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Miles Mosley, contrabbassista per ogni stagione

Miles Mosley, contrabbassista per ogni stagione
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Bassista, cantante, compositore di colonne sonore: Miles Mosley è tutto questo e molto ancora. Dopo aver studiato con titani del contrabbasso come John Clayton e Ray Brown, Mosley ha cominciato a supportare in tour musicisti del calibro di Lauryn Hill, Jeff Beck, Gnarls Barkley e Mos Def e registrare sui dischi di Jonathan Davis dei Korn e Avenged Sevenfold, dimostrando versatilità e grande passione per la musica a 360°. Colonna portante del collettivo West Coast Get Down di cui è membro fondatore e di cui fanno parte gli amici di infanzia Kamasi Washington e Ryan Porter, il contrabbassista losangelino ha suonato su alcuni dei dischi più importanti degli ultimi anni, due tutti: The Epic del già citato Kamasi Washington e To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar.

Fresco della pubblicazione del suo primo album solista Uprising, Miles Mosley ci ha raccontato in questa intervista un po' di tutto: dai suoi ascolti adolescenziali (tante sorprese!) ai suoi progetti futuri passando per il tour che è partito ad aprile in Ighilterra e che si concluderà a settembre in Canada.

All About Jazz: Partiamo subito dalla tua ultima fatica: Uprising. Il disco è bello, a tratti dirompente e mette in evidenza una formazione (la West Coast Get Down N.d.R.) più affiatata che mai, con i tuoi amici Kamasi Washington e Tony Austin in stato di grazia. Qual è l'idea alla base di questo progetto discografico?

Miles Mosley: Volevo fare un disco che parlasse delle emozioni umane. Sai, è difficile essere a contatto con le proprie emozioni in un mondo come quello in cui viviamo, per non parlare dei quotidiani alti e bassi che ognuno di noi attraversa, le cose belle e quelle meno... e credo che la musica possa essere una via per trovare un po' di pace e per dar un nuovo senso alla vita. Così ho cominciato a scrivere queste canzoni che mi hanno fatto stare bene e che hanno avuto per me una sorta di supporto morale e alla fine della fiera ho capito che queste tracce erano tra loro indissolubilmente connesse.

AAJ: ll tuo percorso musicale è variegato: hai studiato Jazz con Ray Brown e John Clayton, fai parte dei collettivi West Coast Get Down e The Next Step, collabori con Lauryn Hill, Kendrick Lamar e Common, hai registrato con Kenny Loggins (ospite su Drunk di Thundercat) ma allo stesso tempo hai suonato con Jonathan Davis (è nella formazione del suo esordio discografico) e con Chris Cornell. Qual è il segreto della tua versatilità e capacità nel cambiare registro e genere?

MM: Sono stato abbastanza fortunato da poter collaborare e lavorare con una grande varietà di artisti provenienti da generi diversi e questo è capitato perché ho un grandissimo rispetto per qualsiasi tipo di musica. Non ho i paraocchi e non credo che esista una musica migliore di un'altra: ogni genere è importante, ha i suoi grandissimi interpreti, e se ti metti sotto a studiarli puoi sviluppare uno stile, uno stile universale e fare dell'ottima musica. Sono stato fortunato e ho avuto occasione di suonare con grandissimi musicisti con background diversissimi, così il mio stile è diventato versatile per forza di cose: può essere molto naturale, classico o può diventare aggressivo, alla Jimi Hendrix, ed è capitato con Jonathan Davis e per quel genere è risultato perfetto, con quelle chitarre accordate bassissime. È stato naturale per me suonare con lui in quella maniera e grazie all'archetto sono riuscito a tirare fuori dal mio contrabbasso suoni simili a quelli del Moog che si sono sposati perfettamente con quelle sonorità. Ho veramente apprezzato collaborare con Jonathan e lo stesso con Chris Cornell. Sotto questo punto di vista, mi ritengo veramente fortunato.

AAJ: Parlaci un po' del collettivo West Coast Get Down. Come è nata l'idea di mettere su questo gruppo?

MM: I vari componenti del collettivo sono nati e cresciuti insieme a Los Angeles. Ci conosciamo sin dai tempi delle scuole superiori. Siamo stati molto uniti e abbiamo avuto la fortuna di studiare musica in un periodo in cui il nostro governo investiva una grande quantità di denaro nell'educazione musicale. Abbiamo avuto ottimi insegnanti grazie ai quali siamo riusciti ad eccellere nella musica. Poi siamo cresciuti: c'è chi si è laureato, chi non ha finito il college e chi ha cominciato ad andare in tour come sideman, come è stato per me con Jonathan Davis o per altri con Chaka Khan e Babyface. Ogni volta che tornavo dai tour però mi rendevo conto che non avevamo un posto tutto per noi, dove poter suonare, per stare assieme e scrivere la nostra musica. Così ho messo su una sorta di residency dove potevamo suonare due volta a settimana: non importava quanto si suonasse, in quel posto potevamo fare quello che desideravamo. Eravamo totalmente liberi. Ad un certo punto, durante un concerto, li presentai come The West Coast Get Down... "Signore e Signori: Welcome to The West Coast Get Down." È nata così. Ci rendemmo conto di avere scritto tanto materiale che ci piaceva e che piaceva al pubblico, quindi era giunto il momento di investire su di noi. Ci siamo rinchiusi in uno studio e abbiamo registrato circa 170 tracce. Così è cominciata la favola dei West Coast Get Down. Da quelle stesse sessioni è nato pure The Epic di Kamasi. Era la nostra occasione e non ce la siamo fatti sfuggire. Nessuna strategia costruita a tavolino, soltanto una serie di circostanze fortuite che hanno permesso ad un gruppo di ragazzi cresciuti assieme di suonare in studio di registrazione.

AAJ: Le sedute di registraione di Uprising sono durate tanto e si sono accavallate con quelle di The Epic. Immagino che sia stato un periodo un bel po' pieno per te e i tuoi musicisti. C'è qualche aneddoto divertente di quelle sessioni?

MM: Non stavamo incidendo soltanto due dischi. Stavamo lavorando sui dischi di Cameron Graves, Tony Austin, Ryan Porter e Kamasi Washington. Tutti allo stesso tempo. Sono una persona estremamente organizzata, sono un po' il project leader del gruppo, così ho organizzato un bello schema sul muro della sala prove e ho diviso ogni giornata in segmenti da tre ore ciascuno, così da poter lavorare ogni giorno su tre dischi diversi.

Per la verita, il tutto non è stato poi così pesante, anzi: lavorare così ha dei benefici, perché quando è il turno di lavorare per il tuo album hai tutta la pressione addosso mentre quando lavori sugli altri puoi staccare la spina, rilassarti un po,' ed essere, in quei frangenti, "solamente" un musicista. Abbiamo lavorato duro, avevamo un obiettivo e abbiamo avuto anche un po' di fortuna. Ogni giorno eravamo in sala dalle 10 del mattino alle 2 di notte, ma come ho già detto siamo una famiglia: abbiamo riso, abbiamo tenuto duro... e abbiamo lavorato sodo!

AAJ: Si parla sempre del Miles Mosley bassista, ma si presta poca attenzione al Miles Mosley cantante. È stato naturale metterti dietro un microfono per alcuni brani di Uprising? Lo hai fatto perchè eri convinto di avere la voce più adatta a interpretare i tuoi testi oppure è stata una necessità?

MM: Sono cresciuto ascoltando la musica dei cantautori. Ho sempre avuto un rispetto enorme per il potere della parola e per la potenza delle canzoni. Contemporaneamente ai miei primi passi da bassista ho cominciato a scrivere canzoni che annotavo su un quadernetto che portavo sempre con me, ma non le ho mai cantate. Ho cominciato a cantare quando ero un ventenne e lavoravo in un progetto di terapia mentale per ragazzi. Iniziai a scrivere canzoni insieme a loro, per aiutarli a superare le difficoltà che provavano ad esprimere le loro emozioni, le loro paure e i loro problemi. Alla fine di ogni seduta cantavo le loro canzoni e ho cominciato a realizzare quanto questo aiutasse le persone a sentirsi meglio: ho colto la palla al balzo e mi sono dedicato con maggiore intensità a scrivere canzoni mie. Come bassista, il fatto di cantare le mie canzoni le ha rese più accessibili alle persone che sono più attente ai testi piuttosto che agli assoli di basso. È un buon compromesso. Il tono della mia voce è molto colloquiale, ha quel suono naturale che si sposa bene con la mia musica!

AAJ: C'è tanto Funk, Soul e Fusion in Uprising. Cosa ascoltavi da ragazzo e qual è stato il disco che ti ha fatto esclamare "da grande farò il musicista!"

MM: È molto semplice: ricordo la prima volta in cui ho sentito il trio di Oscar Peterson e il contrabbasso di Ray Brown e in quel momento ho realizzato l'importanza e la centralità di quello strumento... "Wow! C'è uno strumento lì che è al centro di tutto ma non sta sotto i riflettori." Da ragazzo, poi, sono stato travolto dalla musica Grunge: ho adorato i Lemonheads e i Dinosaur Jr. Allo stesso tempo gli ascolti dei miei genitori mi influenzarono alla stessa maniera, la Motown, i Temptations, Marvin Gaye. Anche Ray Charles è stato fondamentale. Questa combinazione di Jazz, Grunge e Soul ha influenzato il mio modo di suonare e ti fa capire il perché il mio basso suoni in questa maniera. Crescendo a Los Angeles negli anni ottanta e novanta poi sono influenzato dal gangsta rap che in quel periodo era al suo culmine. Queste sono state le influenze musicali più importanti per me.

AAJ: Quali sono i dischi che hanno cambiato la tua vita, come uomo e come musicista?

MM: Non c'è alcun dubbio, si tratta di We Get Requests dell'Oscar Peterson Trio, l'album ha definito la mia idea di contrabbasso, il brano "Hard Times" di Ray Charles (quando si tratta di Ray è sempre difficile scegliere un album soltanto!), Up di Peter Gabriel (Tony Levin è uno dei miei eroi, uno dei migliori bassisti di ogni epoca secondo me), i quartetti per archi di Mendhelssohn (fondamentali per la mia formazione), Don't Give Up on Me di Solomon Burke (uno dei miei dischi da isola deserta), Night Ride Home di Joni Mitchell e I Wish It Would Rain dei Temptations.

AAJ: Per ogni musicista è sempre difficile scegliere la propria canzone preferita. Se fossi obbligato a questa scelta, quale sarebbe il brano di Uprising per te più importante e significativo?

MM: Mmm, credo che "More Than This" sia una delle mie composizioni preferite, perché descrive al meglio come sia stato per noi crescere a Los Angeles, in un mondo costantemente in evoluzione e che sposta continuamente gli obiettivi. Quando ho cominciato a suonare avevamo un solo scopoe ed era quello di raggiungere la cima della montagna; per arrivarci dovevi passare attraverso il lavoro duro, esercitarti tanto, costruirti una carriera, essere in grado con il tuo lavoro di pagarti una casa, pagare le tasse... lavorare duro per una vita giusta. Ora non basta più e non è nemmeno più una questione di fare ciò che ami per stare bene... per me ora l'importante è fare musica che aiuta la gente. Quella è la cosa più importante. Tutto il resto è solo business.

AAJ: Dopo aver preso il mondo della musica alla sprovvista, quali sono i prossimi progetti e le prossime sfide per te e per i musicisti che gravitano attorno al West Coast Get Down?

MM: Abbiamo un sacco di musica pronta ma che deve ancora essere pubblicata, e tanta musica in testa che deve ancora essere trasferita su carta. Non vedo l'ora di poter partire in tour per condividere con il pubblico Uprising e credo che questo sia lo scopo principale del nostro lavoro: condividere la nostra musica con quanta più gente possibile. Man mano che usciranno i nostri dischi sarà interessante per il nostro pubblico capire quanto ogni componente del West Coast Get Down sia diverso musicalmente dall'altro. Sicuramente il mio prossimo album non sarà una copia di Uprising. Magari emergerà il mio lato più votato al grunge o quello più classico, chissà... Se il pubblico sarà abbastanza curioso e continuerà a supportarci credo che davanti a noi ci saranno anni e anni di grande musica.

Foto: Todd Mazer

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