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Mattia Cigalini

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Nella mia vita ho scelto la musica jazz perchè è musica di libertà, e desidero utilizzarla per imporre una mia visione, personale e riconoscibile.
Mattia Cigalini ha venti anni, ma parla - e, soprattutto, suona - già da veterano. Forte di un disco d'esordio capace di rastrellare premi e riconoscimenti internazionali (Arriving Soon, Dejavu), il ragazzo partito dalla provincia di Piacenza ha le idee ben chiare: migliorarsi attraverso il rispetto della tradizione e la voglia di scoprire la propria essenza artistica. Ci ha parlato del recente passato, del presente in fermento e di un futuro che promette scintille.

All About Jazz Italia: Raccontaci come è andato il primo incontro con il sax.

Mattia Cigalini: Avevo nove anni, frequentavo la quarta elementare e soffrivo di asma respiratoria. Il medico suggerì ai miei genitori di farmi studiare uno strumento a fiato, e proprio in quei giorni la Banda Musicale del mio paese - Agazzano, in provincia di Piacenza - cercava nuovi elementi per il suo organico. Mio padre Luigi aveva suonato per tanti anni il clarinetto nella stessa banda, mia madre suonava invece la chitarra classica, e mio fratello avrebbe iniziato a suonare la batteria qualche anno più tardi. Non appena mi presentai per iscrivermi fu amore a prima vista; la visione di quello strumento "dorato" a forma di pipa, dal quale usciva un suono così meraviglioso, mi fece impazzire. Nella prima lezione l'insegnante mi spiegò come montare e smontare lo strumento, ma la settimana seguente mi presentai suonando già la scala su tutta l'estensione dello strumento! Il fatto lo colpì a tal punto che volle incontrare i miei genitori per invitarli caldamente a iscrivermi al Conservatorio.

AAJ: E con il jazz, qual è stato il tuo percorso di formazione?

M.C.: Due anni più tardi si stava formando dalle mie parti una Big- Band di jazz, e siccome in ambito classico si erano sparse in fretta le voci su di me, mi chiamarono chiedendomi se ero disponibile per il posto di 1° sax contralto, ma specificando "Sai, noi suoniamo jazz, non so se ti piace, ascolta questo CD per farti un'idea". Le note di quel disco (Kind of Blue, N.d.R.) mi colpirono a tal punto che decisi, e promisi a me stesso in quel preciso istante, che quella musica sarebbe stata la mia vita. Comprai un sacco di dischi jazz, ascoltai e studiai sempre da autodidatta, sempre da solo. Sentivo di dovere tutto a questa musica, e pensavo alla musica tutte le ore del giorno. Ho sempre studiato parallelamente la musica classica, che tutt'ora adoro e pratico, mi sono diplomato in seguito con il massimo dei voti sotto la guida del M° Mario Giovannelli; il jazz invece era qualcosa che ho scoperto giorno dopo giorno affidandomi solo a me stesso.

AAJ: Quando hai capito di essere diventato musicista a tutti gli effetti?

M.C.: Pensare alla musica tutto il giorno, significava già essere musicista a tutti gli effetti. A dodici anni ho iniziato a tenere i primi concerti, e sono cresciuto gradualmente, senza bruciare le tappe. Di questo sono felice. In termini più pratici credo che la mia "consacrazione" sia giunta l'anno scorso a maggio, al momento dell'incisione di Arriving Soon (Dejavu). A diciannove anni aver ottenuto così tanto successo in Giappone, riconoscimenti e premi all'estero, attenzione da parte di radio e riviste straniere, mi ha fatto pensare che effettivamente qualcosa stava succedendo. La soddisfazione più grande, in particolare, fu quella di vedermi nella classifica mondiale "2009 Jazz Disc Award," della rivista giapponese Swing Journal, ed essere l'unico artista italiano in mezzo a Keith Jarrett, Chick Corea, Wynton Marsalis, Joshua Redman, Kenny Barron, Pat Metheny... Non un alloro sul quale dormire, anzi, uno stimolo come altri per crescere, proseguire e soprattutto cercare sempre di migliorarmi.

AAJ: Arriving Soon è formato da brani originali e rivisitazioni di Victor Feldman, Sonny Clark, Oscar Pettiford. Come hai scelto il repertorio da suonare?

M.C.: Il repertorio è stato frutto di una lunga ricerca meticolosa, e soprattutto mirata, svolta soprattutto dal produttore Paolo Scotti. Io e Paolo abbiamo passato ore e ore al telefono discutendo sui brani "buoni" e quelli "da scartare" prima di andare in studio. Io ho operato delle scelte, partendo dalle sue proposte, in base al mio gusto artistico personale. È un repertorio volutamente "poco battuto," e i brani sono stati scelti con un'occhio di particolare riguardo nei confronti delle esigenze del mercato giapponese. Credo che questo lavoro fatto "a monte," che purtroppo spesso si sottovaluta, sia stato davvero prezioso.

AAJ: Un lavoro realizzato praticamente in una sola incisione. A posteriori, ti sentiresti di cambiarne qualcosa?

M.C.: Praticamente tutto ciò che sentite nell'album è "buona la prima," come si suol dire. Anche questa è stata una scelta, in quanto la prima take di un brano racchiude il primo approccio dettato dal momento, quello più istintivo, e forse proprio per questo più vero. Proprio per questo ti dico no, non cambierei nessuna nota di Arriving Soon.

AAJ: In che modo metti in relazione il tuo modo di comporre con la tradizione jazzistica?

M.C.: Ho studiato tantissimo la tradizione jazzistica, verso la quale nutro profondo rispetto. Lo studio della tradizione è un'inesauribile fonte di spunti ispirativi, che si prestano ad essere rapportati anche a sonorità meno tradizionali. La mia scrittura è "di getto," non ho particolari modelli di riferimento, tuttavia cerco un risultato il più possibile personale ed originale da ogni processo compositivo. Personalmente in questo senso ho fatto grande tesoro dello studio dei maestri classici, in particolare dei miei preferiti: Debussy, Liszt, ma soprattutto Bartok. Questo può aver influito sulla mia sensibilità compositiva, in quanto ho piegato tutto ciò che avevo appreso ad una mia personale visione musicale, rendendolo di conseguenza mio.

AAJ: Quali sono i progetti che stai portando avanti?

M.C.: In questo momento il progetto su cui sto puntando più di ogni altro è il mio nuovo quartetto Res Nova. I musicisti sono Mario Zara al pianoforte, Yuri Goloubev al contrabbasso e Tony Arco alla batteria. Il concerto consiste nell'esecuzione di un'unica grande opera scritta di mio pugno, suddivisa in quattro movimenti: Il Destino (I), La Forza (II), L'Amore (III) ed infine I Sogni (IV), movimenti che rappresentano un mio personale tributo alla vita e all'arte in ogni sua forma. Definire "jazz" la musica di quest'opera mi sembra riduttivo: sicuramente si tratta di musica di matrice jazzistica, che però si ispira a sonorità molto distanti dal jazz stesso: per me è solo Musica. Al di là di Res Nova sto continuando a lavorare con Arriving Soon, che mi sta portando all'estero (a febbraio prossimo lo presenterò in Francia). Ho poi uno splendido ed affiatato duo con Andrea Pozza, duo che, pur avendo all'attivo diversi concerti, musicalmente è in grado di stupirmi ogni sera, creando sempre qualcosa di diverso e inaspettato. Ho in progetto di registrare un secondo album per la casa discografica Dejavu di Paolo Scotti, e ho altri progetti in cantiere che vedranno la partecipazione di illustri artisti americani, di cui non anticipo nulla, ma di cui vi parlerò presto.

AAJ: Quali sono gli aspetti sui quali vuoi concentrarti per progredire ulteriormente e i punti di forza del tuo modo di fare musica?

M.C.: Cercare sempre più profondamente ed accuratamente me stesso, e in quest'ottica migliorarmi costantemente ogni giorno che passa. Nella mia vita ho scelto la musica jazz perchè è musica di libertà, e desidero utilizzarla per imporre una mia visione, personale e riconoscibile. Uno degli aspetti interessanti che riguarda tutta la musica, è che più si intende innovare un linguaggio, e "dire" quindi "la propria," più diventa necessario conoscere al meglio la tradizione del linguaggio stesso, la sua storia. Per me le due strade si evolvono parallelamente senza nessun rischio che una escluda l'altra. Cerco la "mia voce," attraverso l'esecuzione esattamente come la composizione, e mai vorrei ritrovarmi a pensare qualcosa come "ecco, l'ho trovata," anche se sarà così. Non c'è mai da smettere di cercare. Un mio punto di forza potrebbe essere proprio il fatto che possedere questa convinzione, mi porti ad avere una personalità, credo già riconoscibile.

AAJ: Se accendo il tuo iPod, cosa trovo in play?

M.C.: Nel mio iPod puoi trovare di tutto, dipenderebbe dal momento in cui lo accendi! In questo esatto momento troveresti in esecuzione i 12 Studi di Debussy, oppure il Concerto per Orchestra di Bartok, oppure ancora Highway Rider di Brad Mehldau. Sono più di due anni ormai che non ascolto più saxofonisti, quindi non troveresti mai qualcosa con un sax; si tratta di qualcosa avvenuto naturalmente, perchè può accadere che suonando si vada a cercare qualcos'altro rispetto alla propria voce, anche impercettibilmente. Nella mia vita ascolto e ho ascoltato di tutto: dalla classica, al jazz, al rock, metal, punk, rap ed hip- hop, musica flokloristica (in particolare quella indiana e balcanica, in generale). Questo perchè adoro tutto ciò che è fatto con emozione, e posso essere colpito anche da generi di musica talvolta parecchio distanti dal mio.

AAJ: Nella tua vita, oltre che per la musica, quali altri interessi o passioni coltivi?

M.C.: Ho tante passioni. La matematica, l'informatica e in genere tutto ciò che non conosco mi incuriosisce molto. Ho praticato diversi sport (tra cui il nuoto nel quale me la cavavo bene, basket, calcio), e soprattutto fino all'anno scorso amavo ritagliarmi un po' di tempo per viaggiare con la mia moto da strada, che ho deciso a malincuore di vendere non avendo più trovato il tempo di usarla. Quando non sono in giro per i concerti, o a casa a praticare, mi piace soprattutto stare in compagnia con gli amici.

Foto di Alberto Ferrero (la seconda).


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