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7 Virtual Jazz Club, i talenti di tutto il mondo si sfidano in rete

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Conosco le difficoltà che incontrano oggi gli artisti nel farsi ascoltare, nel riuscire ad avere un loro spazio per esibirsi. Abbiamo così voluto creare una jam session mondiale, attraverso la quale aiutare un genere ancora troppo di nicchia come il jazz
—Valerio Pappi
Lo scorso 19 dicembre si è concluso 7 Virtual Jazz Club, il primo concorso internazionale per musicisti interamente on line. Un contest virtuale che ha visto la partecipazione di centinaia di musicisti da tutto il mondo in cui è risultata vincitrice la sassofonista tedesca Nicole Johaenntgen con il brano "Flugmodus," al secondo posto la giovane band spagnola The Jazz Fingers con il brano "Bill Tone," al terzo posto il pianista dominicano Miguel Andres Tejada col brano "Rumbeando." Una giuria di critici ed esperti internazionali assieme al giudizio del pubblico in diverse fasi ha selezionato gli otto finalisti e infine decretato i vincitori che si aggiudicano premi in denaro (fino a un massimo di quattromila euro) e attività di promozione artistica.

Il concorso, unico nel suo genere, ha suscitato grande interesse e partecipazione e ne è già stata annunciata una seconda edizione per il 2017. Abbiamo intervistato il direttore artistico, Valerio Pappi, che traccia per All About Jazz un primo bilancio dell'iniziativa.

All About Jazz: Com'è nata l'idea di 7 Virtual Jazz Club?

Valerio Pappi: Sono appassionato di jazz fin dalla adolescenza e per vari anni ho suonato la chitarra come semi professionista in diverse rassegne e jazz club italiani (tra cui il Torrione di Ferrara). Conosco le difficoltà che incontrano oggi gli artisti più o meno giovani, nel farsi ascoltare, nel riuscire ad avere un loro spazio per esibirsi, come pure certi musicisti di strada, alcune volte di notevole qualità tecnica, anche se assolutamente sconosciuti, se non a livello locale. Da queste e altre riflessioni è cominciata a maturare l'idea di un jazz club in cui potessero esibirsi musicisti di nazionalità diverse senza doversi spostare, aperto a tutti, senza limiti di età o esperienza. Tutto è partito da Ferrara, la città in cui vivo, ma ho condiviso questa idea con amici appassionati di jazz residenti in altre città italiane come Milano, Torino, Pescara, Ravenna, e all'estero: Londra, Nizza, Losanna, Boston. Dalle singole proposte di ognuno di noi, si è concretizzato il progetto di una piattaforma interamente on line: un palcoscenico sempre aperto a tutti coloro i quali intendono esibirvisi. Successivamente si è pensato a come ricompensare i musicisti per le loro qualità artistiche. Alla fine, propendendo per un concorso mondiale, siamo stati tutti concordi nel voler assegnare ai migliori un ingente premio in denaro (si tratta di cifre in contanti piuttosto elevate, mai destinate prima d'ora a musicisti di jazz, a fronte di una quota di iscrizione tra le più basse al mondo).

AAJ: Tra tanti concorsi che scelgono limiti di età o di genere qual è stato il criterio che ha determinato la scelta di una competizione aperta a tutti e a ogni proposta live?

VP: Volevamo creare un palcoscenico su cui potessero coesistere realtà eterogenee, rappresentative della comunità mondiale di jazz: giovani e meno giovani, dilettanti e professionisti, studenti e insegnanti, legati a generi consolidati come il bebop e la fusion ma anche a generi più originali e innovativi, non sempre catalogabili, ma sempre appartenenti al linguaggio jazzistico. Volendo racchiudere tutte queste diversità all'interno della stessa gara, e puntando sulle capacità tecniche dei partecipanti, ci sembrava giusto valutare gli artisti alle prese con delle esibizioni live, nelle quali l'elemento video (per quanto accurato) non fuorviasse dal giudizio tecnico. In estrema sintesi, volevamo creare una jam session mondiale, attraverso la quale aiutare un genere ancora troppo di nicchia come il jazz.

AAJ: Qual è stata la risposta da parte dei musicisti e quanti video hanno partecipato alla fase di preselezione?

VP: Inizialmente c'è stata molta diffidenza nei nostri confronti ed è intuibile capirne le motivazioni: non avevamo alle spalle un brand riconosciuto a livello internazionale, non avevamo (e non abbiamo tuttora) uno sponsor, non avevamo (e non abbiamo tuttora) il solito nome famoso da presentare come specchietto per le allodole. Dispiace dirlo, ma il Paese che ci ha snobbato di più è stato proprio l'Italia, soprattutto la stampa specializzata. Altri Paesi, invece, hanno compreso da subito l'originalità e la potenzialità del nostro progetto: Francia e Stati Uniti su tutti, che ci hanno spesso menzionato in programmi radiofonici (per es. Radio France o KSPC di Los Angeles) e hanno dato rilievo alla nostra iniziativa via stampa e attraverso i social Network. In seguito, grazie a un lento passaparola, ai contatti con Scuole e conservatori, e sostenuti da esperti internazionali del settore (poi diventati i giudici della nostra giuria) la credibilità è aumentata. Siamo orgogliosi di aver chiuso le selezioni con diverse centinaia di iscritti provenienti davvero da ogni angolo del mondo, compresa l'Australia, il Giappone, l'India, il Messico, la Thailandia.

AAJ: Una giuria di qualità composta da critici ed esperti del settore ha selezionato nella prima fase i 70 finalisti. Che tipo di feedback avete avuto dai giurati e sulla base di quali criteri sono stati selezionati i video finalisti?

VP: Per la scelta della giuria, il nostro punto fermo sin dall'inizio è stato quello di puntare più su esperti del settore jazz che su musicisti. Abbiamo quindi contattato scrittori, giornalisti, critici, organizzatori di festival, speakers radiofonici, storici, musicologi, insegnanti. La risposta è stata da subito entusiastica, ad eccezione di alcuni Paesi con i quali abbiamo avuto difficoltà di dialogo, a volte dovute alla lingua: il Sud Africa, la Russia, l'Australia, la Cina. Per quanto riguarda le selezioni, abbiamo mirato a una maggiore imparzialità e trasparenza, assegnando ai singoli giurati i video di artisti che non fossero della loro stessa nazionalità. I criteri di valutazione sono stati l'originalità delle esecuzioni, la qualità delle improvvisazioni, l'interplay tra i musicisti. E inoltre, ogni giurato ha messo ovviamente in campo le proprie specifiche competenze.

AAJ: Con che criterio sono stati assegnati i finalisti alle sette sale live del contest?

VP: In ognuna delle sette stanze virtuali, abbiamo cercato di inserire dei video che rispettassero una eterogeneità di valutazione da parte dei giurati e dei Paesi di provenienza. In genere abbiamo inserito 3 artisti con voto alto, 4 artisti con voto medio e 3 con voto basso, ma voglio precisare che quando dico voto basso parlo comunque di un alto livello tecnico: le video-esibizioni inviate dagli iscritti per questa prima edizione sono state per la maggior parte davvero di grande qualità, quindi sono riusciti a passare le preselezioni solo i 70 video che hanno riportato un voto dal 4,20 in su, che in una scala da 1 a 7 equivale a molto più che la sufficienza.

AAJ: Vi aspettavate di ricevere così tante proposte di eccellente livello tecnico e musicale?

VP: Alcuni di noi, io per primo, si aspettavano di ricevere un buon numero di esibizioni di qualità, proprio per il fatto che un concorso del genere e con premi in denaro di una certa entità, non era mai stato realizzato; ma anche perché alcuni dei giudici sono affermati critici di jazz nel proprio Paese, e contavamo che questi sarebbero stati un richiamo per artisti già affermati oltre che emergenti. In realtà quello che ci ha veramente sorpreso è stato che la maggioranza dei partecipanti erano professionisti, a volte anche già conosciuti a livello internazionale, mentre gli studenti e i musicisti dilettanti che si sono iscritti sono stati numericamente inferiori alle aspettative. Per questa ragione, pensando già alla seconda edizione del concorso... beh, non voglio anticipare nulla ma forse potrebbero coesistere due categorie distinte di concorrenti.

AAJ: Un metodo di valutazione complesso in quattro fasi diviso tra giudizio critico e valutazione da parte del pubblico e che contempla l'intervento della giuria internazionale nella preselezione e nella fase finale di nomina dei vincitori. Sembra siate stati estremamente attenti a garantire trasparenza e meritocrazia.

VP: Ci abbiamo provato in tutti i modi e con molta difficoltà, visto che chi lavora per il 7 Virtual Jazz Club lo fa solo nel tempo libero. Inoltre, ognuno di noi vive in Stati diversi e lontani, quindi coordinarci per la gestione della gara è stato particolarmente estenuante. Di certo la condizione sine qua non alla base di questa iniziativa è stata comunque l'idea di una gara trasparente e meritocratica. Da qui la nostra scelta di non cercare sponsor o aiuti che avrebbero potuto influenzare delle scelte fra gli artisti. Avere il 50% del voto proveniente dal pubblico web, invece, non ci ha trovato tutti concordi: alcuni di noi pensano che l'apertura al voto del pubblico porti spesso alla vittoria chi ha una maggiore quantità di contatti e non chi ha maggiori qualità artistiche. Nonostante ciò ci siamo convinti che fosse opportuno permettere agli spettatori virtuali di esprimere le proprie preferenze. Per ora siamo abbastanza soddisfatti anche del voto della web community, che rispetta—ad eccezione di alcuni casi -le preferenze già accordate dai giudici nelle selezioni.

AAJ: In un momento difficile per la sopravvivenza dei luoghi in cui si suona jazz, in che misura, secondo te, un jazz club virtuale può rappresentare il futuro del jazz?

VP: Proprio perché i luoghi in cui si suona jazz in Italia e nel mondo hanno grosse difficoltà nel rinnovarsi e stanno diventando sempre più inaccessibili come palcoscenici per musicisti emergenti, tutto il team del 7 Virtual Jazz Club ha voluto a proprie spese cercare una alternativa valida e democratica con l'obiettivo di diffondere la buona musica jazz. Oggi purtroppo i jazz club di tutto il mondo sono troppo intenti solo a fare cassa e quindi si dimenticano delle loro origini per diventare ristoranti gourmet e palcoscenici che accolgono musicisti che spesso (ma non sempre) hanno ben poco a che vedere col jazz. Noi siamo un'altra cosa: virtuale ma palpabile. Noi andiamo contro questa tendenza e vogliamo riportare il genere ad avere un pubblico seppure di nicchia sempre più esteso e giovane. Questo è il desiderio da cui è partita tutta l'iniziativa del 7 Virtual Jazz Club e questo è ciò che tenteremo di portare avanti.

AAJ: A conclusione della prima edizione del concorso, qual è il tuo bilancio dell'iniziativa?

VP: Nel complesso l'iniziativa di portare in rete delle esibizioni di jazz e tutto il concorso in ogni sua fase si sono dimostrati un successo. I vincitori erano tra i musicisti che si erano già distinti in fase di pre-selezione quindi la web community non si è di molto distanziata dal giudizio della giuria tecnica. Noi abbiamo ottenuto il nostro obbiettivo: diffondere la musica jazz di alta qualità anche su web, far conoscere a livello internazionale musicisti emergenti di talento, avvicinare al genere jazz un pubblico più giovane coinvolgendolo attraverso i social e il voto di gradimento. Certe cose potranno essere migliorate in una seconda edizione, come per esempio una più oculata regolamentazione nel metodo di votazione online, e ci stiamo già lavorando. Di sicuro, considerando l'enormità di lavoro che è stata impiegata per organizzare questa innovativa iniziativa, per il futuro abbiamo la speranza di trovare degli enti internazionali che condividano il nostro stesso obiettivo di diffusione della buona musica jazz (scuole, redazioni, social, blog, radio etc) e che possano offrirci un supporto concreto, già da oggi siamo alla ricerca di collaborazioni.

Foto: Roberto Cifarelli

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