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L'ultimo hipster. La vita e la musica di Mark Murphy

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Non trovate accenni a Mark Murphy nelle più recenti storie del jazz, neanche il nome. Una lacuna che appare inspiegabile (a differenza di Frank Sinatra, Mel Torme e Tony Bennett) che si giustifica solo col ritardo a collocare il cantante di Syracuse in una prospettiva storica.

Eppure già prima della sua scomparsa -il 22 ottobre 2015 all'età di 83 anni—autorevoli critici e musicisti hanno considerato Murphy tra i massimi jazz vocalist moderni, il più importante tra i bianchi della sua generazione.
Tra i grandi è stato quello jazzisticamente più intransigente e lontano da velleità commerciali. Dal nostro punto di vista anche il più fantasioso e versatile: Mark Murphy è stato un'inquieto e avvincente improvvisatore, un bopper ritmicamente spericolato, sempre incline a inventare nuovi modi d'interpretare un song. Una dimensione artistica che rifletteva una personalità eccentrica che non l'ha certamente favorito.
Mark Murphy debutta nel 1956 con l'album Decca Meet Mark Murphy, l'anno in cui esplode il rock & roll con le uscite di "Roll Over Beethoven" di Chuck Berry, "Heartbreak Hotel" di Elvis Presley e "Blue Suede Shoes" di Carl Perkins. Un genere musicale dal fortissimo impatto sul pubblico giovanile, in contrasto con lo stile di un vocalist esordiente legato ai modelli dello Swing e del blues orchestrale. L'avvento di Beatles, The Rolling Stones e del nuovo rock britannico rende ancor più demodé un cantante come Murphy, non ancora affermato per usufruire di una rendita di posizione presso il pubblico adulto. Solo dagli anni settanta la sua presenza s'è imposta agli occhi della critica e dalla fine degli ottanta presso una fetta limitata di audience (anche per l'interesse del DJ e produttore inglese Gilles Peterson).

Gli esordi e il soggiorno londinese

Mark nasce il 14 marzo 1932 a Fulton, 26 miglia a Nord di Syracuse, nello stato di New York. Di origini irlandesi, la sua è una famiglia borghese (il nonno era presidente alla Worcester Manifacturing Company) con una particolare passione per la musica e il canto. Suo padre è una voce d'opera e canta regolarmente in chiesa con la madre. Mark inizia all'età di sette anni a studiare il pianoforte e nell'adolescenza prende a esibirsi, come cantante, nel complesso da ballo del fratello maggiore. Il primo modello di riferimento è Nat King Cole e tra gli ascolti preferiti ci sono Erroll Garner, Art Tatum, June Christy, Peggy Lee e le orchestre di Woody Herman e Stan Kenton. Nella sua formazione è centrale l'impronta del tardo Swing già venato di riferimenti moderni e la passione per il bop deve ancora nascere. I primi 78 giri della Tuba Band di Miles Davis hanno però un'impatto notevole (e ancor più i successivi dischi del trombettista con Gil Evans).
Nell'estate 1952, mentre studia recitazione e musica all'Università di Syracuse, Mark è notato in un'after-hours session da Sammy Davis Jr., che lo invita a cantare nel suo show. Trasferitosi a New York nel 1954 per lavorare come attore e cantante, l'anno seguente è presentato a Milt Gabler della Decca che gli fa firmare un contratto per l'incisione di due album: Meet Mark Murphy (1956) e Let Yourself Go (1957). Una compilation con quel materiale intitolata Crazy Rhythm è stata pubblicata nel 1999.
Il debutto è inciso tra il giugno e l'agosto 1956 con un'orchestra diretta da Ralph Burns. Al timbro vocale ancora esile il 24 enne Mark associa puntualità d'intonazione e ricchezza interpretativa; il clima è in gran parte leggero ma non mancano momenti di calda colloquialità ("If I Could Be with You") o jazzistici (come il basiano "Exactly Like You"). Non molto diverso il successivo Decca, ancora guidato da Ralph Burns, che ripropone il modello del cantante confidenziale, sul modello Nat Cole.
Nel 1958 il cantante si trasferisce in California dove incide ancora per la Capitol Records (Mark Murphy's Hip Parade) un bel disco di standard con arrangiamenti orchestrali di Bill Holman e presentazione di Peggy Lee che sottolinea il suo fraseggio moderno. Il contratto con l'etichetta prevedeva altri album ma qualcosa va storto perchè nel 1961 Mark ritorna a New York trovando ospitalità alla Riverside per registrare Rah. È il disco di marcata tensione jazzistica, il più maturo di quella fase giovanile, orchestrato da Ernie Wilkins: il 29enne Mark evidenzia la varietà cromatica del timbro baritonale, aggiungendo maturità d'interprete sia nelle ballad che nei temi dinamici. Le sue doti di seducente crooner si mostrano in "Li'l Darlin'" e "Spring Can Really Hang You Up the Most" mentre il vocalist spericolato emerge in classici strumentali come "Milestones" "Doodlin" e "Twisted." Per la stessa etichetta Mark incide un anno dopo That's How I Love the Blues, un brillante percorso nello spirito (più che nelle forme) del blues, accompagnato da un medio organico guidato da Al Cohn. Murphy è uno dei rari cantanti bianchi a interpretare con credibilità il genere, grazie all'istintiva dote di esaltarne i risvolti emotivi. Se talvolta emerge un certo compiacimento tecnico, sono molte le interpretazioni convincenti (ad esempio i sofferti "The Meaning of the Blues" e "Blues in My Heart" o il bizzarro e declamatorio "Going to Chicago").

Nel 1963 il singolo pop "Fly Me to the Moon" gli fa guadagnare il riconoscimento di stella emergente nel referendum lettori di Down Beat ma tutto viene velocemente oscurato dal planetario successo dei Beatles e del nuovo british rock. Non c'è mercato per lo stile vocale di Murphy. Per gran parte degli anni sessanta egli vive a Londra "sbarcando il lunario" in vari modi: interpreta ruoli minori per televisione e cinema, compila trascrizioni di musica per la BBC. Oltre a esibirsi nei club come cantante, incide degli album per etichette inglesi -tra cui Fontana (Swingin,' Singin' Affair ) e Immediate (Who Can I Turn To?) -e per la tedesca MPS (Midnight Mood). Di recente nel Regno Unito è stata ripubblicata un'oscura incisione pop di quegli anni (This Must Be Earth Trunk, 1969) dove Mark rilegge brani di Simon & Garfunkel, Joni Mitchell, Otis Redding e persino il successo di Armstrong "What a Wonderful World."
Il migliore di tutti è Midnight Mood, inciso nel 1967 e riedito in CD nel 2005. Murphy è accompagnato da otto componenti della Kenny Clarke-Francy Boland Big Band in un repertorio di standard e originals arrangiati dallo stesso Boland. Particolarmente riuscite sono la lirica versione di "My Ship" e la serrata "Jump for Joy" eseguita in scat singing.

Il ritorno a New York e le incisioni per Muse

Nel 1972, all'età di 40 anni, Mark torna negli Stati Uniti per firmare un contatto con la neonata Muse Records di Don Schlitten e Joe Fields. In quell'etichetta resta per due decenni, registrando 16 album che rappresentano il corpus più ricco e avvincente della sua carriera: un percorso maturo ed eclettico "in cui impone definitivamente la sua personale cifra espressiva—ha scritto Luciano Federighi—fatta di vocalese, di scat, d'una proiezione di testi al contempo lirica e muscolosa, romantica con una scorza dura, sostenuta da una vivissima sensibilità armonica (Mark è anche pianista) e ritmica." Uno stile che il critico Will Friedwald ha definito swinging eclecticism. È in quel periodo che si precisa la sua identità di neo-hipster, a suo agio nel buio di un jazz club mentre che celebra il bop e la letteratura beat di Jack Kerouac.
"Quando tornai dall'Inghilterra e ripresi i miei tour—ha ricordato Murphy -passando per aeroporti e stazioni ferroviarie vedevo in vendita i tascabili di Kerouac e ripresi a leggerli. Poco dopo qualcuno mi invitò a un'intervista con Tom Waits e io gli dissi che era il Kerouac degli anni settanta o qualcosa del genere. Mi nacque così l'idea di fare qualcosa su quello scrittore, che citava continuamente musicisti, cantanti e titoli di brani nei suoi libri... Pensai che potevo intrecciare la sua narrazione con la sua enorme sorgente musicale, tuffandomici dentro."
Prima di quei dischi, che verranno nei primi anni ottanta, Murphy realizza alcuni ottimi album, recuperando la lunga assenza dall'ambiente del jazz statunitense. In Bridging a Gap è accompagnato da un sestetto con Ron Carter e i fratelli Brecker. Un percorso ricco con momenti esaltanti come "Come and Get Me" -un paludoso funky-blues costruito sull'ostinato di Ron Carter—, la serrata riscrittura di "As Time Goes By" e alcune ballad affrontate con suadente colloquialità.
Di minor pregio è il successivo Mark II, che vede Murphy affrontare un repertorio di rock ballad di Joni Mitchell ("Barangrill"), Stevie Wonder ("Looking for Another Pure Love"), David Crosby ("Triad") e altri, estranee al suo temperamento. I momenti migliori si trovano in apertura ("Chicken Road") e verso la fine (il torrido "Lemme Blues" con le chitarre soul di John Tropea e Sam Brown).

Nel 1975 viene Mark Murphy Sings, disco strepitoso, che va posto ai vertici della sua discografia, prodotto come gli altri da Helen Keane (e arrangiato da Dave Matthews) che gli affianca un ottetto stellare, comprendente il chitarrista Joe Puma, il tastierista Don Grolnick, i fratelli Brecker e David Sanborn al contralto. Il disco trasuda groove e feeling da tutti i pori, uno dei massimi esempi di moderno canto jazz: alta integrazione tra strumenti e voce, con quest'ultima in un ruolo paritario, a reinventare temi contemporanei non pensati per il canto, per i quali Mark scrive il testo. Accade in "Cantaloupe Island" di Herbie Hancock e in "On the Red Clay" di Freddie Hubbard, inaugurando una pratica che ottiene successo e riconoscimenti con "Stolen Moments" di Oliver Nelson e poi con "Ceora" di Lee Morgan, "Beauty and the Beast" di Wayne Shorter, "September Fifteenth" di Pat Metheny e altri. Il canto di Murphy affascina per l'intonazione perfetta, il mix tra fervore e abbandoni lirici, il timbro corposo e flessibile, il vissuto che mette in ogni song superando la semplice interpretazione.
"Cerco di creare un mood—scrisse Mark nelle note -non mi definirei uno stilista. Se lo fossi ora sarei ricco. Sono un cantante creativo e non riesco a cadere nella routine.(...) Non credo che dovrei cercare d'essere nient'altro. C'è sempre qualcosa di sbagliato quando vuoi essere qualcosa che non sei." Un esempio della maestria di Murphy nel riformulare l'identità di un brano è "Young and Foolish" preso a tempo frenetico, in contrasto con le versioni note del tema (ad esempio quella di Tony Bennett con Bill Evans). Altri momenti esemplari sono la rilettura di "Maiden Voyage," "How Are You Dreaming," del coltraniano "Naima" e del citato "On the Red Clay" (che riscoperto da Gilles Peterson negli anni novanta, diverrà un hit dell'acid jazz).

Queste prime incisioni Muse consentono a Mark d'uscire dal semi-anonimato e nel 1977 il suo nome riappare nel referendum dei lettori di Down Beat, ventesimo e ultimo tra i cantanti maschi (l'anno seguente risulterà decimo) mentre per vederlo nominato in quello della critica bisogna attendere il 1979 (quinta posizione tra i talenti emergenti). Un fatto singolare per un cantante di nicchia come lui ma la critica del mensile ripara, valutando cinque stelle Bop for Kerouac del 1981 e dando a Murphy il primo posto tra i talenti emergenti dell'anno.
Quell'album (e il secondo volume che seguirà nel 1986,Kerouac, Then and Now) è un momento centrale della sua carriera. Il vocalist affronta la lettura ritmica della "prosodia bop" di Kerouac, includendo due reading da The Subterraneans e On the Road inclusi in "Parker's Mood" e in "Ballad Of The Sad Young Man." Il progetto, da tempo accarezzato, ha il supporto di Billy Mays, in veste di tastierista, produttore e arrangiatore. Altri partner del disco sono il sassofonista Richie Cole e il chitarrista Bruce Forman. L'album inizia con una pulsante versione di "Boplicity" sul testo di Ray Passman e Holli Ross. Tra gli altri brani spiccano la palpitante interpretazione di "The Bad and the Beautiful," un misconosciuto gioiello di David Raksin e una notturna versione di "Goodbye Pork Pie Hat."
Quel disco indica a Murphy un percorso nuovo, in cui il cantante libera il proprio estro boppistico, bilanciando riferimenti a Eddie Jefferson e King Pleasure alla sua bizzarra vena sperimentale, senza trascurare momenti d'intenso lirismo. "Non sono mai stato il tipo del cantante in smoking—dice a Luciano Federighi alla fine degli anni ottanta (Musica Jazz, febbraio 1989)—Sono piuttosto un animale da club; canto per un pubblico di individui. Canto per persone adulte che hanno avuto esperienze e problemi e vogliono sentire della musica che esprime le complessità della vita, persone che si sono stancate del primitivismo della musica pop."
I molti album degli anni ottanta e novanta (alcuni mai ristampati in CD) andrebbero analizzati con attenzione perchè sono sempre riusciti e originali, spesso superlativi, ma purtroppo difficilmente reperibili. In generale l'interesse di Murphy è focalizzato verso alcune ambiti: la valorizzazione di autori nuovi o poco frequentati dai cantanti (come Peter Allen, Richard Rodney Bennett, Ivan Lins, Steve Allen, June Tonkin ecc...), l'amore per la musica brasiliana (Brazil Song Muse 1984), il tributo al songbook di Nat King Cole.

Andando per ordine cronologico, ricordiamo The Artistry of Mark Murphy (Muse, 1982) con Tom Harrell alla tromba che vede l'omaggio a Eddie Jefferson e Jon Hendricks con le interpretazioni di "Moody's Mood For Love" e "I Remember Clifford."
Ed ancora i due volumi dedicati a Cole (The Nat King Cole Songbook -volumes One and Two, Muse 1983) che meritano speciale attenzione. Questi è un cantante molto amato dal giovane Mark che lo celebra esibendosi in vari duo col pianista Gary Schunk, il chitarrista Joe LoDuca e il bassista Bob Magnusson; ovvero con la strumentazione usata da Cole nel celebre trio. Nasce così un percorso intimo e ricco di chiaroscuri, dove l'equilibrio di classiche melodie è alterato dal canto imprevedibile e contrastato di Murphy, in un avvincente gioco di tensioni e distensioni. I brani imperdibili sono molti: sul versante della dolcezza nostalgica spiccano la medley "Portrait of Jenny/Ruby" e "These Foolish Things," su quello ritmico-espressivo "Tangerine," sul versante della rielaborazione personale "'Tis Autumn," "Look Out for Love" e "The End of a Love Affair."
La seconda metà degli anni ottanta è un periodo discograficamente superlativo. Stimolato da gruppi con jazzmen d'alto livello, il cantante libera in pieno il suo estro di improvvisatore impetuoso, incidendo album capaci di coniugare freschezza boppistica e creatività, con brani swinganti e ricchi di assoli. Registrato nel dicembre 1984, Living Room (Muse 1985) lo vede accompagnato da un ottetto comprendente il trombettista Ted Curson e il sassofonista Gerry Niewood. In un clima soulful Mark presenta un album concentrato ed essenziale, che raggiunge i vertici nel vocalese di "Charleston Alley," nell'estroverso "Ain't Nobody Here But Us Chickens" -vecchio successo R&B di Louis Jordan-e nell'espressiva versione di "Our Love Rolls On."
Nel 1986 vengono il secondo citato capitolo su Kerouac (Kerouac, Then and Now) e il meno noto ma non meno pregevole Beauty and the Beast . Con la guida e gli arrangiamenti di Bill Mays in un sestetto comprendente Brian Lynch alla tromba, Michael Formanek al contrabbasso e Joey Baron alla batteria, il vocalist di Syracuse espone una carrellata di brani dal bizzarro ed estroso virtuosismo: ai vertici il rollinsiano "Doxy," "Along Came Betty," "Beauty and the Beast."

La parentesi brasiliana con la Milestone e le ultime incisione Muse

Avviandosi alla conclusione il lungo sodalizio con la Muse, nell'87 e '88 Mark Murphy approfondisce la relazione con la musica brasiliana che s'era già espressa in Brazil Song, inciso a San Francisco con un gruppo di musicisti latini. Se in quel disco la scelta del repertorio privilegiava Jobim e Nascimento, il primo dei due album Milestone è interamente dedicato alle canzoni di Ivan Lins, il cantante e compositore brasiliano il cui primo successo, "Madalena," si lega all'interpretazione di Elis Regina.
Prodotto da Richard Bock, Night Mood—The music of Ivan Lins vede Murphy affiancato dal trio Azimuth, da Frank Morgan e Claudio Roditi in un percorso uniforme e non sempre riuscito, nonostante gli sforzi di Mark di entrare nello spirito dei brani in un discreto portoghese. Molto migliore il successivo September Ballads che evidenzia un intimo lavoro su ballad poco frequentate o di autori poco noti. Dopo l'iniziale "September Fifteenth" di Pat Metheny (con un testo dello stesso Murphy) i momenti intensi sono molti, grazie al buon equilibrio tra voce, arrangiamenti orchestrali e solisti ospiti (Art Farmer, Larry Coryell, Oscar Castro-Neves, Donald Bailey). Ricordiamo in particolare "When This Love Affais Is Over," "I Never Went Away" e "Spring Is Where You Are."
Le produzioni discografiche con l'etichetta Muse si concludono tra il 1990 e il 1991 con altre incisioni di rilievo: What a Way to Go del settembre 1990, One for Junior in duo con Sheila Jordan del settembre 1991, I'll Close My Eyes del dicembre 1991.
Nel primo dei tre Mark continua la sua opera di valorizzazione di oscuri songwriter americani, presentando ballad di spessore come "What a Way to Go" della pianista June Tonkin o "I Never Noticed Until Now" di Reuben Brown oppure appoggiandosi al songbook storico con magistrali riletture di "All My Tomorrows" e "I Fall In Love Too Easily."
La collaborazione con la Jordan è una fantasiosa ed esuberante carrellata d'interpretazioni in scat, vocalese, blues ed eccentriche ballad assistite da un magistrale quartetto con Kenny Barron al pianoforte, Harvie Swartz al contrabbasso, Bill Mays alle tastiere e Ben Riley alla batteria.
Pubblicato nel 1994, I'll Close My Eyes vede Mark accompagnato da un settetto con Claudio Roditi e chiude in bellezza la stagione con l'etichetta di Fields, prossima alla chiusura.

Gli anni novanta e la rinascita nel nuovo millennio

Gli anni Novanta rappresentano un decennio di luci ed ombre per il cantante di Syracuse ormai sessantenne.
La prima metà è problematica, sia per la morte del suo partner di lunga data, Eddie O'Sullivan, che per la carenza di stabili occupazioni negli Stati Uniti. Mark prende di nuovo la via dell'Europa, inaugurando una presenza in club e festival che va avanti fino a tarda età. Nel luglio 1992 registriamo la sua presenza in Olanda per l'incisione del disco Another Vision accompagnato da una ritmica locale. La forma è come sempre elevata e l'album ripropone il fantasioso mix di audaci e swinganti improvvisazioni vocali e ballad dal seducente appeal: nel primo caso rifulgono "The More I See You," nel secondo "Weaver of Dreams" e "Quiet Now."
Dall'anno precedente ha iniziato a insegnare canto nell'austriaca University of Music and Performing Arts di Graz e nel 1994 incide con la Metropole Orchestra l'elegante album The Dream (Jive Music 1995). Il 12 e 13 giugno 1996 registra in studio a Maribor, Slovenia Shadows (TCB 1996) accompagnato da un quartetto autriaco con Fritz Pauer al pianoforte. A sorpresa, nel dicembre dello stesso anno vince il referendum dei lettori di Down Beat (la cosa si ripete nel 1997, 2000, 2001 e 2003; poi viene sempre superato dal suo "allievo" Kurt Elling) e incide a Washington col suo trio un'altro album eccellente, Song of the Geese (RCA Victor 1997) che gli procura una nomination al Grammy.
Un lavoro di swingante veemenza, con Murphy ricchissimo nella timbrica, spericolato nelle lunghe improvvisazioni in scat ("Baltomore Oriole," "You Go to My Head") ed esemplare nel parlato ("You're Blasé").
All'alba del nuovo millennio, prossimo ai settant'anni, Murphy s'appresta a vivere un'esaltante seconda giovinezza, con virtuosistica energia, eclettismo e passione superiori a quanto evidenziava nella prima parte della sua carriera. Un chiaro esempio sono i quattro nuovi album prodotti da Don Sickler per l'High Note: Some Time Ago del 1999, Links del 2001, Lucky to Be Me del 2002, Memories of You: Remembering Joe Williams del 2003. Un quinto disco dell'etichetta, Bob for Miles, pubblicato nel 2004 contiene inediti degli anni novanta. Aggiungiamo poi The Latin Porter registrato dal vivo qualche settimana dopo Some Time Ago per l'etichetta Go Jazz. Sono album in cui Mark esalta—con qualche narcisistica teatralità—l'ampia varietà cromatica e la tensione boppistica delle sue interpretazioni con nuovi ed esuberanti colori latini, senza mai fallire nelle liriche interpretazioni delle ballad. Il più entusiasmente è il disco dal vivo, in cui Murphy rilegge in chiave latin il songbook di Cole Porter. Accompagnato da un vibrante sestetto con un micidiale Tom Harrell -e il pubblico del "Dakota Bar & Grill" di St. Paul a incoraggiarlo-Mark lascia spazio ai luminosi assoli dei parter ma quando interviene è scintillante.

L'ultima fase della carriera di Murphy è contraddistinta dalla collaborazione col trombettista e produttore tedesco Till Bronner. "Ho incontrato Till alla fine di un tour col pianista Alan Broadbent, circa 10 anni fa—ricordò il cantante in un'intervista a John Watson—L'ho incontato nel jazz club berlinese "The A Train." Era seduto in compagnia di un funzionario dell'Universal Music—compagnia associata alla Verve—con un pacco di dischi in mano. Till venne al bar e prese a parlare con me. Quando qualcuno in Germania inizia a parlarti in inglese—un inglese perfetto—tu rispondi subito. È cominciato così. Mi dette il suo disco dedicato alla musica di Chet Baker [ Chattin with Chet N.d.R.]. Lui aveva ripreso il repertorio di Chet e riproposto con un beat hip-hop. Un'idea fantasiosa che non avevo mai ascoltato."

Da quell'incontro scaturisce la partecipazione di Murphy all'album del trombettista Blue Eyed Soul (Verve, 2002), circoscritta al brano "Dim the Lights" (Verve, 2005), un percorso di profondo lirismo, un concept album dedicato a classiche ballad che Mark disegna con viva partecipazione. Il successo del disco —il più marcatamente romantico della sua carriera-propizia una seconda collaborazione discografica tra il cantante e il trombettista, concretizzatasi in Love Is What Stays (Verve 2007): una produzione molto curata, che vede Mark accompagnato da un'orchestra sinfonica con la partecipazione di Lee Konitz, Don Grusin e Chuck Loeb.
A 50 anni dal suo suo debutto discografico, quel disco celebra la multiforme personalità artistica del cantante: un baritono ancora flessibile e dalle intatte suggestioni cromatiche. Certamento meno sorprendente e pirotecnico di un tempo ma anche più equilibrato. Il percorso musicale inizia con una nuova versione del classico "Stolen Moments" e si sviluppa attraverso un ampio spettro di temi e riferimenti: dal seducente "My Foolish Heart" -illuminato dall'intervento di Konitz-al poetico "So Doggome Lomesone" di Johnny Cash; dalla rarefatta malinconia di "Once Upon A Summertime" alla colloquiale riflessione esposta in "The Interview."

Mark continua a esibirsi e incidere per quasi tutto l'ultimo decennio della sua vita, dimostrando professionalità, ricchezza espressiva e forza di carattere esemplari. Nel 2008, poco dopo la registrazione di Live in Athens e dell'autoprodotto To Find You There, gli viene diagnosticato erroneamente l'alzheimer e prescritto un medicinale che finisce per provocare stati di confusione e disorientamento simili a quella patologia. Una sorta di profezia che si autoavvera. La cosa è risolta un anno dopo e Murphy riprende a esibirsi e incidere.

Il 21 maggio 2012, in occasione dei suoi 80 anni, il cantante è celebrato con una serata al Blue Note di New York, presenti Annie Ross, Till Brönner, Sachal Vasandani. Un'altra celebrazione si tiene il 3 luglio 2013 al Joe's Pub con la partecipazione di Sheila Jordan, Theo Bleckmann, Janis Siegel.
Nel 2014 la presenza di Murphy è centrale nell'album celebrativo del vocalese The Royal Bopsters Project (Motéma) che ospita anche Bob Dorough, Jon Hendricks, Sheila Jordan e Annie Ross. Murphy è protagonista in 3 brani, riprendendo con esemplare vigore i classici "On the Red Clay," "Boplicity" e "Senor Blues." L'ultimo disco da singolo protagonista, A Beautiful Friendship (Gearbox 2013), lo dedica a Shirley Horn. Per le complicazioni di una polmonite, la morte lo coglie il 22 ottobre 2015 al Lillian Booth Actors Home in Englewood, New Jersey.

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