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Metastasio Jazz 2014

Metastasio Jazz 2014
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Teatro Metastasio e Teatro Fabbricone
Prato
13.02, 27.02 e 03.03.2014

Seguendo la consuetudine degli ultimi anni, anche l'edizione 2014 di Metastasio Jazz—la rassegna pratese diretta da Stefano Zenni—si è articolata su tre date: un numero non ampio, ma sostanziato da proposte di altissimo livello.

Il primo appuntamento, il 13 febbraio al Teatro Fabbricone, ha visto di scena Silvia Bolognesi con il suo Open Combo, che ha festeggiato per l'occasione i dieci anni di attività. Il programma prevedeva perlopiù brani tratti dall'ultimo CD, datato 2009, Large più altre composizioni tra le quali spiccava una lunga suite in più parti, momento particolarmente alto del concerto perché esemplificava le molteplici possibilità di un organico costantemente pronto ad avventurarsi nelle più diverse direzioni.

La caratteristica del Combo—oggi composto da otto musicisti—è quella di scomporsi e ricomporsi ripetutamente nel corso di ciascun brano, affidando parti solistiche e finanche di parziale direzione della musica ora a questo, ora a quel suo membro, cosa che comporta frequenti cambi di atmosfera e suono, pur nella permanenza di una cifra improntata alla ricerca e alla libertà. Cifra che la Bolognesi ha definito nella sua dedica—assai commossa ma semplice e priva di qualsiasi retorica—ad alcuni grandi del passato cui far sempre riferimento: Yusef Lateef, Butch Morris (di cui ricorreva proprio quel giorno il compleanno) e John Tchicai.

Difficile descrivere le direzioni di una musica come quella del Combo, improntata a libertà e costante cangiamento, così come indicarne i principali protagonisti—come ha detto in modo divertito la Bolognesi, con questi musicisti si ha la tentazione di gettare sulla carta delle manciate di note a caso, tanto suonate da loro sarebbero belle lo stesso. Certo nell'organico "pesano" senz'altro molto il vibrafono di Pasquale Mirra e il trombone di Toni Cattano (non caso colonne anche di un'altra splendida formazione della Bolognesi, Almond Tree), così come le ance di Piero Bittolo Bon. Ma, come detto, anche gli altri protagonisti Cristiano Arcelli e Rossano Emili alle ance, Andrea Melani e Simone Padovani alle percussioni—vi svolgono funzioni essenziali a un lavoro che trae linfa dalla diversità.

Una parola a parte per la contrabbassista senese, in tutti sensi anima della formazione: bravissima per tecnica, suono e comunicativa sul suo strumento, tangibilmente leader del gruppo, al quale dettava tempi e direzioni che talvolta sorprendevano non solo gli spettatori ma anche i protagonisti, ideologa del progetto anche quando non autrice in prima persona delle composizioni. In breve: un'artista completa e di valore assoluto.

Complessivamente, la prima serata del festival ha offerto grande soddisfazione a tutto il vasto pubblico e ha anche permesso di poter pensare con orgoglio che per sentire musica viva, inaudita, stimolante e coinvolgente non è necessario andare in cerca di nomi esotici: basta guardare ai nostri musicisti più seri, appassionati e coraggiosi.

Due settimane dopo, sempre di lunedì ma stavolta al Teatro Metastasio, è andato in scena il quasi inedito duo di Michel Portal e Antonello Salis.

Molto diversi quanto a stile sia gestuale—frenetico e irrequieto l'italiano, compassato ma con scoppi di entusiasmo il francese—sia d'abbigliamento—Salis come al solito in colorata tenuta "da mare," Portal invece in sobrio anche se non convenzionale abito nero—i due non sono tuttavia sembrati aver stretto sodalizio a caso: entrambi, infatti, si contraddistinguono non solo per l'intensità dell'approccio emozionale alla musica e ai rispettivi strumenti, ma anche e soprattutto per l'inclinazione verso modalità di ricerca anche estreme—in forma più anarchica Salis, in foggia più composta ma non per questo meno ardita Portal.

L'alchimia tra queste personalità artistiche ha prodotto un concerto forse un po' breve—poco più di un'ora, ma non va dimenticato che Portal non è più giovanissimo—ma molto denso, nel corso del quale i due hanno esplorato tutti i possibili setting strumentali, mescolando piano e fisarmonica con clarone e sax soprano, interagendo fondamentalmente in modo improvvisato, pur lasciando emergere qua e là tracce tematiche.

Si sono così avvicendati momenti di lirismo e passaggi caotici, duetti delicati e duelli fragorosi, spazi d'assolo torrenziale e interstizi più poetici, in modo che, alla fin fine, si potrebbe sintetizzare il concerto dicendo che ha offerto ciò che dai due era ovvio aspettarsi—un elaborato lavoro di ricerca sui suoni nel quale il roboante flusso delle tastiere di Salis si mescolava al più intellettualistico e ricercato suono delle ance di Portal—senza tuttavia che in nessun momento della performance fosse mai scontato dove si sarebbe andati a parare. Un equilibrio "contraddittorio," questo, che è l'essenza della musica improvvisata.

Volendo trovare il pelo nell'uovo si potrebbe forse dire che la verve di Salis ha talvolta soffocato un po' il più raffinato lavoro di Portal, una cosa evidenziata dal primo bis: una splendida versione di "Lonely Woman" per soprano suonato sopra la cassa del pianoforte per avvalersi degli armonici, mentre Salis "rumoreggiava" con sacchetti di plastica e aggeggi vari, nella quale veniva valorizzato il maggiore spazio di espressione (e di ascolto) offerto a Portal. Ma, appunto, si tratta solo di un dettaglio in un concerto d'eccellenza.

Lunedì 3 marzo, sempre al Metastasio, serata conclusiva con sold out per il trio di Brad Mehldau con Larry Grenadier al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria, ovvero una delle formazioni di maggior successo (di critica e di pubblico) oggi al mondo.

Mehldau è musicista di grandissima classe dal quale è sempre lecito attendersi di tutto e il suo trio è tanto un classico, quanto una profonda rilettura della classicità della formazione, con espliciti riferimenti a Bill Evans. Ma proprio questo si rivela il limite del gruppo, che rischia talvolta di essere prevedibile. Il concerto pratese ha tutto sommato confermato, nel bene e nel male, le aspettative.

Il programma, che ha incluso sei brani più due acclamatissimi bis, prevedeva composizioni di Mehldau e un paio di standard. In avvio, su tempi lenti, il pianista ha sfoggiato la sua maestria alla tastiera e i suoi stilemi d'ispirazione classico-romantica, con arpeggi elaborati, pause prolungate, rapidi e nervosi cambi di direzione: pur con qualche leziosità, tutto molto apprezzabile. Notevole l'apporto di Ballard, pronto ad assecondare il corso delle elaborate meditazioni di Mehldau, un po' deludente il contributo di Grenadier, forse penalizzato da uno strumento che non è sembrato all'altezza.

A seguire un paio di brani su tempi più veloci, maggiormente caratterizzati ritmicamente (uno anche dai richiami caraibici), che hanno contribuito a non appesantire l'atmosfera sul versante classicheggiante e hanno messo maggiormente in luce le qualità della ritmica. Quindi, dopo un altro brano lento tipicamente a là Mehldau, l'ultimo pezzo, bellissimo ed esplosivo: avviato con arpeggi classici del piano, fatto decollare da un lungo e splendido assolo intriso di blues di un Grenadier finalmente in primo piano, infine proseguito da un solo di piano forse un po' compiaciuto ma comunque notevole esempio delle enormi possibilità di Mehldau, che ha "chiamato" gli applausi per i bis, il primo dei quali era uno dei classici della formazione, risalente ai primi dischi della serie Art of the Trio.

Concerto di alto livello, dunque, emblematico di una formazione ben caratterizzata e inimitabile, anche se certo non particolarmente innovativa e con qualche "posa" di troppo (come quelle esibite dal pianista durante gli assoli dei partner). Ma dopo i due concerti precedenti, entrambi molto ispirati alla ricerca, un "classico" di questo livello era quasi doveroso.

Foto
Benedetta Toti.

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