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Milford Graves al Centro di Ricerca Musicale di Bologna

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Milford Graves -"Cell Melodies"
Centro di Ricerca Musicale
Bologna
07-09.11.2016

Un evento unico. Un incontro fra musica e scienza nel segno di più generali connessioni universali dai risvolti quasi mistici. Una full immersion di tre giorni per presentare e verificare esperimenti sulle diverse risposte delle cellule staminali a differenti stimoli musicali. Si è trattato di "Cell Melodies," presentato da VID art/science in coproduzione con Angelica -Centro di Ricerca Musicale e il Conservatorio G.B. Martini di Bologna. È stato anche un evento straordinario sotto il profilo dell'affluenza del pubblico: per ragioni in parte insondabili ognuna delle tre sere si è verificata una fila di mezz'ora per riuscire a entrare e all'interno le navate laterali del Centro, che ha sede nell'ex chiesa di San Leonardo, erano stipate di pubblico in piedi. Sarebbe bello se anche gli altri concerti di Angelica avessero altrettanto successo!

Il mio resoconto non pretende di avere un'oggettività scientifica; anzi per forza di cose non può che essere inesatto e soggettivo nell'illustrare cosa è successo. Ma cerchiamo di procedere con ordine.

Maestro di cerimonie del singolare e articolato avvenimento è stato il Professor Carlo Ventura, che a più riprese ha spiegato come le cellule sono in relazione fra loro, si sollecitano reciprocamente, vibrano e si percepiscono; come può capitare a un moscerino, una mosca e una zanzara impigliate sulla superficie elastica di una ragnatela. Esse sono sensibili anche a sollecitazioni esterne, a campi magnetici o gravitazionali, a emozioni da stress o eustress; quindi sono sensibili anche agli stimoli musicali. Esperienze di laboratorio hanno dimostrato che le cellule così sollecitate hanno la capacità di emettere luci e suoni percepibili al microscopio. Da qui il discorso si estende alle possibilità terapeutiche, in quanto "l'arte -come si legge sul programma di sala -si rivela strumento capace di orientare il destino e le capacità rigenerative delle cellule staminali umane adulte."

Dal 2011 Ventura ha intrapreso un fitto rapporto epistolare con Milford Graves, che, oltre ad essere dagli anni Sessanta quello sconvolgente innovatore dell'arte batteristica che tutti conosciamo, negli ultimi quarant'anni si è dedicato alla ricerca scientifica, insegnando fra l'altro Musico-terapia al Bennington College, il medesimo in cui lavorava Bill Dixon. Nel 2005 la città di New York gli ha assegnato un premio per le sue ricerche sulla conversione dei battiti cardiaci in musica, più precisamente non in ritmi ma in pattern melodici. Graves svolge quindi anche un'attività di terapeuta e la collaborazione con Ventura è tesa appunto a sperimentare gli effetti di tali pattern sull'attività micro-cellulare. Un video proiettato nella prima delle tre serate ci ha presentato appunto Graves nella sua casa-laboratorio-museo alle prese col suo cuore e con una serie di computer per trarre un flusso di sonorità armoniche.

Oltre alle spiegazioni di Ventura, cosa è avvenuto sul palcoscenico del Centro di Ricerca Musicale? Quali i protagonisti, gli obiettivi e gli esiti? Al centro della scena campeggiava un'installazione multimediale elaborata da Julia von Stietencron e Chizu Kobayashi: una tensostruttura bianca in fibra tessile, elastica e mobile, che costituiva un'immaginifica traduzione simbolica nello spazio della struttura delle cellule. Su di essa, e nella volta della sala, venivano proiettate le immagini colorate in continuo movimento. Infatti sul palco c'erano altri due attori indispensabili: un microscopio, che registrava in diretta le variazioni alla musica da parte delle cellule disibernate del tessuto grasso di una placenta, e un computer azionato da Daniele Gullà, un collaboratore di Ventura, che tramite un sistema di Hyper Spectral Imaging elaborava le sollecitazioni provenienti dal microscopio stesso.

Ed ora veniamo alle performance, musicali e non solo. La prima sera il set di Milford Graves ha confermato la sua impostazione, che sintetizza in modo personalissimo insegnamenti tratti da varie culture africane e orientali. L'indipendenza dei suoi arti, l'anomala impugnatura delle bacchette, il procedere secondo un respiro naturale e un alternarsi della concentrazione di energia gli permettono di costruire una poliritmia satura e mutevole, dal sapore ancestrale e dal fascino coinvolgente. Anche la sua voce è intervenuta, inserendosi con grida e melismi derivati anch'essi da culture lontane.

La sera successiva il concerto è stato aperto da Gianni Gebbia, che al soprano ha praticato una ricerca su cellule sonore di volta in volta mirate, forzando le possibilità espressive dello strumento con un effetto narrativo concentrato e sospeso al tempo stesso. A un certo punto si è inserito il drumming perentorio e debordante di Graves e il non lungo dialogo improvvisato fra i due si è sviluppato quasi in contrapposizione, tenendo distinti i ruoli fra figura (le frasi del sopranista) e sfondo (il magmatico tessuto tramato dal batterista).
Totalmente diverso l'ambito sonoro e musicale perseguito da Nicola Baroni, che al violoncello e all'elettronica ha messo in campo una composizione istantanea e interattiva dagli andamenti corruschi e introspettivi. Gli si sono parzialmente sovrapposte le movenze contratte ed ermetiche del danzatore butoh Yuri Dini.

Nell'ultima serata, alle cellule del microscopio hanno parlato i suoni e i ritmi intrecciati di un ensemble di percussioni formato, dopo due pomeriggi di workshop con Milford Graves, da una decina di allievi del Conservatorio: "un esperimento dal vivo per vedere se le cellule staminali, oltre a rispondere al suono di un singolo artista, siano anche in grado di percepire ed elaborare una partitura complessa prodotta da un ensemble di musicisti." Le onde sonore del collettivo, in parte guidato da Graves, hanno espresso diversi gradi di coagulazione, enfasi e integrazione.
Infine con l'esibizione di Alessandro Bergonzoni la vibrazione del suono si è fatta narrazione verbale, con una grande carica surreale e di protesta, oltre che comica.

Tutte queste espressioni musicali e verbali hanno prodotto diverse reazioni da parte delle cellule e quindi differenziate elaborazioni visive, proiettate istantaneamente in veloce movimento. Accensioni di colori violenti, fasci di minute scintille crepitanti, macchie globulari si sono alternate a fasi più grigie e piatte. Ma non è finita. Dopo ogni esibizione un intervento di Daniele Gullà sintetizzava cosa era successo alle cellule, enucleando su uno schermo i momenti più significativi, tramite grafici, spettri visivi e sequenze di immagini fisse.

Un'impressione personale sul complesso di Cell Melodies? Si è trattato senza dubbio di un'esperienza insolita, dalle varie connotazioni e chiavi di lettura, che però mi ha lasciato qualche dubbio. Non tanto per i diversi approcci artistici, che ho molto brevemente riportato, quanto piuttosto per quello che riguarda gli scopi e gli esiti della spettacolarizzazione in chiave divulgativa di questo tipo di ricerca scientifica. L'esposizione è risultata un po' troppo ridondante, poco pragmatica, con un linguaggio immaginifico e visionario, quasi ad auspicare una proiezione utopistica della ricerca stessa, in contrapposizione al sistema della medicina ufficiale; senza per altro riuscire a chiarire gli eventuali o reali sbocchi terapeutici di questo metodo di rigenerazione delle cellule.

Foto: Paolo Zanotti

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