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Manfred Eicher - L'uomo che fa accadere la musica: ECM 50 a Flagey, Bruxelles

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ECM 50
Centro Culturale Flagey
Bruxelles, Belgio
21-24.11.2019

Nell'anno in cui ricorre il cinquantesimo anniversario della fondazione della casa discografica tedesca ECM sono stati numerosi in Europa e America i festival musicali dedicati alla celebrazione ufficiale dell'evento. Uno dei più importanti è sicuramente stato quello svoltosi alla fine di Novembre a Bruxelles, che ha visto la partecipazione di numerosi artisti collegati all'etichetta esibitisi nell'arco di quattro giorni in 12 concerti presso il centro culturale di Flagey.

L'edificio che ospitava la rassegna era un tempo sede dell'Istituto Nazionale di Radiodiffusione, e dal 1998 le sue sale sono dedicate a rappresentazioni musicali di vario genere e rassegne cinematografiche d'autore. In aggiunta ai concerti, gli spazi del centro hanno ospitato anche una mostra fotografica dedicata alle copertine dei dischi ECM (con una parete tapezzata di copertine in formato CD di quasi tutto il catalogo) e una sala d'ascolto dove era possibile ascoltare le testimonianze di alcuni degli artisti principali che hanno contribuito alla storia della etichetta, tratte da interviste realizzate da Patrick Bivort, giornalista e conduttore radiofonico belga che nel corso del festival ha anche tenuto una conferenza sui 50 anni della ECM e la sua importanza per il mondo della musica. A completare il tutto, una rassegna cinematografica di pellicole in qualche modo legate a ECM, sia direttamente come il documentario "Sounds and Silence" o i film di Angelopoulos e Tavernier con musiche conmposte da artisti dell'etichetta, o indirettamente come i film del regista sovietico Andrei Tarkovsky che ha fornito l'ispirazione per vari progetti musicali pubblicati dalla label. Ma il vero fiore all'occhiello del già ricco festival consisteva nella presenza di Manfred Eicher, fondatore della ECM, per tutta la durata della manifestazione, e protagonista durante l'ultima giornata di un incontro- conferenza col pubblico.

Questo ha fatto sì che il festival diventasse, a tutti gli effetti, una celebrazione del ruolo avuto da Eicher nella creazione e successiva gestione della casa discografica. Il produttore non è semplicemente l'uomo dietro ECM: egli è ECM, in una identificazione totale con la label la quale di fatto è una pura estensione e materializzazione della sensibilità musicale, della visione creativa e delle idee del suo fondatore, uno dei personaggi più importanti nel mondo della musica degli ultimi 50 anni. L'ingresso e la successiva rapida affermazione di ECM nel mondo discografico ha causato una rivoluzione sia nel rapporto tra gli artisti e l'industria musicale che nel modo in cui l'opera d'arte viene presentata al pubblico. La qualità del suono è messa in primo piano, ma anche il progetto grafico dell'album viene curato nei minimi dettagli attraverso un design minimale ma raffinatissimo e ricercato, diventato in breve tempo un modello destinato a far scuola e generare numerose imitazioni.

Il risultato commerciale rimane un dettaglio marginale al progetto, mai ricercato in quanto tale, ma accolto come autofinanziamento per il necessario sostentamento dell'etichetta. Nel catalogo ECM la musica non ha confini di nessun genere, né geografici né temporali. Musicisti di tutti i luoghi e di tutti i tempi convivono senza distinzione di stili, talvolta all'interno di uno stesso album, in una visione universale della musica che è espressione di quella di Eicher, artefice principale di molti esperimenti sulla carta azzardati, ma in ultima analisi quasi sempre di successo, come l'idea di affiancare a un quartetto vocale specializzato nell'esecuzione di musica antica una quinta voce strumentale e improvvisata come il sax di Jan Garbarek, dando vita all'album Officium diventato uno dei best-seller del catalogo.

Ascoltando le testimonianze dei musicisti e di altri personaggi a lui vicini, emerge chiaramente come la funzione principale di Manfred Eicher sia stata quella di catalizzatore, facendo in modo che la musica accadesse e si materializzasse secondo le sue intuizioni e la sua idea di suono, o semplicemente mettendo in contatto artisti di diversa provenienza per progetti che difficilmente avrebbero trovato una realizzazione spontanea. Spesso bastava la sua presenza in studio a risolvere situazioni problematiche per i musicisti o per i tecnici. Il suo stretto rapporto con artisti e ingegneri del suono, basato su una fiducia reciproca pressoché totale, ha portato alla creazione di un catalogo di titoli tra i più vasti e ricchi al mondo, caratterizzato da una qualità sonora altissima e una estetica ben precisa, diventato un punto di riferimento imprescindibile per chiunque sia coinvolto oggi in qualunque modo nell'industria musicale. Tutto questo seguendo come unica idea di business quella di presentare la musica nel miglior modo possibile, senza preoccuparsi troppo del ritorno economico. Chi altri avrebbe potuto anche solo pensare di pubblicare un cofanetto di 10 LP di solo piano dal vivo?

Per quanto ha realizzato, Manfred Eicher merita ampiamente tutti gli innumerevoli ringraziamenti che ha ricevuto nel corso dei quattro giorni nella capitale belga, non solo da parte dei musicisti che si sono esibiti per averli messi in grado di realizzare le proprie opere nelle migliori condizioni possibili, ma anche da parte di quanti lo incontravano nel foyer del teatro, semplici appassionati (tra i quali lo scrivente) che gli hanno voluto esprimere la propria gratitudine per la splendida musica messa a disposizione del pubblico durante tutti gli anni di vita dell'etichetta.

Il culmine si è avuto al termine dell'incontro-conferenza tenutosi la domenica 24, una tavola rotonda con alcuni dei musicisti presenti al festival (Avishai Cohen, Anja Lechner, Louis Sclavis e Nik Bärtsch) e moderata dal conduttore Patrick Bivort. La data scelta riveste un significato particolare, in quanto il 24/11/1969 si era svolta la prima sessione di registrazione ECM che ha dato vita all'album Free at Last di Mal Waldron (recentemente ristampato in una edizione celebrativa estesa su doppio vinile). E il pianista stesso presenta uno stretto legame con Bruxelles, avendo vissuto gli ultimi anni della sua vita in questa città dove si è spento nel Dicembre 2002. L'incontro si è svolto come una chiacchierata tra amici, con il moderatore che sollecitava aneddoti e ricordi da parte del produttore e dei musicisti sul loro rapporto con ECM, prima di terminare con una breve sessione di domande e risposte con il pubblico. Al termine, una standing ovation da parte di tutti i presenti ha salutato Eicher, visibilmente commosso dall'accoglienza riservatagli.

I concerti erano cominciati la sera del 21, con l'esecuzione di Souvenance di Anouar Brahem con l'Orchestra Reale da Camera della Wallonia diretta da Frank Braley. Il suonatore di oud tunisino ha pubblicato il suo primo album su ECM nel 1991, seguito poi da altri nove titoli. Souvenance è un lavoro che risale al 2014, e che riveste un significato particolare per il compositore, influenzato dagli avvenimenti della primavera araba di quegli anni. In tutti i suoi lavori Brahem tende a un incontro musicale tra il mondo arabo e quello occidentale, e Souvenance rappresenta uno dei suoi esiti migliori dal punto di vista compositivo, con una orchestra d'archi a sostenere la musica venata di struggente malinconia eseguita dal quartetto completato dal pianoforte di Francois Couturier, il clarinetto di Klaus Gesing e il basso elettrico di Björn Meyer.

Il giorno successivo è toccato all'inedito duo tra il pianoforte di Anna Gourari e il clarinetto di Reto Bieri aprire i concerti all'ora di pranzo, nella sala più piccola dedicata alla musica da camera. I due erano solo al loro secondo concerto insieme, avendo ciascuno di loro già realizzato per ECM alcuni album singolarmente. Il programma oscillava tra classica e contemporanea, con apertura e chiusura in duo ed esibizioni solistiche in mezzo; un progetto in comune è in lavorazione e dovrebbe venire pubblicato nel corso del prossimo anno. Il concerto serale ha visto dapprima sul palco il gruppo di Enrico Rava Special Edition, una formazione tutta italiana con Giovanni Guidi al pianoforte, Gianluca Petrella al trombone, Francesco Diodati alla chitarra, Gabriele Evangelista al contrabbasso e Enrico Morello alla batteria. Il trombettista, che quest'anno ha compiuto 80 anni, ha dimostrato di avere ancora tanta energia e voglia di suonare, spalleggiato da un gruppo di brillanti musicisti. La musica si è sviluppata per circa un'ora in un flusso quasi ininterrotto, con temi e idee musicali che si susseguivano variando il tempo e lasciando interagire i musicisti in vari modi e combinazioni, stimolandone l'interazione in un ottimo esempio di jazz moderno ma saldamente ancorato al mainstream.

Di seguito il set della albanese Elina Duni, aperto ad effetto dalla sua voce proveniente dal fondo della sala mentre la cantante raggiungeva il palco attraversando la platea su un lato seguitando a cantare. La sua splendida voce, pura e intensa, è stata la protagonista assoluta dell'ora successiva, con accompagnamento di chitarra, pianoforte o tamburello. La Duni ha proposto alcune canzoni tratte dal suo album Partir, aggiungendovi i testi di raccordo tra un brano e l'altro che introducono le tematiche generali del viaggio e della lontananza. I testi sono cantati in varie lingue, dal portoghese al francese, dal kosovaro all'italiano (una canzone di Domenico Modugno, "Amara terra mia"), e anche arabo, tedesco, albanese. Il concerto è stato emozionante, grazie a una voce meravigliosa e altamente espressiva, in grado di veicolare sentimenti ed emozioni attraverso il suono.

A concludere la serata il nuovo progetto di Avishai Cohen, Big Vicious. Il trombettista israeliano si è presentato a capo di una formazione con due chitarre e due batterie. L'energia è tangibile, ma rimane controllata e non dirompente quanto ci si potrebbe aspettare. Interessante soprattutto il contrasto tra la base ritmica decisamente rockeggiante e la tromba del leader con la sua sonorità calda e morbida. Ritmi trascinanti e melodie suadenti sono gli ingredienti principali della musica, che dovrebbe vedere la luce su CD la prossima primavera.

La terza giornata era quella più ricca di concerti: ben sei, a partire dalle 16:00 fin quasi a mezzanotte, con i gruppi che si alternavano tra le due sale da concerto. Il primo a esibirsi, nella sala piccola, è stato Larry Grenadier in un concerto di solo contrabbasso, presentando brani dal suo CD The Gleaners di recente pubblicazione, tra cui un suo omaggio a Oscar Pettiford. Il contrabbassista ha mostrato di essere in possesso di un'ottima tecnica anche con l'archetto, messa al servizio di una sensibilità musicale non comune che gli ha permesso di sostenere un'ora di esibizione solitaria mantenendo sempre vivo l'interesse del pubblico, che ha mostrato di apprezzare decisamente.

Trasloco in sala grande per il concerto successivo, ancora Avishai Cohen questa volta in duo col pianista Yonathan Avishai per presentare il loro CD Playing the Room. I due suonano insieme da 20 anni, ma il recente lavoro è il primo realizzato in coppia, con un repertorio che comprende alcune composizioni originali e alcuni standard, da John Coltrane a Stevie Wonder, presentati in una rilettura abbastanza classica, elegante e raffinata, impreziosita dalla grande intesa tra i due musicisti. Dopo il Cohen avventuroso della serata precedente, scopriamo il suo lato più tradizionalista, ma sempre contraddistinto da una grande musicalità e da un caldo timbro strumentale.

A seguire la pianista tedesca Julia Hulsmann con il suo trio diventato quartetto con l'aggiunta del sassofonista Uli Kempendorff, che presenta il nuovo CD Not Far from Here. I brani sono composizioni originali che ciascuno dei membri ha contribuito, con l'unica eccezione di una cover di "This Is not America," brano composto da David Bowie e Pat Metheny (con Lyle Mays). Un buon concerto, anche se il sassofonista dà l'impressione di non essere ancora completamente inserito nella musica del trio, avendone modificato gli equilibri.

Ancora un cambiamento di sala per seguire il concerto del trio tutto polacco di Marcin Wasilewski, che festeggia i 25 anni di attività. Il loro ultimo album, pubblicato nel 2018, è un live registrato proprio in Belgio, dal quale riprendono alcuni brani tra i quali uno firmato da Herbie Hancock, "Actual Proof." Il trio è probabilmente uno dei migliori correntemente in attività; la loro è una musica moderna, solida e brillante, eseguita con una compattezza invidiabile frutto dei molti anni passati a suonare insieme che hanno permesso lo sviluppo di un solido interplay.

Si ritorna poi nella sala piccola per il concerto del duo del pianista Francois Couturier con la violoncellista Anja Lechner, che hanno presentato alcuni brani del loro nuovo lavoro, Lontano, di prossima pubblicazione. Particolarmente toccanti le esecuzioni di una composizione del pianista e di una di Anouar Brahem, ma è soprattutto la voce del violoncello della Lechner a lasciare incantati per la sua bellezza ed espressività.

La maratona concertistica della giornata si conclude con i Ronin del pianista svizzero Nik Bärtsch. Il quartetto esegue la sua caratteristica musica modulare costituita da un mix di minimalismo, ripetizione, funk e jazz moderno, definita dal pianista come 'groove music rituale,' che è anche il titolo del suo primo album pubblicato nel 2004, ma registrato nel 2000. Anche se sono passati tanti anni la sua musica continua ad avere una forte presa col suo andamento ipnotico fortemente ritmato. L'ultimo album, Awase, è stato pubblicato lo scorso anno, e mantiene inalterato l'impatto dei suoi primi lavori.

Il quarto giorno si è aperto in tarda mattinata con l'incontro con Eicher, di cui abbiamo riferito, seguito poi dal concerto di chiusura affidato al quartetto di Louis Sclavis. Il clarinettista francese si è presentato alla guida di una formazione dalla strumentazione più tradizionale rispetto a quanto da lui proposto in passato, facendosi accompagnare per la prima volta (in ambito ECM) da una ritmica classica pianoforte/contrabbasso/batteria, ma la sua musica ha ben poco di tradizionale nella forma e nella sostanza. I brani eseguiti fanno parte del suo ultimo album Characters on a Wall, di recente pubblicazione, che rappresenta uno dei suoi lavori più maturi e significativi. Nel quartetto tutto francese spicca in particolare la contrabbassista Sarah Murcia, che fornisce un sostegno solido e sicuro alla musica del clarinettista, e non disdegna di prendersi qualche notevole assolo. Un ottimo finale, in sostanza, per un festival che si è mantenuto sempre su livelli di assoluta eccellenza. Una nota di merito per la perfetta e impeccabile organizzazione da parte del teatro Flagey, e per il pubblico attento e ricettivo, costituito in gran parte da giovani, contrariamente a quanto succede di solito per questo tipo di evento.

Foto: Olivier Lestoquoit.

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