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Moldejazz Festival 2018

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Molde Jazz Festival
Molde, Norvegia
15-19.07.2018

Il festival jazz di Molde è il secondo più antico d'Europa —fondato nel 1961, lo precede di un solo anno il festival di Ljubljana la cui prima edizione risale al 1960 —e ancora oggi il più importante in Norvegia. È qui che Keith Jarrett e Jan Garbarek hanno mosso i primi passi per dar vita al quartetto europeo del pianista di Allentown, ed è qui che, prima ancora, Garbarek è entrato in contatto con il maestro di Cincinnati e grande ispiratore del jazz in Norvegia George Russell.

Quarta edizione diretta da Hans-Olav Solli e la domenica mattina, a festival appena concluso, per mano dell'editor Arild Ronsen il magazine del festival FireFlate titola: "The best festival ever?!." È il 22 luglio ed è una giornata che pesa come il piombo perché riporta la memoria al 2011 e alla strage di Utøya. Il clima è particolare e non certo euforico per cui c'è da fidarsi: è stata senza dubbio una gran buona edizione!

Come sempre il festival, oltre alla canonica programmazione del cartellone, ha un "Artist in Residence" attorno a cui ruota gran parte della programmazione (quest'anno la compositrice e arrangiatrice americana Maria Schneider), ma celebra anche una figura emblematica che ha contribuito alla notorietà del festival (quest'anno: il contrabbassista Arild Andersen) e ha, infine, il compito di lanciare alcuni giovani talenti emergenti norvegesi con il celebre premio biennale "Jazzintro," indetto dal Norsk Jazzforum, e la borsa di studio annuale dedicata al miglior giovane compositore, "JazZstipendiat."

Partiamo dai numeri di questa 58^ edizione: 28.000 biglietti venduti, 18 concerti esauriti e la vendita di biglietti in termini economici è la migliore dal 2009 e da ultimo, ma non meno importante, 550 volontari.

La programmazione, nel corso della prima settimana (di mia assenza), ha visto artisti "di grido." Americani: Hudson (John Scofield , Jack DeJohnette, John Medeski, Scott Colley), David Sanborn, Donny McCaslin , Robert Glasper with Terrace Martin, Stanley Clarke. Ma anche locali: Tord Gustavsen con il suo trio, la Trondheim Jazzorkester & The MaxX al loro debutto, Ytre Suløen Jazz-ensemble & Tricia Boutté Jazz Ensemble e il trio Gurls. Non mancavano le chicche non facili da trovare nei cartelloni di altri festival come gli Universal Indians with Joe McPhee, Allison Miller's Boom Tic Boom, e anche qualche divagazione pop: Van Morrison.

Artist in Residence

Il parere è stato unanime: Maria Schneider ha fatto un lavoro eccellente e ha lasciato un segno indelebile a Molde. Mi spiace aver perso il concerto di apertura con l'Ensemble Denada, con ospite Donny McCaslin e le musiche arrangiate per David Bowie, ritenuto da molti colleghi una delle vette più alte del festival. Ho però potuto assistere al sublime concerto di chiusura, nel duomo, con l'ensemble classico Trondheimsolistene e la soprano Eir Inderhaug di cui parleremo più avanti. Binomio riuscito, e sancito dal ringraziamento di Maria a tutti gli attori in campo nei sei mesi di gestazione del progetto.

Arild Andersen

Un gigante del jazz nazionale che oltre a essere un grade musicista rispettato e apprezzato in tutto il mondo è anche fonte d'ispirazione e mentore di una scena in costante crescita ed evoluzione. A lui è stato assegnato l'annuale premio Molderosen come già detto, in duo con Jan Erik Vold ha dato vita senza dubbio a un qualcosa di unico e per finire è stato ospite con Dave Holland in una delle conferenze organizzate a mezzogiorno dal critico e studioso Bjørn Stendahl.

Giovani Talenti

Un momento importante per il vivaio norvegese, che ha visto la giuria (composta dalla contrabbassista Ellen Andrea Wang, dai sassofonisti Mette Rasmussen e Kjetil Møster e dal pianista Jan Gunnar Hoff, e presieduta dal rappresentante del Jazzforum Øyvind Skjerven Larsen assegnare il premio di 200 mila corone norvegesi ai giovani musicisti jazz dell'anno, oltre alla sovvenzione Gramo di NOK 150.000 corone norvegesi al trio in arrivo da Trondheim (tutti ventenni) "I Like to Sleep" (preso da una citazione di Thelonious Monk) composto da Amund Storløkken Åse (vibrafono —figlio d'arte —suo padre è il tastierista e compositore Ståle Storløkken e sua madre la vocalist Tone Åse), Nicolas Leirtrø (chitarra baritona) e Øyvind Leite (batteria).

Al giovane pianista Alf Hulbækmo (26 anni —fratello di una giovane stella, il batterista Hans) è invece andato il milione di corone del "JazZstipendiat," una borsa di studio che gli consentirà di scegliere i membri della Trondheim Jazz Orchestra con cui lavorare per un anno e con cui comporre un'opera che sarà presentata in prima assoluta alla prossima edizione del festival.

Veniamo però alla musica del secondo weekend:

Paal Nilssen -Love XL Unit, Ethiobraz Edition

Inizio col botto (al mio arrivo) con il tellurico Paal Nilssen-Love, presente con la sua formazione Paal Nilssen-Love Large Unit in una forma XXL. Una vera band che lungo il percorso di anni è entrata in contatto con altre realtà e altre culture, e ha cercato di far proprie quelle che di più l'hanno segnata: l'Etiopia e il Brasile innanzi tutto. È così che, ai tredici elementi di base, se ne sono uniti un'altra decina per una prima una variante XL targata Etiopia: Melaku Belay, Zenash Tsegaye (danza), Nardos Tesfaye (voce), Fasika Hailu (krahr), Habetamu Yeshambel (masingo), Mesay Abebaye (kobero), e altri non annunciati...

A dare il la è la voce di Nardos Tesfaye, e via via sono gli altri membri a farsi largo in una performance a cavallo tra danza e canzone tradizionale, free e ethiojazz. Abbastanza inusuale, oserei dire, per i Large Unit: difficile darne una lettura chiara e comprensibile non conoscendo il background umano e geografico dei nuovi innesti, ma senza dubbio è una performance di grande effetto e presa emozionale, e i diversi strati culturali sono molto ben coagulati. Poi, d'improvviso, tra gli spalti, appare un musicista brasiliano che in cammino verso il palco si cimenta con un solo di berimbau, con lui un paio di altri musicisti, sempre brasiliani. È così che il registro etnico si amplia e si sposta in Sud America. Ed è così che si assiste a una sorta di contrappunto etnico-free in cui la stella della danza etiope Melaku Belay (band Fendika) prende il centro della scena a lungo integrandosi e/o alternandosi con la band Large Unit e il trio brasiliano, fino a che non arriva l'ultimo ospite della serata: il guastatore Terrie Ex che scombina ulteriormente le carte con le sue scorribande.

Maria Schneider —Trondheimsolistene con Eir Inderhaug

Maria Schneider ha concluso la sua residenza con uno dei migliori concerti visti al festival, complice anche la location, il Duomo di Molde. Due lunghe suite di canzoni a cavallo tra jazz, classica contemporanea e musical, entrambe pubblicate nell'album Winter Morning Walks del 2013, e composte per la soprano Dawn Upshaw. Si inizia con la suite Carlos Drummond de Andrade Stories, basata su traduzioni inglesi di testi del poeta brasiliano: cinque serie dal sapore melodrammatico. L'ensemble d'archi Trondheimsolistene è uno dei più prestigiosi e qualificati in Norvegia e anche la voce soprano di Eir Inderhaug gode di ottima reputazione: in effetti tutto risulta incredibilmente potente, vivido; non ci sono sbavature e l'impressione è che tutto riesca con naturalezza: non è un caso che abbiano deciso di saltare l'ultimo giro di prove. Per questa prima suite la pianista Olga Konkova, russa di stanza a Oslo, è l'unica musicista jazz. Per la seconda suite l'ensemble si riduce ai soli archi e vede l'ingresso dei solisti jazz Per Mathisen al contrabbasso e Atle Nymo al sassofono, che proseguono con nove brani di Winter Morning Walks, scritti su testi di Ted Kooser. Arrangiamenti molto belli e raffinati in entrambe le suite, un'esecuzione impeccabile, una musica eccitante... Esco rapito e sognante per raggiungere i Motorpsycho. È quasi mezzanotte e c'è ancora ancora luce, a Molde.

Motorpsycho

Non poteva esserci miglior chiusura per questa 58^ edizione del Festival! I Motorpsycho sono una (rock) band di culto in Norvegia che, da sempre, ha un ruolo speciale anche per la scena jazz nazionale, e che ha fatto la fortuna dello storico club Blå a Oslo grazie alle collaborazioni con Jaga Jazzist, Supersilent e in anni più recenti del chitarrista Snah con la band Bol&Snah. Per questa occasione il trio ha ridotto abbondantemente il muro di casse a loro dedicate e si è cimentato con due degli elementi più rappresentativi dell'attuale scena di Trondheim: il violinista Ola Kvernberg e il polistrumentista Kristoffer Lowe (ex Pelbo).

Avvio di concerto con una versione della hit "Un Chien" a cavallo tra ambient e industrial, che finisce poi per sfociare in un autentico inno al rock, con una durata complessiva (del solo primo brano) di quasi tre quarti d'ora. Repertorio interamente targato Motorpsycho con impasti timbrici impreziositi dall'incontro con mellotron, violino, voci, bombardino dei due ospiti. La sala è strapiena e le porte sono aperte: il pubblico entra ed esce liberamente e c'è aria da festa di chiusura del festival.

Jan Erik Vold & Arild Andersen

L'incontro tra due grandi della prima età dell'oro del jazz in Norvegia (primi anni Settanta) e che ancora oggi mantiene una sua freschezza. Vold ha una particolare propensione al fraseggio musicale nella narrazione mentre Andersen, mutuando le tecniche di campionamento impiegate nell'album Elektra, rilegge Duke Ellington e rivisita parte del suo repertorio più recente in perfetta sintonia con la narrazione. Testi spesso divertenti che trascinano il pubblico in risate fragorose in una sala letteralmente stipata.

The big Yes!

Una band tutta nuova messa in piedi da un giovane musicista norvegese tra i più interessanti: Christian Meaas Svendsen (contrabbasso). Ad affiancarlo, la sassofonista svedese Anna Högberg, la trombonista danese Maria Bertel e il batterista noise norvegese Ole Mofjell. Una lunga suite ispirata alle sonorità dell'universo marino: scorribande free che ci proiettano nel bel mezzo di una tempesta in mare aperto, tra il canto delle balene, i versi degli elefanti marini e di altri soggetti della fauna marina. Svendsen, come sempre, sfoggia tecnica e sperimentazione nell'esplorare il suo strumento affiancandolo a tratti alla voce gutturale. Ma a colpire è Maria Bertel che, tra pedali e trombone, sprofonda nelle tenebre con registri bassi, toccanti e inusuali: sua, senza dubbio, la voce della balena. Mofjell è un martello infaticabile mentre Högberg è l'unica a veleggiare su registri acuti: forse il fischio del vento, o uno stormo di uccelli impauriti. Qua e là alcuni elementi classici e codificati dell'improvvisazione radicale. Nel complesso, una performance bella, intensa, con diversi spunti di interesse e freschezza. Molti i giovani tra il pubblico dello Storyville.

Trondheim Voices: Folklore

Nove vocalist di grande spessore (Sissel Vera Pettersen , Anita Kaasbøll, Tone Åse, Kari Eskild Havenstrøm, Natali Abrahamsen Garner, Siri Gjære, Heidi Skjerve, Torunn Sævik, Ingrid Lode) in abiti sacerdotali si sono cimentate con composizioni di Ståle Storløkken e Helge Sten (entrambi Supersilent) con risultati potenti ed emozionanti, grazie anche al mago del suono Asle Karstad e alle luci fantastiche di Ingrid Skanke Høsøien. Partenza in sordina con due brani un po' lenti (la scrittura di Ståle Storløkken impiega le voci come un organo da chiesa) e forse troppo lunghi, visto che qualcuno nel pubblico si scoraggia. Strada facendo, però, la performance acquista vigore e si fa appassionante, forte e toccante. Giocata su sfumature e guizzi costanti tra il canto gregoriano sussurrato e l'uso di bordoni noise, campanelli e poco altro, retta da una tecnica davvero ragguardevole, induce il pubblico all'attenzione: orecchie tese a cogliere ogni alito e sfumatura. L'ensemble ha da poco pubblicato l'album Rooms and Rituals (Grappa Records) ma questo nuovo progetto è un qualcosa di totalmente diverso da tutto quanto fatto fino ad oggi: buona la prima!

Cross Currents Trio —Dave Holland, Zakir Hussain, Chris Potter

Una performance di tre grandi professionisti pianificata in ogni dettaglio. Si tratta di tre virtuosi dei rispettivi strumenti e il trio è un'apparente "novità assoluta": in verità, è il frutto del precedente progetto Crosscurrents, ampliato con la voce di Shankar Mahadevan, altri musicisti indiani e collaborazioni incrociate. Hussain è senza dubbio un talento, frequenta la scena jazzistica internazionale da tanti anni e sa riempire la scena con fare funambolico. Nella seconda parte del concerto, prende la parola per omaggiare prima l'India e i suoi maestri, con "Suvarna," e poi il chitarrista John McLaughlin, suo sodale nel progetto Shakti nei primi anni Settanta, con "Jbhai" (Fratello John). Il trio offre ampio spazio all'improvvisazione, ma al tempo stesso è controllato (troppo controllato), e ha un interplay ammirevole. Il tutto però, per quanto ben fatto, sembra a tratti costruito, artefatto, pronto per una registrazione in studio.

Mathias Eick Quintet

Mathias Eick è molto glamour e sorridente, la sua musica divertente e piacevole. Ha una band di musicisti eccellenti e molto affiatata. La padronanza dello strumento e notevole, come pure la capacità di lavorare sulla melodia, ma il risultato è fin troppo prevedibile e non riesce mai ad andare oltre il semplice "piacevole." Il pubblico ha molto apprezzato il set tratto in larga parte dall'ultimo album Ravensburg (ECM Records, 2018) ispirato alle origini tedesche della nonna, come pure qualche hit più datata come "Oslo" ( Skala , ECM Records, 2011) o "At Sea" ( Midwest, ECM Records, 2015).

Artist in Residence 2019

E poi il sabato mattina il direttore artistico ha annunciato l'artista in residenza per il prossimo anno: l'iperattivo batterista norvegese Gard Nilssen (Acoustic Unity, Cortex, Bushman's Revenge, sPacemoNkey, Puma, ecc.). Possiamo immaginare un ottimo progetto e concerti per il prossimo anno!

Molde ha mantenuto anche quest'anno un suo fascino grazie a un'edizione per nulla scontata e dall'elevato livello qualitativo grazie anche a un clima eccezionalmente soleggiato -assai raro da queste parti -e ha avuto giustamente un ottimo riscontro di pubblico.

Foto: Luca Vitali

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