d'accordo a registrare un disco, era più orientato al pop, ma era famoso per la sua qualità del suono. Non sapeva chi aveva scritto i brani, abbiamo cominciato a suonare molti pezzi di Paul Winter (non proprio scritti, ma più che altro suggeriti), e tutti i pezzi miei che eseguivamo in concerto, e Phil Ramone scelse solo i miei! [Ride] E anche alcuni arrangiamenti che aveva fatto Paul Winter... Credo che avesse registrato alcuni concerti dal vivo, ma solo un brano fu fatto in studio, ed era "Icarus," perché Phil Ramone disse che sarebbe stato il brano principale, quello di successo, e voleva che fosse perfetto. L'abbiamo inciso a New York City quando siamo tornati a casa e lo facemmo in una sola ripresa. Paul Winter non ci poteva credere, non gli era mai capitato in vita sua! (ride). Fummo molto orgogliosi di quel disco, Road, credo che quella prima versione di "Icarus" sia la migliore.

AAJ: Avete avuto problemi allora a trovare un contratto discografico?

RT: In quel periodo a New York stava succedendo di tutto, la Mahavishnu Orchestra stava cominciando, i Weather Report, e un sacco di musica che era veramente differente, e anche la ECM era all'inizio. Incontrai Manfred Eicher a New York attorno al 1970, stavo suonando il piano e un po' di chitarra con Dave Holland a un suo concerto. Lui mi presentò a Manfred che aveva questa piccola etichetta. Ma i primi ad interessarsi a noi furono quelli della Vanguard Records, che erano venuti a sentirci al "Free Music Store" una serie di concerti gratuiti organizzati dalla radio WBAI di New York che si tenevano in una vecchia chiesa nel weekend. Cominciavamo a mezzanotte e suonavamo senza fermarci fino alle 6 di mattina, ma facevamo a turno, talvolta due suonavano e gli altri due andavano a prendere caffè e ciambelle o altro, senza interrompere la musica, e ci creammo un bel seguito nel circuito underground. Così cominciammo con la Vanguard. Credo che anche Manfred Eicher fosse interessato al gruppo, ma all'epoca aveva pubblicato solo pochi dischi. Avremmo potuto partire con Manfred a quel punto ma l'attrattiva di una grossa compagnia americana sembrava in qualche modo più appropriata... Finimmo per firmare un contratto per 9 dischi che abbiamo impiegato molto tempo a soddisfare. Quando finalmente terminammo quel contratto la Elektra ci fece un'offerta straordinaria, e quello fu l'apice della nostra popolarità. Con loro abbiamo pubblicato Out of the Woods, probabilmente il disco degli Oregon più popolare di sempre.

AAJ: Parlaci del tuo lavoro per la ECM di Manfred Eicher

RT: Essere uno dei primi a registrare per quella etichetta fin dall'inizio è stata la cosa più importante per me. Quei primi anni hanno prodotto molte registrazioni classiche di jazz, per la prima volta lavori in solo di Chick Corea e Keith Jarrett. Questi grandi pianisti incidevano soltanto quando suonavano in quartetto, e forse in trio, ma per suonare in solo Manfred Eicher aveva un grande occhio e orecchio per il particolare tipo di musicisti che voleva. L'intero approccio per la ECM fin dall'inizio era di avere la qualità di una etichetta classica come la Deutsche Grammophon, il miglior vinile possibile per gli LP e mantenere bassi i costi di registrazione. Tutte le registrazioni erano fatte in 2 giorni o meno e mixate il terzo giorno. Questo teneva bassi i costi di studio e quindi i soldi per produrre un disco, ma i soldi erano spesi anche per essere sicuri che lo studio di registrazione avesse pianoforti Steinway e sempre perfettamente accordati con un accordatore sempre presente. Nei dischi di Bill Evans il piano a volte non era accordato, e Bud Powell ha incisco con pianoforti orrendi, tutti questi grandi improvvisatori jazz suonano su pianoforti molto scarsi la maggior parte del tempo. Con la ECM mantenendo bassi questi costi, anche gli anticipi erano molto bassi per tutti, incluso Keith, il denaro veniva reindirizzato verso in qualità e i musicisti conservavano i diritti di pubblicazione, non li teneva la casa discografica. Per i primi 10 anni all'incirca hanno anche organizzato i tour senza prendere onorario. Il risultato sono stati questi grandi dischi che si ripagavano da soli in poche settimane, e nessuno aveva mai udito musicisti di jazz registrati con quel livello altissimo di qualità, tutto merito della visione di Manfred. Un'altra cosa importante è che ogni disco che ho fatto in tutta la mia carriera è ancora disponibile, è una compagnia che non mette i dischi fuori catalogo, come è successo a così tanti grandi musicisti.

AAJ: Tuttavia c'è voluto un po' di tempo per avere Five Years Later in digitale [disco del 1982 in coppia con John Abercrombie, pubblicato su CD solo nel 2014, N.d.R.]...

RT: Quello è stato l'unico caso, non so perché, cosa sia successo con quello, John e io non l'abbiamo mai capito, ma finalmente c'è, e credo lo abbiano ristampato anche in vinile. In generale tutto quello che ho registrato per l'etichetta è disponibile, il lavoro della tua vita è ancora lì per essere acquistato o ascoltato. Nessun altra casa discografica ha mai funzionato a quel modo, è molto idealistico e ancora continua così.

AAJ: Le tue collaborazioni con altri artisti ECM erano una scelta di Manfred?

RT: No, erano una mia idea, sceglievo io i musicisti. Il gruppo Solstice [con Jan Garbarek, Eberhard Weber e Jon Christensen, N.d.R.] è stata una mia idea, avevo sentito i loro dischi e pensato "Wow, questo sarebbe un bel gruppo da mettere insieme," così scrissi musica specifica per loro. Ogni volta che faccio un disco cerco di scrivere musica che suoni bene per quello specifico gruppo. Così chiedo a Manfred se gli piace, lui dice 'OK' e anche lui ha delle idee riguardo alcune combinazioni, ma fondamentalmente tutte quelle combinazioni erano una mia idea.

Dis, il disco in duo con Jan Garbarek, è stata invece un'idea di Jan, o forse di Jan e Manfred insieme. Erano tutte sue composizioni, e io ho dovuto impararle e trovare accordature e cose che funzionassero perché suonavamo con un'arpa a vento. Avevano registrato questa arpa eolia posta su una scogliera sopra il mare norvegese, e il vento le soffiava attraverso, c'erano un sacco di corde tutte intonate su questo accordo meraviglioso, e il vento soffiava a raffiche, cambiando le ottave... Jan aveva registrato molti brani differenti e me li mandò con le sue melodie, io dovevo trovare un modo per far sì che la 12-corde si mescolasse con l'arpa eolia, è stato un bel lavoro...

AAJ: Quando hai registrato Batik nel 1978 ti sei affidato alla stessa ritmica (Eddie Gomez, Jack DeJohnette) che Bill Evans aveva usato solo per pochi mesi 10 anni prima. Questo progetto ha avuto un significato particolare per te?

RT: Eddie aveva appena lasciato il trio di Bill dopo essere stato con lui per oltre 10 anni. È un musicista fantastico, e naturalmente comprendevamo a vicenda il nostro modo di suonare. Jack è il batterista jazz per antonomasia, e siamo diventati molto buoni amici dopo un tour ECM degli Stati Uniti a metà degli anni '70. Anche Jack era un ex allievo di Bill Evans, e la combinazione dei nostri concetti sembrò combaciare in modo naturale.

AAJ: Un'altra bella combinazione è quella con la chitarra di John Abercrombie.

RT: Oh sì, è un duo che dura da una vita, eravamo grandissimi amici e vivevamo a soli due isolati di distanza a New York, abbiamo fatto moltissimi tour, era veramente una gran combinazione. Facevamo molte di quelle jam session creative nei loft a New York dove io, John e Marc Copland provavamo nuova musica, e John aveva un gruppo con Billy Cobham [Dreams, N.d.R.]. Ma Abercrombie era un amico speciale, il mio migliore amico, e quello è stato un gran duo, non so quanto sia durato, 10-15 anni. Non tutti sanno suonare così bene in duo anche se sembra di sì, lo strumento è importante, ma anche il modo di suonare e la musica che hai ascoltato per tutta la vita, o solo la tua sensibilità per la musica. John ha ascoltato tantissima musica d'avanguardia, inoltre è un grande suonatore di blues, e la gente non sembra rendersi conto di quanto blues ci sia anche nel mio modo di suonare, l'aspetto ritmico è legato a tante cose.

AAJ: Hai suonato anche con Egberto Gismonti su Sol do Meio Dia. Come vi siete conosciuti?

RT: Sì, è stato un bel disco, bei pezzi, amo il suo modo di suonare il piano. Mi ricordo quando incontrai Egberto, io vivevo a New York e lui venne al mio appartamento e mi portò una 12 corde costruita per me da qualcuno in Brasile, in realtà non era per niente una buona chitarra... Passammo tutto il pomeriggio a suonare, e credo di averlo registrato su nastro.

AAJ: Parlando di altri chitarristi ECM, hai mai incontrato Bill Frisell?

RT: Bill e io siamo vecchi amici da molto tempo!

AAJ: Avete fatto qualcosa insieme?

RT: No, sarebbe bello, ma non ci è mai capitato, e lui è andato a incidere per altre etichette. Il mio vero compagno alla chitarra elettrica è stato Abercrombie, e io non ho quasi mai registrato con nessun altro chitarrista perché quella combinazione è stata una parte così profonda della mia vita. Io non faccio molti dischi, non registro solo perché ne ho la possibilità. Fare un disco per me è ancora una cosa molto seria e importante, voglio che sia qualcosa che ho scritto apposta, qualcosa a cui ho pensato molto, e con qualcuno con cui veramente mi interessi suonare.

Sono sicuro che incidere con Bill sarebbe fantastico. Ha un magnifico modo di suonare e di mettere insieme i dischi. Per me è come un musicologo, conosce da dove viene la musica e che significato ha, sa la sua storia, e come la include nel suo modo di suonare è veramente eccezionale. Questo rispetto per la provenienza della musica è quello che lo definisce maggiormente a mio parere, ciò che rende così potente la sua musica. Tutti i musicisti mi colpiscono sempre in modo profondo quando hanno questo rispetto per il materiale che compongono, e per il modo in cui utilizzano le loro influenze. La musica è personale, ognuno sente la musica in maniera differente, in un certo senso non sai mai come la gente si serve della musica, o che effetto ha la tua musica su di loro. Quando faccio musica è personale per me, ma qualunque sia la reazione suscitata o chiunque la stia ascoltando, per me è importante che la sentano in modo personale, ma io non posso indovinare quello che penso piacerebbe loro. Non scrivo musica con l'intenzione che sia la più popolare possibile, ma c'è una vera soddisfazione, una vera gratificazione quando arriva qualcuno e dice che la tua musica è molto importante per lui, o in qualche caso gli ha cambiato la vita, o che ha avuto un effetto potente su di loro, credo che sia una bella realizzazione.

AAJ: Un altro ottimo duo è quello con Javier Girotto partito con un concerto a Roma nel 2010. È un buon complemento al duo con Paolo Fresu, suonare con Javier fa emergere l'energia e il sentimento latino della tua musica, è un approccio diverso da quello che hai con Fresu. Ci sono progetti per un disco in duo?

RT: Ricordo che al concerto di Roma avevo un braccio slogato, o qualcosa del genere, non riuscivo a sollevare il braccio. Avevo provato di tutto, e Javier aveva chiamato dei dottori, a malapena sono riuscito a rimettermi in sesto per quel concerto, non potevo sollevare la mano per suonare, ma ricordo che il concerto andò bene. Sì, l'energia è la cosa divertente del suonare con Javier. Il progetto è ancora attivo, abbiamo fatto un bel tour in Argentina. Al momento non abbiamo piani per un disco in duo, ma dovrei considerarlo. Ho fatto un disco con gli Aires Tango [ Duende, N.d.R.] e credo che faremo un altro concerto insieme a Cremona in maggio, ci saranno dei duetti con Javier, forse un paio di brani col quartetto, e probabilmente suonerò qualcosa in solo.

AAJ: Hai qualche album preferito tra quelli che hai fatto?

RT: È difficile sceglierne solo uno, credo. Sono sempre stato molto fiero di Solstice. Degli album che ho inciso in solo Blue Sun è stato il mio disco da one man band. In quel disco ho usato tutti gli strumenti che so suonare, e ho sovrainciso. Fu veramente un progetto interessante, è venuto fuori molto bene, sembra un gruppo di persone e non una sola, e credo che la musica che scrissi per quello era molto buona. Sono molto fiero della maggior parte dei miei dischi. Per alcuni mi serve un po' di tempo per abituarmi, subito dopo che li ho registrati non sono molto convinto di quanto buoni siano, ho bisogno di un po' di distanza per sentirli, ma quando li ascolto molto più tardi mi sorprendo di quanto siano venuti bene.

AAJ: Nel 1992 hai inciso la colonna sonora di un film italiano, "Un'altra vita." Come sei stato coinvolto? È stato il regista Carlo Mazzacurati a richiedere la tua musica?

RT: Carlo era un fan dei miei dischi, e voleva una colonna sonora che avesse un contenuto e non solo atmosfera. Ogni brano era collegato a un personaggio specifico, e speravo che si reggesse autonomamente. Questa è stata la mia prima colonna sonora per un film a soggetto, forse la mia unica, anche se ho fatto molti cortometraggi e alcune apparizioni in registrazioni per film di altri compositori.

AAJ: Come hai sviluppato il tuo stile di improvvisazione sulla chitarra?

RT: Viene dall'essere un pianista. La mia intenzione era di usare la chitarra come un pianoforte e con lo stesso approccio, compreso il saper suonare ogni nota di un accordo, controllare il volume di ogni nota (facendo emergere una nota e lasciando le altre allo stesso livello). Questa è una tecnica pianistica classica, quando ti accompagni da solo e hai la voce principale non suoni l'accompagnamento così forte da non sentire il tema. L'organizzazione di quello che si sente è l'aspetto più importante quando ci sono più parti in movimento nel brano musicale. Così è quello che ho fatto usando tutte le dita della mano destra come plettri. Essenzialmente è come una specie di liuto, ma più avanzato, è più simile a un pianoforte per come lo sento e come lo uso. La chitarra per me non è un semplice strumento da strimpellare, è un intero mondo in se stesso, ed è molto popolare...

AAJ: Quando hai cominciato a suonare la 12 corde?

RT: È stato con Paul Winter, io non volevo suonare la 12 corde, mi rovinava le unghie. Lui stava cercando di imitare il suono che aveva sentito dai dischi di Joni Mitchell, il modo in cui Joni suonava la 12 corde era veramente interessante, faceva delle belle accordature e la usava in un bel modo. Paul aveva ricevuto una chitarra 12 corde molto bella dalla Guild e insisteva che io la suonassi. Io dicevo "oh no, mi rovinerà le unghie," ma alla fine mi arresi e cominciai a suonarla, e mi resi conto che se la suonavo come una chitarra classica colpendo due corde insieme con un dito, suona come un clavicembalo, e ha anche questo meraviglioso suono risonante. Così cominciai a scrivere musica che suonasse bene su quello strumento, qualcosa che mi piacesse. A volte accordavo tutte le 12 corde in toni differenti.

AAJ: Che musica ti piace ascoltare?

RT: Non saprei proprio dire, comunque ho le mie preferenze. Adoro gli arrangiamenti di Vince Mendoza e come suona, ho suonato su due dei suoi dischi, è un grande arrangiatore e anche compositore. Mi piace l'approccio di Vince, in un certo modo è il successore di Gil Evans, dal punto di vista della sua statura in quel mondo. Mi piace il quintetto di Miles, mi piace quello che fa Wayne Shorter, è così unico. E la musica classica, i russi in generale, Shostakovic.

AAJ: Ascolti altri chitarristi?

RT: Non sono tanto un fan della chitarra quanto del piano... questa è la differenza, non sono mai stato attratto dalla chitarra fino a che non ho sentito che poteva fare molto di ciò che fa il piano e anche più, nel senso di avere più colori del pianoforte. Essendo un compositore amo le loro armonie e la condotta delle voci e Bach, e questa è una parte importante della mia formazione musicale, il modo in cui la musica di Bach sta insieme, ho una passione per il Barocco. Le cose che mi piacciono provo a incorporarle nel mio approccio in modo concettuale, non letterale... voglio dire, non copio le frasi di qualcun altro e non uso molte citazioni, quel genere di cose. Cerco di catturare l'essenza di qualcosa e condensarla per colpire l'ascoltatore. È bello sentire quando si suona qualcosa non immediatamente collegato a un gruppo etnico particolare, ma che talvolta usa l'essenza di quella musica etnica. Come con gli Oregon, il nostro modo di procedere era di essere bravi sugli strumenti etnici che suonavamo, come nel caso di Collin, aveva uno dei più bei suoni di tabla e aveva studiato per anni il sitar con Ravi Shankar e le tabla con Alla Rakha, e aveva sempre il senso del suono per ogni strumento che utilizzava. Come percussionista era di formazione classica, e sapeva anche dirigere Stravinsky, ma il suo dono era di saper estrarre suoni anche dagli oggetti più piccoli. Fondamentalmente lui suonava strumenti indiani, io suonavo chitarra classica e pianoforte jazz, ma cercando di assomigliare al suono della musica brasiliana, usandone l'essenza, la sua bellezza, e la sua base ritmica. Molto di quel ritmo si combinava con la conoscenza di Collin del ritmo indiano, facendo combaciare insieme in qualche modo tutti i frammenti per scegliere la musica che ci piaceva. Non stavamo cercando di suonare musica indiana o brasiliana, ma usavamo molti degli strumenti e degli elementi di quelle culture musicali, di quei mondi. Quello è stato il risultato che abbiamo ottenuto, con un oboe come strumento solista, il sitar e la 12-corde, non una combinazione molto comune, l'unica cosa standard era il contrabbasso.

AAJ: Alcune delle tue composizioni per chitarra sono entrate nel repertorio di alcnui chitarristi classici che le hanno anche registrate. Hai sentito le loro versioni, e cosa ne pensi?

RT: Sono compiaciuto di sentire che alcuni musicisti classici si sono interessati alle mie composizioni e esecuzioni. Sono stato estremamente lusingato a incontrare alcuni dei grandi chitarristi classici come John Williams, Manuel Barrueco, Leo Brouwer e i fratelli Assad [Sergio e Odair, N.d.R.] che hanno detto di essere fan della mia musica. Spero di fare qualche intrusione nei programmi degli interpreti classici.

AAJ: Da quanto tempo vivi in Italia, e come è cambiato musicalmente il tuo stile di vita con questo trasferimento?

RT: Sono in Italia da 24 anni, 10-11 a Palermo e poi a Roma. Credo che la mia vita musicale sia ancora attiva per via del mio meraviglioso amore italiano, Mariella Losardo. Avevo 50 anni quando ci siamo incontrati, lei aveva già un grande carriera come attrice di teatro nella compagnia di Toni Servillo e viaggiava molto, faceva tour di 8 mesi per parecchi anni. Era una fan degli Oregon e della mia musica grazie a un nostro amico, Tobia Vaccaro, un musicista di Palermo e grosso fan degli Oregon, li faceva sentire a tutti. Ho incontrato Mariella a un concerto, io avevo vissuto da solo a Seattle per 10 anni dopo aver lasciato New York, ed è scattato qualcosa, c'è voluto circa un anno per arrivare a decidere di vivere insieme, lei è un'attrice italiana e io venivo dagli Stati Uniti ma il mio lavoro era principalmente in Europa, ho un agente europeo, una casa discografica europea e i concerti in tutto il mondo. Così per me è stato facile trasferirmi, ero già abituato a stare in Europa, e non è stato uno shock culturale anche stabilirmi a Palermo, perché volevo che lei mantenesse la sua carriera.

AAJ: Quali sono i tuoi altri progetti attivi?

RT: Vediamo... c'è il trio MGT [Muthspiel, Grigoryan, Towner, N.d.R.], ma ci sono problemi logistici. Slava vive in Australia, e abbiamo qualcosa per i concerti nel weekend, ma non possiamo fare un tour intero unicamente per quelli, e Slava è molto impegnato come Wolfgang, così per quanto ci piaccia suonare insieme la cosa è molto difficile da coordinare. Slava suggerisce di fare un altro tour in Australia, ne abbiamo già fatti tre, mia moglie Mariella ama l'Australia così è molto eccitata all'idea. Slava è venuto in Europa per alcuni concerti, c'era una specie di concerto onorario per me a Stoccarda e lui e Wolfgang erano disponibili, così ci siamo messi d'accordo per fare metà concerto in trio, e l'altra metà ho suonato da solo. È stato bello, è stata l'ultima volta che abbiamo suonato insieme [nel 2015, N.d.R.].

AAJ: Per finire, che altri programmi hai per il futuro?

RT: C'è un bel pezzo di teatro che abbiamo fatto insieme con Mariella, io suono la musica dal vivo. Il pezzo si chiama "Madeleine Suite," è basato su un racconto di Marguerite Yourcenar. La prima rappresentazione è stata anni fa, abbiamo fatto anche una versione radiofonica per la radio Svizzera, e eseguita più volte in concerto. Il prossimo mese registreremo un video di quello spettacolo. Gli Oregon hanno un nuovo CD in uscita, finalmente abbiamo terminato il mixaggio e sta per essere pubblicato dalla CAMjazz, e speriamo di fare qualche tour per promuoverlo. Io ho qualche altro concerto sparso, ma nessun grosso progetto al momento.

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