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Open Papyrus Jazz Festival 2017

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Teatro Giacosa, Sala S. Marta e ZAC
Ivrea
23-25.03.2017

Edizione numero 37 della rassegna ideata da Sergio Ramella (più volte ricordato sul palco) e portata poi avanti da Music Studio e dal direttore artistico Massimo Barbiero, con un programma, riferendoci a quest'anno, decisamente invitante (cui diciamo subito che farà seguito il 1° aprile a Chiaverano, sempre interno al cartellone, un concerto del trio composto dallo stesso Barbiero con Maurizio Brunod, altro demiurgo dell'Open JF, e Danilo Gallo che ha prodotto nei mesi scorsi per Caligola l'interessante Extrema Ratio).

Si è partiti il 23 marzo in S. Marta con uno scoppiettante concerto del duo composto da Carlo Actis Dato alle ance ed Enzo Rocco alla chitarra, per proseguire nel pomeriggio del 24 (stessa sede) con la presentazione del romanzo di Aldo Gianolio Ottavio il timido, cui è seguita un'esibizione delle Voix qui Dansent, dieci signore che danno di piglio senza accompagnamento alcuno (salvo un breve momento, del tutto episodico) a canti tendenzialmente africani, nello specifico compresa una versione di "Summertime" in lingua beniniana e, come bis, il sardo "No potho reposare." Tutto molto bello e gratificante per l'orecchio, ma anche per l'occhio, vedendo come le cantanti si muovevano in scena ("voci che danzano," non a caso) nel loro elegante ed evocativo paludamento.

La sera al Giacosa si è partiti con un set solitario di Daniele di Bonaventura, il cui impagabile bandoneon ha attraversato tutto un folklore più o meno concreto e più o meno immaginario (pezzi suoi, un canto andino e uno abruzzese, tango e milonga, e musica liturgica, a partire dal celeberrimo "Adagio" di Albinoni) fissando il momento più alto della rassegna, anche per misura (non sempre condivisa dagli altri performers) e, comunque, charme, raffinatezza e capacità comunicativa.

A seguire è salito sul palco Quintorigo, il cui sassofonista (e portavoce) Valentino Bianchi ha subito precisato che non ci si sarebbe limitati, come da programma, a rivisitare il solo Frank Zappa (come nel CD cofirmato con Roberto Gatto, che non a caso ha raggiunto il quartetto romagnolo fin dal secondo brano), ma anche Charles Mingus ("Pithecanthropus Erectus," "Fables of Faubus...") e Jimi Hendrix ("Purple Haze," "Foxy Lady," Hey Joe..."). Solo strumentale la sezione mingusiana, vertice indiscusso del set, prima che i musici fossero raggiunti dal vocalist Alessio Velliscig, new entry del gruppo, presentato come un formidabile talento ma che più che altro, al di là di una sicura (e per certi versi sorprendente, vista la giovane età) padronanza della materia, ha mostrato un notevole ego (che magari il futuro gli calibrerà, o per contro gli accrescerà, chissà?), portando la performance su terreni fin troppo letterali e anche un po' chiassosi (da parte di tutti, ovviamente). Che senso ha, infatti, rileggere Hendrix o lo stesso Zappa con quella corporeità anche un po' greve, con archi che rifanno la chitarra elettrica più virulenta, invece che risciacquare un materiale pieno di genio alle acque di una potenziale nuova lettura di segno cameristico come l'organico consiglierebbe? Sì, Quintorigo si era espresso in passato su terreni ben più raffinati e sperimentali. Qui la cosa migliore (Mingus escluso, come si diceva) è stata la versione solo strumentale di "King Kong," brano del resto così alto di per sé da facilitare non poco il compito. Pubblico in buona parte in delirio, va detto, ma questo spesso fa parte del gioco quando si prendono certe scorciatoie (non nella durata, però, decisamente abbondante).

Pomeriggio del sabato con interventi (sempre in S. Marta) su Odwalla da parte di Davide Ielmini, firmatario del saggio che occupa il cuore del volumetto Tempus fugit, condito da belle foto di Luca D'Agostino e Davide Bruschetta, e Maurizio Franco, autore di osservazioni illuminanti sul gruppo, e subito dopo esibizione di quell'autentico folletto della voce (e tutti gli effetti ad essa potenzialmente connessi) che è Boris Savoldelli. Invitante anche l'aspetto esplicativo-propedeutico, che il pubblico ha mostrato di gradire senza mezze misure.

La serata conclusiva è partita col Devil Quartet, in cui Paolo Fresu (affiancato da Bebo Ferra, Paolino Dalla Porta e Stefano Bagnoli) convoglia la sua vena più estrinseca e diretta, e proseguita con l'oggetto dell'incontro pomeridiano, Odwalla, per l'occasione in versione più ridotta del solito: le sette percussioni canoniche, un'unica voce (Gaia Mattiuzzi), due danzatori (peraltro sempre pirotecnici e di grande effetto) e l'ospite Baba Sissoko, che a differenza di altri che l'hanno preceduto si è posto in un'ottica meno integrata nel contesto, occupando anche visivamente una posizione centrale (accanto alla Mattiuzzi) e agendo di conseguenza, se non occasionalmente, appunto da ospite. Il che non significa che il concerto non sia stato felice, come sempre capita per il gruppo di Barbiero e soci.

Poco da dire sui due dopo-spettacolo (24 e 25) allo ZAC, senonché, forse, il trio Hyper+ (Fazzini, Fedrigo e Colussi, di fatto l'XY Quartet without the vibes) meritava una collocazione meno dispersiva e (per loro) faticosa, adatta a gruppi più amatoriali e di fruizione più lineare (tipo la New Brass Jazz Gang, esibitasi la seconda sera). E con questo dovrebbe essere veramente tutto.

Foto: Barbara Torra

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