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Paolo Fresu Quintet dal vivo per i 50 Anni Della Azienda Cifarelli
Voghera
19.06.2017
Per quali insondabili ragioni un quintetto jazz può rimanere in vita trentaquattro anni senza dare segni di stanchezza? La loro musica come può evitare di cadere nella routine, anche se è vero che negli ultimi anni gli ingaggi non sono numerosi come in passato? Come è possibile che il leader, pro captatio benevolentiae, si conceda un intermezzo parlato in cui racconta storie già note come se fosse la prima volta? Nel contempo come può un recensore, anch'egli dopo un trentennio, parlare dell'ultima apparizione del quintetto stesso senza cadere a sua volta nel già detto, senza dover ricorrere alla descrizione dei singoli brani o degli interventi dei vari strumentisti, che è proprio l'ultima spiaggia a cui egli può approdare se non ha nulla di meglio da dire? Domande tutt'altro che banali, che nello spazio di un breve resoconto possono trovare risposte solo molto parziali.
La prima spiegazione di tutto sta ancora una volta nella constatazione che ogni concerto è un evento irripetibile e unico per una serie infinita di ragioni collegate: per il circuito organizzativo che lo ha messo in piedi, per le situazioni ambientali e climatiche, per le condizioni acustiche del luogo e dell'amplificazione, per il tipo di pubblico che vi assiste e il modo con cui interagisce con i musicisti e con l'ambiente, per le mille problematiche o motivazioni extramusicali che ognuno (organizzatore, tecnico, musicista, spettatore...) porta inevitabilmente dentro di sé, senza riuscire a liberarsene di colpo.
Il concerto del Paolo Fresu Quintet in questione non era all'interno di un festival o di una rassegna musicale di una certa notorietà, non era nemmeno una di quelle occasioni di beneficenza di fronte alle quali il trombettista non si tira indietro... Si trattava invece dell'appuntamento di spicco all'interno dei festeggiamenti durati tre giorni che l'Azienda Cifarelli Spa ha organizzato a Voghera per celebrare i suoi cinquant'anni di attività. Nel 1967 la ditta, che progetta, produce ed esporta in tutto il mondo piccole e specialistiche macchine agricole, fu fondata dal capostipite Raffaele, che è anche un collezionista d'arte e si dedica alla pittura con una decisa personalità. Nel tempo l'azienda si è ampliata, anche perché al padre, sempre affiancato dalla moglie Rita, si sono aggiunti i figli: Renato, appassionato di blues, rock e fotografia, e Roberto, esperto di jazz, marito della cantante brasiliana Adi Souza e divenuto uno dei fotografi più conosciuti non solo in ambito jazzistico. Insomma in famiglia la sensibilità artistica non manca.
L'appuntamento del Fresu Quintet, che è stato inserito anche nel palinsesto della rassegna Le Forme dell'Anima, organizzata dall'Associazione culturale Progetto Voghera, nelle giornate del cinquantesimo anniversario della Ditta è stato preceduto da concerti di band rock-blues, nonché da un workshop di fotografia tenuto da Roberto Cifarelli.
In questo caso la descrizione del contesto inusuale è stata indispensabile, anche per introdurre un altro aspetto importante: l'amicizia che lega tutti i membri del quintetto ai componenti della famiglia Cifarelli. Si può capire quindi con quale spirito i musicisti siano saliti sul palco per dare corpo con generoso slancio a un concerto durato due ore precise.
Fra l'altro il tema della dedica e del segno d'amicizia non poteva mancare nell'intermezzo parlato di Fresu. In fondo era questa la nota eccentrica in una narrazione incentrata su fatti ormai ben noti (l'incontro a Siena Jazz fra Il trombettista e il pianista Cipelli, la genesi del brano "Fellini..."). Ma perché questa narrazione col tempo non perde la sua freschezza? Per una ragione molto semplice: Fresu, come altri suoi colleghi, affronta questi aneddoti come se fossero degli standard jazz, cioè improvvisando. La sua parola è caratterizzata da ritmo, soste, incertezze, ripetizioni, enfasi, affermazioni, dubbi, nonché dall'attenzione a non perdere l'occasione di sfruttare stimoli provenienti dal pubblico. In tutto questo il trombettista sardo è spalleggiato dall'atteggiamento di Cipelli, che con ironia ostenta insofferenza, suggerisce di tagliare, si alza dal piano e momentaneamente se ne va... mentre al contrario Tracanna, Zanchi e Fioravanti se ne stanno apparentemente indifferenti in attesa, con poche, marginali manifestazioni mimiche.
La musica infine. Iniziando da un particolare tecnico che dimostra ancora una volta l'unicità della performance musicale. Per la prima volta in assoluto Fresu ha suonato tutto il concerto con un bocchino nuovo, portatogli per l'occasione da Mattia Cigalini che li produce. Che sia da attribuire a questo, e non all'amplificazione come presumevo, la sonorità appena un po' leggera e velata della tromba che perveniva alla mia posizione in platea? Quanto al repertorio, il quintetto ne avrebbe a disposizione uno praticamente infinito; eppure quei quattro-cinque brani, fra cui una canzone famosa e una citazione di musica classica, da Monteverdi a Puccini, vengono riproposti spesso, anche per un'esigenza di varietà, di equilibrio e di punti fermi. I meccanismi dell'interplay, degli archi dinamici, delle sortite solistiche hanno funzionato al meglio, senza stanchezze o pedanterie, senza sfasature o interventi sopra le righe. Tutto sommato il concerto, tenutosi nel cortile dell'Azienda gremito forse di un migliaio di persone, venute anche da lontano, si è svolto nel segno di una distesa e partecipata colloquialità, costituendo la degna chiusura delle celebrazioni dell'anniversario.
Foto: Roberto Cifarelli.
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