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Pensieri sull'Orchestra per una società senza pensieri

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Arriva il secondo volume della Musica per una società senza pensieri dei Sousaphonix di Mauro Ottolini, dopo che il primo (clicca qui per leggerne la recensione) aveva ricevuto giudizi assai diversi tra loro, non tutti pienamente positivi. Responsabilità forse di un progetto ampio e, soprattutto, volutamente vario in temi e materiali, ma forse anche di una limitata volontà degli ascoltatori di comprendere il concept dal quale nasceva il progetto, peraltro presentato nel primo disco, nei video promo e nel documentario a cui il "volume I" rimandava.

Questo "volume II" completa il giro del mondo dell'onirica orchestra, facendole attraversare stavolta l'America Latina e il Portogallo di Amalia Rodriguez, il Giappone e gli Stati Uniti di Mahalia Jackson, l'Egitto e il libano fino al ritorno a casa, con la rielaborazione dello splendido brano di Bepi De Marzi "Benia Calastoria." Sempre con la medesima idea: quella di raccogliere e assimilare la musica popolare del mondo, per metterla in scena con la rediviva Orchestra Della Società Senza Pensieri, incontrata in una foto degli anni venti a Primolano, in Valsugana.

Il clima e il suono sono i medesimi del primo volume, non foss'altro perché si tratta della medesima registrazione all'auditorium Parco della Musica (nel gennaio 2014), poi frazionata in due CD commercializzati a un anno di distanza l'uno dall'altro. E anche perché il gruppo, i Sousaphonix, ha una qualità e un carisma notevoli, nonché un suono tutto suo, con un marchio unico che si avvale delle caratteristiche di musicisti strepitosi, ma che in questo caso lavorano in modo estremamente sinergico, con spazi solistici tutto sommato limitati se si esclude il ruolo che vi svolge Vanessa Tagliabue Yorke -costante interprete alla voce -e, ove presenti, gli altri due vocalist Stephanie Oceàn Ghissoni e Vincenzo Vasi -peraltro incisivo e decisivo a più riprese con i suoi diversi e originali strumenti.

Ma allora come si spiega l'accoglienza tiepida riservata al primo capitolo del lavoro? Lo abbiamo chiesto allo stesso Ottolini.

All About Jazz Italia: Il tuo doppio lavoro Musica per una società senza pensieri ha avuto una recezione piuttosto controversa: il primo disco non è stato sempre ben accolto dalla critica, mentre il secondo ha ricevuto maggiori attenzioni, tanto che Luigi Onori, presentandolo nel libretto, riconosce di essere tra quelli che hanno cambiato parere, motivandolo con il fatto di "non aver capito" il progetto finché non ha ascoltato il secondo CD. Come te lo spieghi?

Mauro Ottolini: Innanzitutto va detto che stavolta ho forse messo troppa carne al fuoco: il materiale era davvero tanto e per questo il disco non poteva che essere doppio; in aggiunta, erano previsti anche un documentario e un cartone animato, insomma un sacco di roba. Tuttociò ha fatto sì che da più parti mi sia stato consigliato, diversamente da come avevo inizialmente pensato, di pubblicare i due CD separatamente. Ora, visto che l'idea era quella di un viaggio dell'orchestra attraverso il mondo e di un suo ritorno a casa, separare i due dischi poteva far correre il rischio di un suo fraintendimento, mancando la conclusione della storia. Tuttavia, dopo qualche riflessione ho deciso di seguire i consigli, confidando sul fatto che il booklet e i video di presentazione fossero sufficientemente chiari e che, separati, i due dischi fossero meglio valorizzabili. Purtroppo le cose sono andate diversamente, perché evidentemente non tutti leggono e ancor meno vanno a vedere i video! Aggiungi a questo che sono poi cominciate le solite discussioni sul "genere" della musica e che non è mancato chi ha detto che il disco non era jazz, e cose di questo genere, e capisci perché tutto sia andato storto... Intendiamoci, non è che siano mancati gli estimatori: però il disco non è stato apprezzato quanto secondo me avrebbe meritato, visto che lo considero forse il più bello che abbia pubblicato finora nella mia vita!

AAJI: Puoi spiegare perché a chi non l'ha capito?

M.O.: Per tante ragioni diverse. La prima è che ne emerge un gruppo maturo, che ha già inciso cinque dischi, che io conosco e per il quale compongo e arrangio, che suona meravigliosamente, oltretutto interamente dal vivo all'auditorium Parco della Musica, perché non c'è una sola nota che sia stata rifatta.

AAJI: Se è per questo, non credo che qualcuno metta in dubbio la qualità del gruppo e la sua interpretazione della musiche.

M.O.: Poi perché ci sono un sacco di cose non solo belle e interessanti, ma perfino uniche. Per esempio c'è un brano di Shostakovich, che fa parte di quattro ballate per pianoforte e voce, che io e Vanessa Tagliabue Yorke abbiamo trovato nella biblioteca di un conservatorio romano, che abbiamo fotografato -perché in commercio queste partiture non esistono -e da cui ho tirato fuori "Lullaby," presente sul primo CD, arrangiando un gruppo da camera a partire dai suoni registrati in Sardegna sulle pietre Pinuccio Sciola, purtroppo scomparso proprio qualche tempo fa. Credo sia un peccato che pressoché nessuno si sia accorto che in quel disco c'erano cose di questo genere! Infine -e soprattutto -perché il disco ruota attorno a una bella storia con una morale importante. Quella che pochi hanno capito.

AAJI: A beneficio di coloro che non l'avevano colta, potresti spiegare di nuovo la storia che il progetto intendeva raccontare?

M.O.: Tutto parte dalla reale esistenza di una orchestra popolare, l'Orchestra Della Società Senza Pensieri, della quale si sa poco, ma si sa comunque che ha viaggiato da Borgo Valsugana verso qualche parte del mondo. Io ho pensato un viaggio immaginario di questa orchestrina, che tenesse conto del fatto, anch'esso reale, che tutti i grandi della musica -da Stravinsky a Miles Davis, da Duke Ellington a Schoenberg -hanno pescato dalla musica popolare. Un viaggio circolare, che parte dalle montagne della Valsugana e ritorna là -altro aspetto reale della vicenda, perché in effetti uno strumento dell'orchestra è davvero tornato in Valsugana dopo la guerra, l'organetto di un soldato che era morto in Russia. Una storia, quindi, con una morale: che si parte alla volta del mondo per cercare qualcosa di nuovo e poi si ritorna con una nostalgia di casa, stemperata però da quel che porti con te dal viaggio. Una morale piuttosto attuale, visto che oggi viviamo in società multietniche entro le quali però le persone non riescono a convivere perché non ci sono né vera conoscenza, né reale compartecipazione delle culture, ma solo la fruizione di elementi esteriori. Un esempio? Tutti abbiamo mangiato cinese, molti hanno anche una wok per cucinare in quel modo, ma quanti hanno un amico cinese e vanno al cinema con lui? È per questo che ho pensato il viaggio dell'Orchestra Della Società Senza Pensieri come finalizzato ad acquisire e assimilare elementi della musica popolare delle più disparate parti del mondo, così da permetterle di tornare a casa e di far ballare le nuove società, quelle come la nostra, composte da russi, algerini, ucraini, cubani, egiziani e via dicendo. Volevamo raccogliere tutte le sfumature possibili di queste culture, per poi suonarle non in modo filologico, cioè come le suonano loro, bensì a modo nostro, cioè come le avevamo interiorizzate noi! Questo è l'aspetto interessante del disco che non è stato capito: il lavoro di rielaborazione di questi pezzi, suonati con strumenti di oggi e modalità nostre. Compresa la musica araba, che ha strumenti con quarti di tono e scale che in Europa non usiamo, e che ciononostante abbiamo rifatto a modo nostro, sebbene con molta attenzione: io sono perfino andato a Roma dal professor Scarnecchia, grande esperto di questa musica, per farmi spiegare i suoi aspetti più complessi e capire come poterla suonare mantenendone l'essenza. Ecco, credo che il disco potrebbe essere pensato proprio come un profumo che contiene una pluralità di essenze e che però, alla fine, è il nostro.

AAJI: Le tappe della prima parte del viaggio ce le spiegasti all'uscita del primo CD; puoi parlarci ora delle successive?

M.O.: Il primo disco termina con un pezzo cantato dai bambini di Haiti, che è registrato davvero ad Haiti; da lì ripartiamo e facciamo tutti i paesi latini, torniamo in Portogallo, dove incontriamo Amalia Rodriguez. E io dico: andate a sentire l'originale e poi ditemi se, pur sembrando due pezzi diversi, non si sente l'essenza della grande cantante portoghese! E questo non perché Vanessa imiti Amalia Rodriguez, perché lei canta a modo suo, e altrettanto fa Vincenzo Vasi; e tuttavia stanno benissimo su quel brano, come ci sta il suono del gruppo. E lo stesso vale per i brani di Mahalia Jackson, per quello giapponese, per quello egiziano di Oum Kalthoum e via dicendo. Finché il viaggio si conclude con un brano di Bepi De Marzi, in dialetto veronese e cantato da un coro di alpini, anche se io l'ho in gran parte rifatto. E qui il senso è come dicevo quello del ritorno, con la speranza di poter fare quel che invece oggi non riesce mai, ovvero integrare le culture. Ed è in questa logica dell'integrazione che non ho usato né artisti, né strumenti dei paesi d'origine dei diversi brani, ma solo quel che usiamo sempre: per dare il nostro suono alla loro musica, per integrare le culture diverse. L'unica cosa che abbiamo fatto è utilizzare un'apparecchiatura sviluppata dal Tomatis, un istituto di ricerca che studia le frequenze dell'orecchio umano e che ha scoperto che quando gli uomini cantano utilizzano frequenze diverse a seconda della lingua madre: per questo, quando Vanessa cantava in lingue diverse le abbiamo filtrato la voce attraverso quest'apparecchio, così che utilizzasse le frequenze di volta in volta proprie della lingua che impiegava. Lei è venuta fuori stravolta da quell'esperienza, ma alla fine ci è stato detto che ogni volta sembrava davvero giapponese, o russa, o cubana!

AAJI: E adesso, al ritorno a casa, la Società Senza Pensieri ha anche un teatro, o sbaglio?

M.O.: Sì, è un teatro vero e proprio che abbiamo realizzato in un capannone industriale di Peschiera del Garda, rilevato e risistemato dalla Società Senza Pensieri, associazione che ho assieme ad altri quattro amici. La ristrutturazione è avvenuta attraverso l'uso di materiali di riuso: veri e propri oggetti -talvolta rotti -che la gente buttava, compresi stumenti musicali, casse acustiche, l'americana per le luci, eccetera. Questo un po' per necessità, un po' anche per mandare un messaggio: che -così come avviene nell'arte -spesso cose che sembrano non valere nulla possono invece avere un grande valore.

AAJI: Che è poi coerente con storia e morale del disco.

M.O.: Infatti. Tanto che a voler chiamare il teatro così sono stati i miei "soci," anche loro musicisti sebbene non professionisti. Ci abbiamo lavorato tanto, portando via camionate di immondizia, ma adesso è bellissimo. L'abbiamo inaugurato ad Aprile: in due giorni abbiamo fatto mille persone e i video che abbiamo messo in rete dopo una settimana avevano 22.000 visite! Ma prossimamente lo terremo aperto quattro giorni a settimana, facendoci spettacoli non solo musicali e anche attività didattiche di un genere che nelle scuole di musica non ci sono. Per esempio, io sto cercando di impostare un'attività didattica nella quale non si usino partiture, oppure che siano realizzate dagli studenti stessi, perché ho capito che è un modo per stimolare la creatività. Purtroppo, nella mia attività prima di discente, poi di insegnante, mi sono accorto che nella scuola mancano cose importanti, spesso perché si crede che non serva insegnarle, oppure non si sa come farlo. Tra queste cose c'è la creatività. Ma in un momento come questo, nel quale i giovani non hanno molti stimoli o sufficienti opportunità per andare a sentire cose diverse, cose di qualità, il rischio è che tutti si appiattiscano sull'imitazione di quel che ha successo, senza tirare più fuori niente di proprio, senza spingersi mai verso il diverso e il nuovo. Invece noi proviamo a farli stare insieme e a far leva proprio sul fatto che ciascuno ha qualcosa da esprimere e lo può fare con i mezzi che ha in mano. La musica non è neppure il solo strumento: ci sono la pittura, la parola, il movimento, la scrittura. Per questo in teatro punteremo su spettacoli che abbiano tutte le contaminazioni immaginabili: il balletto che si unisce alla coreografia, ai filmati, e via dicendo. Quindi una scuola dove non ci sia da fare bene l'esercizio giusto, bensì ci sia da stimolare e mettere in moto la parte creativa degli studenti. Cioè quello che nelle scuole normali non si fa.

AAJI: Intanto i Sousaphonix sono andati avanti, sulla loro strada sempre piena di sorprese...

M.O.: Sta per uscire il nuovo disco, sì, stavolta è la sonorizzazione di un film di Buster Keaton e l'ho registrato quasi per caso durante un live al Torino Jazz Festival del 2014: si chiamerà Buster Kluster. Ci ho lavorato molto, ma credo che il risultato sia ottimo, anche grazie allo stesso Keaton, che nei film fondeva una parte teorica, una dinamica e una romantica, offrendo grandi opportunità a chi deve musicare la pellicola. Mi piacerebbe che il pubblico guardasse il film con la nostra colonna sonora e poi con quella originale, perché il film cambia, cambia molto -con questo non voglio dire che cambi in meglio, sia chiaro! Comunque, anche senza film il disco mi piace, vediamo quale sarà stavolta la risposta del pubblico.

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