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Moldejazz 2009

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Molde - Norvegia - 13—18.07.2009

In Norvegia, paese di soli 4,5 milioni di abitanti, Moldejazz è stato - nel 1961 - il primo festival jazz di una tradizione che oggi ne vanta quasi 30. La cittadina che ospita il festival, 25.000 abitanti nel bel mezzo del fiordo scandinavo, offre uno scenario incantevole. Oltre al mare, alle casette di legno e alle cascate, a farsi notare sono il balzellare a pelo d'acqua, in mezzo al mare, dell'Atlantic Road, e le viste mozzafiato della tortuosa Trollstigen, incastrata tra le 222 montagne circostanti.

Il festival, giunto alla 49^ edizione, ha reso omaggio ad Arve Henriksen con una residenza che lo ha visto coinvolto a tutte le ore del giorno in concerti, workshop e conferenze (Per leggere l'intervista e saperne di più su Arve Henriksen clicca qui).

In passato anche Harvard Wiik e Paal Nilssen sono stati "artist in residence" qui a Molde, ma in genere si sono scelte stelle internazionali come Chick Corea, Pat Metheny, Marilyn Mazur, ecc.

Moldejazz non sembra risentire di crisi finanziarie internazionali e anche quest'anno ha proposto una programmazione di grande quantità, qualità e varietà. Sei giorni di festival, più di 70 concerti, stelle locali e internazionali che si sono esibite in ben 14 differenti luoghi.

Arrivato a festival iniziato mi sono perso purtroppo diverse cose di sicuro interesse: Cecil Taylor in piano solo, Otomo Yoshide 6et con Mats Gustafsson, il trio della giovane Mary Halvorson, Joshua Redman e Tomasz Stanko con il nuovo "Nordic Quintet" - in uscita per l'autunno su ECM. Ma anche una bella rappresentanza della scena locale, Atomic, The Thing, il trio di Maria Kannegaard, Bugge Wesseltoft, Kim Myhr e la Trondheim Jazzorkester.

Arve Henriksen ha avuto l'opportunità di mettere a fuoco un'immagine nitida e composita della propria poetica: i paesaggi sonori di Cartography l'estemporanea improvvisazione nel duo con Marilyn Mazur (artist in residence dello scorso anno), folk e atonale colta con il quartetto di Christian Wallumrod, la tradizione Dixieland con Ytre Suløens Jass-ensemble, i divertenti workshop per giovanissimi, ma anche il legame forte con la natura di "Break of Day in Molde," alle 7 del mattino nel parco, le sonorità esplosive e distorte interamente improvvisate di Supersilent per arrivare al finale solenne con il Trio Mediaeval nel duomo.

Particolare attesa per la prima uscita di Supersilent senza Vespestad alla batteria. Cambio d'assetto che mette in luce vena improvvisativa, originalità timbrica e inventiva del tastierista Ståle Storløkken al punto da farlo diventare, oggi, vero leader. Henriksen molto concentrato cerca una nuova dimensione e dopo un avvio alla tromba si cimenta sempre più alla batteria. Drumming più esplosivo e convulso che lascia presagire un cambiamento futuro, in attesa del quale si annuncia l'uscita del vol. 9 entro l'anno.

"Break of Day in Molde" - al termine di un festival che ha vissuto in gran parte di notte - è stata un'autentica esperienza, e l'anfiteatro, situato nel bel mezzo del parco, alle 7 del mattino era gremito in ogni ordine di posto. Ad affiancare il leader erano Jon Balke alle tastiere, il percussionista Terje Isungset, il violoncellista Henryson Svante e la danzatrice Teresa Skauge. Composizioni di Balke/Henriksen e poesie di Elling Vanberg (dal nuovo disco che Henriksen ha pubblicato per la NORCD), musica contemporanea di grande suggestione che nel finale ha mostrato una personalità meno algida di Henriksen, che ha interagito col pubblico con ilarità.

Finale nel duomo: le voci del Trio Mediaeval incantano il pubblico mescolando folk medievale e musica sacra al profano di Storlokken, che improvvisa all'organo con potenza e impatto del tutto inusuali per una chiesa. Accostamenti timbrici e fraseggi di grande delicatezza in cui i campionamenti di Bang si incastonano come gemme.

Ma il festival non è stato solo residenza e ha mostrato belle conferme e sorprese.

Particolarmente ispirato Mathias Eick alla guida del suo quartetto, Erlien, Ulvo e la new entry Torstein Lofthus (Elephant 9 e Shining). Set effervescente fatto di sonorità dilatate e ben calibrate sempre molto glamour, ma anche tanto groove ed energia, assai più convincente del disco (The Door). Bel feeling e maggiore concentrazione sulla tromba del leader, che abbandona le percussioni e le lascia al tellurico Lofthus, il quale sembra una locomotiva, sostiene la band e la proietta in una dimensione meno eterea... La band migliora ogni giorno di più.

Tutt'altre atmosfere per Huntsville - Ingar Zach alle percussioni, Ivar Grydeland alla chitarra e Tonny Kluften al basso elettrico. Impasti timbrici molto ricercati che giocano come sempre tra minimalismo e sonorità provenienti da varie parti del mondo, paesaggi sonori basati principalmente sull'improvvisazione.

Tabla e shruti box innestati in un contesto strumentale del tutto inusuale, chitarra, banjo e batteria... Poliritmie, brevi melodie e creatività improvvisativa che ipnotizzano la platea per tutta la durata della prima suite, per poi dissolversi nella seconda parte. Il trio si fa più ripetitivo con qualche banalità di troppo, eccedendo soprattutto nella durata.

Bella prova di Mario Pavone e il suo double tenor quartet. Dopo aver collaborato con Bill Dixon negli anni '80 e Thomas Chapin nei tardi anni '90, da tempo ha avviato a una carriera da leader di tutto rispetto. Formazione audace in cui il trio - costituito dal leader, Peter Madsen al piano e Gerald Cleaver alla batteria - crea un background ideale per i due sax tenori in prima linea, Tony Malaby e Jimmy Greene. Con attenzione e rigore Pavone è riuscito a organizzare al meglio due fiati che interagiscono con libertà e apertura, costruendo momenti di febbrile animazione.

Big band da attacco la Crimetime Orchestra, una sorta di collettivo free costituito da dieci elementi molto dotati e ispirati - due batterie Paal Nilssen-Love e Per Oddvar Johansen, due bassi elettrici Ingebrigt Haker Flaten e Mats Eilertsen, tre sax Vidar Johansen, Gisle Johnsen e Kjetil Moster, Øyvind Brække al trombone, Sjur Miljeteig alla tromba, Sofie Tafjord al corno francese, Stian Westerhus alla chitarra e Christian Wallumrød alle tastiere - pura nitroglicerina organizzata.

La musica? Immaginate cosa sarebbe potuto accadere se Miles Davis, all'epoca di Bitches Brew, si fosse innamorato dell'improvvisazione collettiva ispirandosi ad Ascension di Coltrane - torbide sonorità elettriche, funky e percussioni che si fondono con la libera improvvisazione e caos organizzato... musica d'assalto, vere e proprie cascate sonore rigogliose e dense di emozione.

Finale effervescente con l'atteso ritorno di Jaga Jazzist che, dopo lunga assenza, avevano annunciato il nuovo disco registrato a Chicago e in uscita quasi certamente a inizio 2010, stando a quanto ci dice Lars Horthveth. Formazione

un po' rimaneggiata ma che vede confermato il nucleo Horntveth - Lars, Martin e Line - assieme a Mathias Eick, Stian Westerhus e alcuni nuovi elementi. Prima assoluta per il nuovo repertorio, avvio scoppiettante in cui è il drumming ribollente di Martin a polarizzare l'attenzione del pubblico. Musicalmente le sonorità sono sempre più rock, come nel precedente album What We Must, sempre più Jaga e meno Jazzist. Ora il sound predilige crescendo e riff rock agli arrangiamenti orchestrali che Lars Horntveth riserva sempre più ai lavori da solista (Pooka e Kaleidoscope). Senza dubbio tra le cose più attese al festival: attesa ampiamente ripagata. Bel sound pieno di adrenalina, atmosfere groovy che emanano energia e confermano le promesse degli esordi adolescenziali: oggi possono contare su una maggiore esperienza sul piano strumentale e su una maggiore padronanza del palco, meno stupore ma gioia e divertimento puro...

Un'ora di nuove composizioni tra le cui pieghe si sono ascoltati alcuni cavalli di battaglia, interamente riarrangiati, per un set di un'ora mezza circa che ha trascinato un pubblico in visibilio...

In generale la programmazione del festival è stata intensissima e sul palco si sono avvicendate tante altre stelle, come Richard Galliano, Bik Bent Braam, Mingus Dynasty, Maja Ratkje con Joëlle Leandre e Marilyn Crispell, Han Bennink e un gruppo di musicisti più propriamente pop che però, grazie a una collocazione ben delimitata nel bel mezzo del parco in cima alla collina, ha potuto raggiungere affluenze da capogiro (fino a 11.000 persone) senza per questo arrivare mai collidere con la sezione jazz, ma anzi integrandosi con essa al meglio: Jamie Cullum, Raphale Saadio, Timbuktu, Madcon, ma soprattutto Leonard Cohen che ha letteralmente fatto impazzire il pubblico sulle note di "Suzanne" e "Hallelujah".

A questo punto, all'indomani della 49^ edizione del Moldejazz festival, non resta che attendere l'anniversario della 50^ edizione, cui il direttore artistico Jan Ole Otnæs starà, ne siamo certi, già lavorando.

Foto di Luca Vitali

Ulteriori immagini di questo festival sono disponibili nella galleria immagini.


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