Marty Krystall: Plays Herbie Nichols

Il sax corrosivo, irriverente del leader è il trait-d'union di un percorso assai convincente, volto a dischiudere le innumerevoli pieghe compositive del grande pianista statunitense, scomparso prematuramente nel 1963.

Per quel che riguarda le strategie d'arrangiamento, iniziamo dalla meno attesa e forse dalla più gustosa: l'aver riconsiderato lo strumento di Nichols come discreto, sottile sostegno armonico alle graffianti sonorità del sax e del violino.

Oltre ad una tessitura musicale più fitta ed acida rispetto alle partiture originarie, le sei composizioni nicholsiane sono state impreziosite da tre soluzioni altrettanto importanti nel lavoro di destrutturazione: dense costruzioni armoniche; avvincenti elaborazioni collettive; ingegnosi incastri timbrici.

Una pratica strumentale all'insegna dell'alta creatività, per risottolineare la versatile cifra artistica di Nichols, ben lontano dall'essere riconducibile ad un solo stile. Da “Wildflower” ad “Hangover Triangle”, sono brani estremamente stratificati, ancorché pervasi da irregolari misure e forme adottate.

Brani difficili ma riletti “cum grano salis” da un quintetto davvero superbo, che infonde alle atmosfere modali ed harboppistiche nuovi colori: funk e jazz d'avanguardia fra tutti. Desta invece qualche perplessità l'inserimento della bizetiana “Carmen”, che oltre a non avere alcun legame storico-musicale con il tema del disco, nulla di più aggiunge rispetto a quanto fatto di buone e pregante dal quintetto.

Una deviazione fuori tema e fuori luogo, non giustificabile con il fatto che Bizet e Nichols morirono entrambi prematuramente, tra l'indifferenza dei colleghi e del pubblico.

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