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Luciano Linzi - Direttore artistico di JazzMI

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È una storia d'amore infinita quella tra Milano ed il jazz
Milano ha sempre ospitato numerose iniziative e rassegne in ambito jazzistico. Più o meno strutturate, più o meno significative. Per molti anni, tuttavia, alla città è mancato un vero e proprio festival. Una lacuna non da poco per una città di grandi ambizioni, che ama confrontarsi e competere con le principali capitali europee.

Nel 2016 JazzMI ha colmato questa lacuna, inondando la città con una quantità impressionante di concerti ed iniziative collaterali. In vista della seconda edizione del festival, che si terrà dal 2 al 12 Novembre, abbiamo chiesto al direttore artistico Luciano Linzi di illustrarci il dietro le quinte della manifestazione.

All About Jazz: Come è nato JazzMI?

Luciano Linzi: Dalla constatazione mia e di Titti Santini che a Milano mancava un grande festival jazz da troppo tempo, da quasi vent'anni. Ne parlavamo da cinque anni. L'anno scorso l'abbiamo realizzato.

AAJ: Come si posiziona, come si differenzia rispetto alle altre proposte musicali presenti nel territorio?

LL: Abbiamo scritto il progetto ispirandoci al Festival Jazz di Londra, che per noi è un modello e che quest'anno compie venticinque anni. Un festival diffuso, trasversale, che unisse, non solo idealmente, quante più realtà possibili che si occupavano di jazz sul territorio cittadino, da anni, a diversi livelli. Festival come evento, come cassa di risonanza. Che, col suo arrivo, desse una scossa.

AAJ: Milano può vantare una grande tradizione jazzistica. Negli ultimi anni, tuttavia, la città sembra aver perso interesse nei confronti questa musica. Com'è organizzare un festival a Milano?

LL: Non direi. L'interesse per il jazz non è mai mancato a Milano, e mai mancherà. È una storia d'amore infinita quella tra Milano ed il jazz. Semplicemente, andavano messe in circolo nuove energie, nuove idee. Era il momento giusto, quello che la città sta di nuovo vivendo. Il rilancio, la rinascita. Una nuova entità come JazzMI, partendo da zero, ha permesso di coinvolgere interlocutori diversi che magari, prima di JazzMI, si parlavano a stento o non si erano mai parlati. Sappiamo che questo è un limite del nostro Paese che va sconfitto. La risposta del territorio è stata in realtà eccellente. Quasi unanime. Tutte le parti coinvolte hanno capito che era importante salirci a bordo. Ed il Comune di Milano ha molto apprezzato il nostro atteggiamento, lo spirito ed il desiderio di coinvolgere.

AAJ: Quali obiettivi ti poni quando inizi a lavorare sulla programmazione? Che criteri adotti nella scelta dei musicisti?

LL: Cerchiamo di immaginare un cartellone che tenga in equilibrio una serie di fattori. Scegliendo innanzitutto i cosiddetti headliners con progetti artisticamente stimolanti. Di coprire gli stili più diversi che compongono l'universo jazz, le generazioni di musicisti, le diverse provenienze. Musicisti affermati e musicisti che, secondo noi, meritano di essere maggiormente conosciuti. Poi la scelta dei progetti speciali, dei film e dei libri da presentare, dei tanti concerti gratuiti, ecc...

Quest'anno abbiamo aggiunto un altro impegno: grazie alla Siae, realizziamo una sezione dedicata agli approfondimenti, incontri, convegni, dal nome Jazzdo.it. Riteniamo che un festival jazz contemporaneo debba anche offrire questi spazi.

AAJ: Come selezioni gli spazi a tua disposizione per abbinarli con i musicisti adatti?

LL: A seconda della capacità potenziale di attrarre pubblico e delle caratteristiche del progetto artistico. Due esempi sono la Sun Ra Arkestra al Santeria ed il trio Thumbscrew di Mary Halvorson al Masada.

AAJ: Come ti relazioni con il territorio?

LL: A Milano ho vissuto e lavorato per quindici anni consecutivi. Ma anche dopo ho continuato a frequentare regolarmente la città per lavoro o per incontrare le tante amicizie che ho. Amo dialogare con gli amici di Ponderosa, che presidiano il territorio da anni con iniziative di successo come "Piano City" o i tanti concerti che propongono in ambito cittadino. E consultare i molti operatori e critici jazz che vivono in città.

AAJ: Qual è il segno più tangibile che il festival lascia sul territorio?

LL: Credo il rinnovato e contagioso entusiasmo di pubblico e operatori verso una manifestazione jazzistica ed il fatto che già si parli, solo alla seconda edizione, di un festival tra i più importanti del nostro Paese. E di cui si comincia a parlare anche all'estero. Ma la strada da fare è, ovviamente, ancora molta.

AAJ: Quali sono le maggiori difficoltà con cui ti devi confrontare nell'organizzazione del festival?

LL: La necessità di mettere al posto giusto le molte tessere che compongono il mosaico di JazzMI. Centocinquanta eventi, più di cinquecento musicisti. Ma per fare questo c'è una macchina organizzativa esemplare come quella di Ponderosa, un esempio di imprenditoria privata, illuminata ed efficiente, in campo culturale.

AAJ: Indicativamente, che budget ha il festival? E che percentuale è allocata direttamente ai musicisti?

LL: Circa quattrocentomila euro, di cui circa centottantamila di spesa artistica.

AAJ: Riguardo ai partner organizzativi e finanziari, istituzioni pubbliche o sponsor privati, cosa è cambiato nel tempo?

LL: È entrato qualche nuovo sponsor, si è aggiunto qualche finanziamento pubblico (Siae come già detto e Mibact)

AAJ: Ci racconti un episodio particolare accaduto nelle passate edizioni?

LL: I più entusiasmanti sono stati i riconoscimenti del pubblico. Più volte, all'uscita dei concerti, persone del pubblico di varie età ci fermavano per congratularsi, ringraziarci di aver organizzato il festival e implorandoci (letteralmente) di rifarlo negli anni successivi!

E poi i riconoscimenti pubblici dei grandi artisti intervenuti nella prima edizione, da Dee Dee Bridgewater a Gilles Peterson, da Enrico Rava a Paolo Fresu. E quelli delle istituzioni, in particolare dal Sindaco di Milano Giuseppe Sala, intervenuto al concerto di Paolo Fresu -Uri Caine, e dall'Assessore alla Cultura Filippo Del Corno, presente in moltissimi eventi e sempre al nostro fianco.

AAJ: Quali sono i festival, nazionali o internazionali, che ammiri?

LL: Torno a citare Londra, per il concept e l'atmosfera. A New York il Winterfest a gennaio è imperdibile, eccitante. Ho ricordi meravigliosi di quello di Moers in Germania, che ho frequentato per anni, per atmosfera e proposta artistica innovativa.

In Italia sono cresciuto con Umbria Jazz che, al di là del necessario rinnovamento, resta un punto di riferimento irrinunciabile. E assolutamente unico resta Berchidda.

AAJ: Una volta iniziato il festival, riesci a goderti i concerti che hai organizzato come uno spettatore comune?

LL: Cerco di assistere al numero più alto di concerti possibili. E di goderli più che posso. L'anno scorso ho provato brividi durante l'esibizione di Shabaka Hutchings. Sentire il pubblico urlare letteralmente durante il suo trascinante concerto, un concerto jazz, non mi capitava da molto tempo. Cinquecento spettatori entusiasti. Era uno dei nuovi nomi su cui avevamo scommesso. E lo facciamo tornare quest'anno con il progetto The Ancestors. Una forza della natura. Magnetico. Tribale.

Foto: Claudio De Pretis

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