David Virelles: Mbókò
Certo che ne ha di talento David Virelles. A quintali, a vagonate. Da affittare, vendere e persino subappaltare. Nell'ottobre del 2012, quando la Pi Recordings mise il timbro su Continuum, secondo disco del pianista di origini cubane, non furono in molti ad accorgersi che era nata una stella.
Oggi, a due anni abbondanti di distanza, il numero degli euforici sostenitori è cresciuto in maniera esponenziale. Merito delle comparsate nel quartetto americano di Tomasz Stanko, nello strepitoso Double-Up di Henry Threadgill, nei gruppi di Chris Potter, Mark Turner e Steve Coleman. Frequentazioni di lusso che hanno spinto in alto le quotazioni del nostro. E che hanno attirato lo sguardo di un sempre più attento Manfred Eicher, lesto nel mettere sotto contratto l'ennesimo campioncino degli ottantotto tasti e nel dare alle stampe Mbókò, opera terza che vale l'incontestabile e definitiva consacrazione.
Per lo spessore, l'intelligenza, l'originalità di un jazz colto e meticcio allo stesso tempo. Che affonda le proprie radici nei colori e nei ritmi della tradizione afrocubana e nell'immaginario mistico-iniziatico della cultura Abakuá, una sorta di congrega religiosa fondata su saperi esoterici. Agganci e rimandi dichiarati, espliciti. Che sono però trasfigurati alla luce di una sensibilità pianistica tendente al puro astrattismo. Rimarrebbe assai deluso chiunque si avvicinasse a Mbókò in cerca di spezie terzomondiste, di facili suggestioni equatoriali.
Cuba c'è, ovviamente. Vibra e palpita negli schemi ritmici della mano sinistra di Virelles e nei suoni inconfondibili delle percussioni Biankoméko di Román Diaz. Ma si tratta di scheletri, forme stilizzate. Alle quali si sovrappongono meditazioni ipnotiche e severe, frasi oblique e temi sfuggenti. Come nell'esaltante "Antillais," che rimanda senza passare dal via all'Andrew Hill di Compulsion. O nella zoppicante "Seven, Through the Divination Horn," brano manifesto che mette in vetrina il drumming propulsivo di Marcus Gilmore e il tocco inconfondibile di Thomas Morgan (l'erede designato di Charlie Haden). Il punto più alto del disco? "The Highest One," misteriosa ed elegante nel suo incedere tra accordi vaporosi e legno di contrabbasso.
Una meraviglia, un piccolo capolavoro. L'astro Virelles è destinato a splendere a lungo nel firmamento del jazz.
Oggi, a due anni abbondanti di distanza, il numero degli euforici sostenitori è cresciuto in maniera esponenziale. Merito delle comparsate nel quartetto americano di Tomasz Stanko, nello strepitoso Double-Up di Henry Threadgill, nei gruppi di Chris Potter, Mark Turner e Steve Coleman. Frequentazioni di lusso che hanno spinto in alto le quotazioni del nostro. E che hanno attirato lo sguardo di un sempre più attento Manfred Eicher, lesto nel mettere sotto contratto l'ennesimo campioncino degli ottantotto tasti e nel dare alle stampe Mbókò, opera terza che vale l'incontestabile e definitiva consacrazione.
Per lo spessore, l'intelligenza, l'originalità di un jazz colto e meticcio allo stesso tempo. Che affonda le proprie radici nei colori e nei ritmi della tradizione afrocubana e nell'immaginario mistico-iniziatico della cultura Abakuá, una sorta di congrega religiosa fondata su saperi esoterici. Agganci e rimandi dichiarati, espliciti. Che sono però trasfigurati alla luce di una sensibilità pianistica tendente al puro astrattismo. Rimarrebbe assai deluso chiunque si avvicinasse a Mbókò in cerca di spezie terzomondiste, di facili suggestioni equatoriali.
Cuba c'è, ovviamente. Vibra e palpita negli schemi ritmici della mano sinistra di Virelles e nei suoni inconfondibili delle percussioni Biankoméko di Román Diaz. Ma si tratta di scheletri, forme stilizzate. Alle quali si sovrappongono meditazioni ipnotiche e severe, frasi oblique e temi sfuggenti. Come nell'esaltante "Antillais," che rimanda senza passare dal via all'Andrew Hill di Compulsion. O nella zoppicante "Seven, Through the Divination Horn," brano manifesto che mette in vetrina il drumming propulsivo di Marcus Gilmore e il tocco inconfondibile di Thomas Morgan (l'erede designato di Charlie Haden). Il punto più alto del disco? "The Highest One," misteriosa ed elegante nel suo incedere tra accordi vaporosi e legno di contrabbasso.
Una meraviglia, un piccolo capolavoro. L'astro Virelles è destinato a splendere a lungo nel firmamento del jazz.
Track Listing
Wind Rose (Antrgofoko Mokoirén); The Scribe (Tratado de Mpegó); Biankoméko; Antillais (A Quintín Bandera); Aberiñán y Aberisún; Seven, Through the Divination Horn; Stories Waiting to Be Told; Transmission; The Highest One; Èfé (A María Teresa Vera).
Personnel
David Virelles: pianoforte; Thomas Morgan: contrabbasso; Robert Hurst: contrabbasso; Marcus Gilmore: batteria; Román Diaz: percussioni Biankoméko, voce.
Album information
Title: Mbókò | Year Released: 2015 | Record Label: ECM Records
Tags
David Virelles
CD/LP/Track Review
Luca Canini
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Mboko